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Da Monterotondo a Boston. La storia di Giuseppe Romano

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La passione coltivata sin dall’infanzia per l'elettronica, la fisica e la programmazione informatica, trasmessa dal padre, un brillante percorso di studi universitari, una buona dose di coraggio e una spiccata propensione al viaggio. È questa la formula del successo che ha portato Giuseppe Romano, classe 1982, da Monterotondo a Boston, al Massachusetts Institute of Technology (MIT) e, recentemente, anche alla NASA.

Maggiore di una famiglia di cinque figli, Giuseppe è nato a Napoli ed è cresciuto tra Mentana e Monterotondo, a due passi dalla capitale. Dopo la maturità con indirizzo elettronica e telecomunicazioni, la laurea triennale e specialistica in ingegneria delle Telecomunicazioni, nel 2006 si è avviato verso la ricerca, con l’opportunità di frequentare prestigiose università straniere. In particolare durante il dottorato in Ingegneria Microelettronica a Tor Vergata, sulle nanotecnologie, ha trascorso un periodo di studi al Georgia Institute of Technology, negli Stati Uniti, e al Kyoto Institute of Technology, in Giappone.

Finito il dottorato, nel 2010, ha inviato e-mail a molti professori negli Usa. “Ero un perfetto sconosciuto e infatti non ho avuto risposte positive. Grazie al mio PhD advisor, ho ricevuto sei mesi di fondi così ho avuto la libertà di iniziare collaborazioni. Ho ricontattato alcuni docenti negli Stati Uniti, specificando che avevo i miei fondi. Un giorno, un professore del MIT mi risponde dicendo che mi avrebbe ospitato per sei mesi” racconta all’AGI Giuseppe Romano. Da quel giorno sono ormai passati quasi otto anni, molto intensi, in cui Giuseppe è entrato al Dipartimento di Scienza dei Materiali del MIT di Boston, prima come ‘Visiting Scientist’ e poi come ‘Postdoctoral Scholar’. Dal 2014 è ‘Research Scientist’ nel Dipartimento di Ingegneria Meccanica.

Al centro delle sue ricerche c’è la fisica applicata. “Mi occupo di simulazioni, ovvero di programmi al computer che simulano la fisica per predire le proprietà fisiche dei materiali. Così alla fine ho combinato la fisica con la programmazione, coniugando in qualche modo le passioni giovanili” prosegue l’ingegnere italiano. Nel dettaglio si occupa di modelli matematici per lo studio di materiali per l’energia, passaggio cruciale per il successivo sviluppo sperimentale. La ricerca di Giuseppe è focalizzata sui materiali termoelettrici, che convertono calore in elettricità, con grandi vantaggi rispetto ad altre tecnologie: non hanno bisogno di una attenta manutenzione e quindi hanno una durata notevole Le applicazioni di questi materiali sono molteplici: dispositivi indossabili – come smartwatch o dispositivi medici, funzionanti direttamente grazie al calore del corpo umano – e l'alimentazione di sonde spaziali, al centro delle sue ricerche alla NASA.

“Ad oggi il mio contributo principale è stato sviluppare un modello matematico che calcoli il trasporto di calore alle nanoscale in materiali complessi, come quelli nanoporosi. Il codice del software delle simulazioni di questo modello è stato recentemente rilasciato open-source, suscitando l’interesse della NASA” dice ancora all’AGI l’ingegnere Romano, che ora divide il suo impegno lavorativo tra il MIT e la NASA, dove è stato inserito in un programma di scambio con le università. “Alla NASA ho trovato l'ambiente ideale per la sperimentazione dei materiali termoelettrici in quanto sono usati per l'alimentazione di sonde spaziali. Il dispositivo in questione si chiama Radioisotope Thermoelectric Generator ed è stato molto menzionato nel film ‘The Martian’” prosegue Giuseppe.

Anche la sua vita a Boston, la città più europea degli Stati Uniti, è fonte di ispirazione e stimolo per la sua natura intellettuale e per le molte università che vi hanno sede. Dall’Italia gli mancano la famiglia, gli amici di sempre e il caldo mare Mediterraneo, ma per niente il traffico di Roma, visto che a Cambridge circola sempre in bicicletta. Dal punto di vista professionale la vita Oltreoceano gli sta offrendo il contatto quotidiano con ricercatori che sono leader nel loro ambito. “Anche al di fuori del campus, quando si entra in un coffee shop, c’è una buona probabilità che quello seduto affianco stia lavorando ad un problema di natura scientifica. Spesso chiedo, e loro spesso rispondono” aggiunge il ricercatore di origine napoletana.

Ai giovani ricercatori italiani consiglia un periodo di studio all'estero di almeno due anni, per aprirsi a nuove opportunità e modi di fare ricerca. Secondo lui, per arginare la cosiddetta fuga dei cervelli andrebbe potenziato il programma di scambio di studenti a doppia direzione con altri paesi, per incentivare il ricercatore a rimanere in Italia, maturando nel contempo esperienze all’estero. Invece, per far rientrare i ricercatori senior, bisognerebbe garantire loro la libertà di condurre la propria ricerca, minimizzare la burocrazia, insieme ovviamente a fondi adeguati. Negli ultimi anni le università italiane sono andate verso una maggiore internazionalizzazione a livello europeo, un passo nella giusta direzione ma, secondo l’ingegnere, c’è ancora un margine di miglioramento nell’interazione privato-università.

Giuseppe vede il suo futuro a cavallo tra il paese di origine e quello di adozione, idealmente creando un ponte tra gli studenti e i ricercatori dei due paesi. In cerca di fondi, sia pubblici che privati, per poter sviluppare una ricerca solida e sul lungo termine, è in contatto con alcune aziende italiane interessate a finanziare le sue attività. In tema di collaborazioni, sta anche guardando con interesse crescente all’Oriente, in particolare alla Cina. L’estate scorsa ha insegnato analisi matematica e ingegneria elettronica a Shenzhen, rimanendo colpito dagli ingenti investimenti messi in campo per potenziare le strutture e l’organico per la ricerca e l’insegnamento. “Negli ultimi tempi, da qui, sento parlare di una Milano che non ha nulla da invidiare ad altre capitali europee e di un boom del turismo a Napoli. Vedo anche un sofferto passaggio di consegne tra due diverse generazioni politiche, con la spiacevole conseguenza di un aumento della tensione sociale.” conclude Giuseppe da Boston.
 

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Fonte: innovazione agi


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