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Rigopiano: i motivi della sentenza d’appello in 600 pagine

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Con la nevicata abbondante in quel momento in corso, si sarebbe dovuta attivare la macchina dell’emergenza attraverso la chiusura e pulizia delle strade e, soprattutto, l’evacuazione dell’hotel. Si concentra essenzialmente su questi aspetti la sentenza depositata due giorni fa, dalla Corte d’Appello dell’Aquila sulla dibattuta vicenda giudiziaria sulla tragedia del resort di Rigopiano (Pescara), l’hotel di lusso in quota cancellato da una valanga il 17 gennaio del 2017, sotto le cui macerie sono morte 29 persone, con 11 miracolosamente scampate. Seicento pagine di sentenza (depositate una settimana prima della scadenza naturale, fissata al 10 maggio) nelle quali i giudici della Corte d’appello dell’Aquila spiegano il perché della parziale riforma della sentenza emessa dal tribunale di Pescara a febbraio dell’anno scorso. Tre imputati che in primo grado erano stati assolti sono ora stati condannati in appello. Si tratta dell’ex prefetto di Pescara, Francesco Provolo, condannato a un anno e otto mesi per omissione di atti d’ufficio e falsità ideologica; dell’ex capo di gabinetto della Prefettura, Leonardo Bianco, che dovrà scontare una condanna di un anno e 4 mesi per falso; del tecnico del comune di Farindola, Enrico Colangeli, per il quale la Corte ha deciso una pena di due anni e 8 mesi per omicidio colposo e lesioni plurime.
La sentenza ha confermato le condanne di primo grado per il sindaco di Farindola, Lacchetta, a 2 anni e 8 mesi, per i dirigenti della Provincia, Mauro Di Blasio e Paolo D’Incecco, a 3 anni e 4 mesi, per il tecnico Giuseppe Gatto a 5 mesi, per l’ex gestore del resort Bruno Di Tommaso a 5 mesi.
Il ragionamento del collegio (presieduto da Aldo Manfredi) si focalizza sulla situazione meteorologica così estrema e del conseguente rischio valanghe, indipendentemente dall’assenza di analoghi fenomeni in passato. Si sarebbe dovuto chiudere la strada, sgomberarla dalla neve ed evacuare il resort, azioni in capo alla Provincia e al Comune di Farindola, in primis. Attività operative nelle quali sempre secondo la valutazione dei giudici di secondo grado, rientrava anche la Prefettura di Pescara che nella persona del suo massimo rappresentante (Provolo) sarebbe venuta meno con la mancata attivazione del centro coordinamento dei soccorsi e della sala operativa, azioni che al contrario sarebbero state falsamente comunicate al ministero come avvenute. Presunte omissioni quelle del prefetto che, sempre secondo il ragionamento della Corte d’appello dell’Aquila, non avrebbero influito direttamente sulla morte delle 29 persone visto che i tecnici erano comunque stati sentiti e non avevano dato al prefetto specifiche indicazioni per assumere determinati provvedimenti che avrebbero potuto impedire la catastrofe. Infine, per il collegio giudicante di secondo grado, nessuna responsabilità va addebitata alla Regione per la mancata redazione della carta delle valanghe, competenza invece del Comitato tecnico regionale per lo studio della neve e delle Valanghe (Coreneva) che aveva già tutti gli elementi di valutazione per intervenire. Nessuna colpa anche per gli ex sindaci per la mancata modifica dei Piani regolatori, atti di competenza dei consigli comunali. La generica possibilità di valanghe in quell’area non è stata ritenuta elemento tale da vietare la realizzazione delle strutture, peraltro moltissime, in una zona molto vasta. (AGI)
AQ1/RED