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Il Barone di Muenchhausen ha 300 anni

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Una sindrome psicotica col suo nome ed il volo su una palla da cannone: ecco gli attributi più conosciuti del Barone di Muenchhausen, il più grande bugiardo della storia. O, se non altro, il più grande artista della bugia, nato 300 anni fa. E se la grandezza di un personaggio storico si misura sulla capacità di creare qualcosa che rimanga significativo nei secoli, il barone fu un grandissimo: prova ne é che gli scienziati ricorrono al nome di Karl Friedrich Hieronymus von Muenchhausen per descrivere quel disturbo psicologico secondo il quale le persone colpite fingono una malattia o un trauma per attirare di sé attenzioni e simpatia.

È che il mondo ancora oggi si specchia nella forza visionaria delle sue invenzioni. Oltre alla palla di cannone – un’immagine assurta al simbolo della bugia nel senso piu’ grande e visionario possibile – il viaggio sulla Luna ben prima di Jules Verne e due secoli e mezzo prima dell’Apollo 11, nonché l’avventura del tirarsi fuori dalle sabbie mobili aggrappandosi ai propri capelli.

Trecento anni dopo la nascita di Muenchhausen, personaggio reale cui si ispirò Rudolf Erich Raspe per il suo romanzo, il barone è ancora l’attrattiva principale del paesino che gli dette i natali, Bodenwerder in Bassa Sassonia: qui, oltre alla sua tenuta, c’è il monumento che immortala una delle sue storie più famose, quella in cui suo cavallo tagliato accidentalmente in due beve dalla fontana con il muso mentre le sue posteriora danno il benvenuto ai visitatori.

Qui, in questo angolo della Bassa Sassonia, Hieronymus venne alla luce l’11 maggio 1720 e qui morì nel 1797. Fu, così dicono, la sua vita avventurosa la fonte d’ispirazione per le sue clamorose frottole: vita da cortigiano, poi da militare in missione in Paesi lontani, luogotenente in seconda della cavalleria russa, partecipò tra l’altro a due campagne contro l’Impero Ottomano.

Proprio la “cavalcata” sulla palla di cannone resa famosa dal romanzo di Raspe – e poi da innumerevoli film, i primi dei quali girati agli albori della settima arte – sarebbe avvenuta durante l’assedio di una fortezza ottomana, quando il giovane Hieronymus seguì il suo padrone Anton Ulrich von Braunschweig-Wolfenbuettel nella guerra turca negli anni Trenta del Settecento.

Secondo la leggenda la sua fama di narratore di storie fantastiche è nata in un’osteria a Riga, poi continuata con grande successo nella sua cerchia d’amici in quel di Bodenwerder, dopo il suo ritorno in patria. Ed è qui che la forza dell’invenzione si è espansa secondo la ferrea logica della tradizione orale: nel senso che furono i suoi amici e i suoi ospiti a diffondere le sue storie in cerchie sempre più ampie.

Già nel 1761 un suo vecchio amico di San Pietroburgo, il conte Rochus Friedrich zu Lynar, aveva provveduto a trascrivere e pubblicare tre delle avventure di Muenchhausen. Una ventina di anni dopo apparve un “Vademecum per persone divertenti” con alcune sue frottole, rigorosamente anonimo.

Lo stesso Rudolf Erich Raspe era stato ospite del barone: fu dopo una fuga in Inghilterra che pubblicò “Le avventure di viaggio del Barone di Muenchhausen”, destinate a divenire rapidamente un bestseller dell’epoca, bisognosa evidentemente di altre fughe, in vista della Rivoluzione francese con tutte i travolgimenti delle genti e delle classi che si portava con sé e figlia delle improvvise aperture mentali portate dall’illuminismo. Nonostante fosse consegnato già da allora all’eternità, pare che il Barone non fosse affatto contento: si senti’ ferito nell’onore, dato che dovette convivere fino alla morte con il soprannome di “Luegenbaron” (barone della bugia).

È che Hieronymus era anche diventato un importante uomo d’affari e forse temeva contraccolpi. Forse aveva ragione: la vita si prese la vendetta sulle sue fantastiche storie quando la seconda moglie Bernhardine Brunsig von Brunn – che il Barone aveva sposato ultrasettantenne quando lei di anni ne aveva solo venti – chiese il divorzio, utilizzando come prova del fatto che il suo amore fosse tutta menzogna proprio le celeberrime fandonie già divenute proverbiali.

Muenchhausen dovette lasciare la sua tenuta al nipote, anche se ebbe il permesso di vivere li’ fino all’esalamento dell’ultimo respiro. E anche qui non è che l’eternità sia rimasta inerte: cent’anni dopo la sua morte, riesumato il corpo del Barone su ordine dell’autorità sanitaria, si scoprì che era rimasto intatto grazie ad uno strato di argilla: il fatto è che un colpo di vento sembrò per un attimo ridargli vita. “Come un fantasma”, giurarono i testimoni oculari.

Vero o falso che sia, la mitologia creata da Muenchausen – così come le invenzioni di Don Chisciotte – si è tramandata all’infinito nelle arti e nelle scienze: il primo film ispirato alle sue “Avventure” fu girato in America agli albori del cinema, ossia nel 1909 (“Le avventure del Barone Munchausen che catturò il Polo Nord”), e pure l’immenso Georges Meliés non riusci’ a trattenersi dal dedicargli nel 1911 un cortometraggio (“Le allucinazioni del barone di Muenchausen”, questa volta).

In anni piu’ recenti, ossia nel 1988, al più grande bugiardo di tutti i tempi s’inchino’ il genio visionario di Terry Gilliam, con un film in parte girato a Cinecittà, pieno di superstar tra cui Robin Williams e una giovanissima Uma Thurman. Ma forse l’onore più grande tributato al Barone gli viene dalla filosofia della scienza: infatti, in epistemologia, si chiama “Trilemma di Muenchhausen” un esperimento mentale che viene utilizzato per dimostrare l’impossibilità di dimostrare alcune verità, logica e matematica comprese. Ed è la verità più grande: quella del paradosso. 

Vedi: Il Barone di Muenchhausen ha 300 anni
Fonte: estero agi


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