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Le anime in pena dei bambini caduti

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Corriere della Sera – La Lettura28 febbraio 2021

ALESSANDRA COPPOLA

Piccole edicole, affreschi, murales, altari a Napoli ricevono la devozione popolare: sono dedicati a giovanissimi criminali o a vittime accidentali ritenuti in grado di intercedere per chi è rimasto. La ministra Lamorgese a «la Lettura»: «Rispettiamo il dolore però sulla legalità non cediamo». Ma sugli smantellamenti non tutti sono d’accordo

In un vicolo cieco della Parrocchiella, uno spiazzo tra case basse dove ha tirato calci al pallone da bambino, ha imparato ad andare in bicicletta, ha giocato con i tre fratelli e gli amici, Ugo Russo «vive» su un altare di marmo, in un ritratto dallo sfondo azzurro cielo, vestito a festa. E dispensa grazie.

«Le signore del quartiere vengono qui a invocarlo: pensaci tu. Lo conoscevano tutti e gli volevano bene». La giovane mamma piange e racconta. Mostra sul cellulare le fotografie dei quattro figli, il primo avuto che era adolescente, la torta di compleanno decorata con i loro visi, tanto erano affiatati; i tuffi di Ugo a Ischia, il corpo goffo di chi deve ancora crescere; il papillon per andare alle nozze di un compagno. «E come era bello: sembrava lui lo sposo. Un’amica mia sapeva che mi piaceva vestito così e mi ha regalato il quadro», che ora è esposto nell’edicola sacra, il taglio di capelli obliquo e uno smoking da ragazzino.

Ugo Russo è morto un anno fa, la notte tra il 29 febbraio e il 1° marzo, in un tentativo di rapina. Avrebbe compiuto 16 anni pochi giorni dopo. Ferdinando, che era con lui, ha raccontato che volevano andare a ballare — era un sabato sera — ma non avevano i soldi. Hanno pensato allora di procurarseli con una pistola giocattolo, dalla quale avevano tolto il tappo rosso, e un motorino con la targa falsa. Hanno individuato un ventenne al volante di un’auto, il Rolex al polso, l’hanno seguito fino al parcheggio in zona Santa Lucia. Ugo si è avvicinato mostrando il «ferro» che pareva vero; il rapinato, carabiniere in borghese, ha finto di togliersi l’orologio, invece ha afferrato l’arma d’ordinanza — ha concluso Ferdinando — e ha sparato, più volte, al petto e poi alla nuca.

I genitori e tutto il rione arroccato in alto ai Quartieri spagnoli hanno creato un comitato «Verità e Giustizia» perché — dice a «la Lettura» il padre — «mio figlio ha sbagliato, ma doveva essere punito, non ammazzato. Ancora non abbiamo i risultati dell’autopsia, vogliamo sapere che cosa è successo». L’artista italo-spagnola Leticia Mandragora, collaboratrice del muralista in questo momento più celebre a Napoli, Jorit (quello di San Gennaro

con i segni rossi in faccia), ne ha fatto in piazzetta Parrocchiella Santa Maria Ognibene un ritratto enorme e piuttosto bello. «È stata ore — ricorda Russo padre — solo per le ciglia, le ha contate una a una dalla fotografia che le ho dato». Infine ha decorato l’opera con un fondo di bilance e la scritta «Verità e Giustizia». Non è l’altare delle preghiere a Ugo, che è più nascosto; ugualmente, però, per le forze dell’ordine andrà rimosso.

Il caso è parallelo a quello di Luigi Caiafa, altro quartiere popolare, Forcella, simile contesto: 17 anni e un compare, il ragazzo è stato ucciso nella notte dello scorso 4 ottobre da un «falco» della polizia durante una tentata rapina su via Duomo, coperto da un casco integrale e armato di pistola falsa. Il dipinto anche in questo caso l’aveva realizzato uno streetartist napoletano, sotto un arco angusto, tra palazzi settecenteschi decrepiti ed eterni ponteggi del terremoto dell’80. Incontriamo il muralista che sta terminando un affresco di Maradona, il viso semicoperto tra il Covid e la paura di esporsi a nuove polemiche. Ci racconta che il ritratto di Caiafa sul classico sfondo cielo

gliel’hanno commissionato gli amici del ragazzo, adolescenti o poco più grandi, come gli è successo decine e decine di volte in vent’anni di attività: un ritratto in memoria di un defunto. L’ha completato rapidamente, nel corso di un’alba d’autunno, con la sensazione di un tacito accordo locale; ha scoperto con sorpresa e dispiacere che è stato cancellato con una mano vistosa di vernice bianca sul grigio della parete pochi giorni fa.

Ma non si tratta più di muri pubblici o privati, di permessi condominiali, di dipinti autorizzati. La questione a Napoli ormai ha scavalcato l’arco di Sedil Capuano o la Parrocchiella, per diventare spartiacque di principio. «Questi murales — ha dato la linea il prefetto, Marco Valentini — sono un pessimo segnale. Il rischio è che si alimenti un disvalore, che si promuova uno stile di vita meritevole di celebrazione». Il procuratore generale, Luigi Riello, ha rilanciato: «O si è con lo Stato o si è contro lo Stato». E le associazioni anticamorra, con qualche distinguo in più, hanno per la maggior parte condiviso la posizione della fermezza.

La ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, lo spiega in modo chiaro a «la Lettura»: «È nostro dovere rispettare il dolore di tutte le famiglie, ma sul terreno della difesa della legalità non possiamo cedere di un millimetro, anche per il rispetto dovuto alle vittime della criminalità e ai tantissimi ragazzi che studiano e lavorano onestamente. Bene hanno fatto la prefettura e la procura della Repubblica — conclude la ministra — a chiedere al Comune di Napoli (con una qualche resistenza del sindaco Luigi de Magistris,

ndr) la rimozione dei murales che rappresentano, come eroi, ragazzi purtroppo rimasti uccisi durante una rapina e a predisporre il graduale smantellamento dei cosiddetti “altarini” abusivi della camorra».

Scrittori, artisti, registi da Maurizio de Giovanni a Maurizio Braucci fino ad Antonio Capuano o Ascanio Celestini hanno firmato un appello per conservare quantomeno il mural artistico dedicato a Ugo Russo, e concentrarsi su altri problemi di quei quartieri, sottolineano. Ma il capo della polizia locale, d’intesa con il Viminale, ha già in agenda «una serie di interventi con cui vogliamo riportare l’ordine anche nel resto della città». Con calce e scalpello. Una mappatura di questi «altarini» è in corso con l’aiuto di polizia e carabinieri.

Se c’è un punto fermo (e forse anche un elemento di riflessione utile) è che i murales dedicati a Ugo e Luigi non sono casi isolati, ma «manifestazioni contemporanee di un fenomeno molto antico e diffuso». Radicato nei secoli, sulla soglia tra vita e aldilà in cui si colloca una città come Napoli. Il celebre antropologo Marino Niola ne ha fatto ricerche, saggi e lezioni, e l’ha anche osservato. Al Pallonetto, per esempio: «Una donna era in contemplazione davanti a un’edicola». Lo studioso si avvicina e la coglie a pregare non l’immagine santa, in alto, ma la fotografia di un defunto, posta più in basso: «Al livello delle anime purganti». Sono i trapassati di morte tragica, le «anime in pena» nella cultura popolare collocate in una zona intermedia tra questo mondo e quell’altro. Dunque capaci di mediare.

«È l’Ecce Homo per antonomasia — spiega Niola — il povero cristo esposto alle ingiustizie». Che siano morti in faide di camorra, vittime di proiettili vaganti, ragazzi colpiti dalle forze dell’ordine, in questa santificazione dal basso non si fa distinzione. In passato era concessa, per dire, anche ai criminali condannati alla pena capitale. «Sono tutti spiriti senza cittadinanza, bisognosi di venerazione e di cura».

La violenza — e per il rione: l’ingiustizia — di una simile morte colloca la povera anima anche in una posizione di forza. «Lo storico delle religioni Mircea Eliade parlava di cratofania, manifestazione di potenza: non si tratta di uno spirito qualsiasi ma di uno spirito potente in virtù di questa morte, capace di sprigionare potere, e viene dunque invocato per intercessioni e grazie». È la «pietà collettiva» che innalza il disgraziato: «Gli ultimi diventano primi, e questi morti erogatori di grazie si trasformano in numi tutelari, santi minori».

Succede allora che il volto cancellato di Luigi Caiafa riappaia dietro l’angolo, su via Forcella, nella piccola edicola personale a lato di uno spaccio di cappelli fatti in Cina, bacinelle di plastica, sigarette di contrabbando, tra Padre Pio, Madonna dell’Arco, una cartolina con il Maradona di Jorit. «Era amico di mio nipote», spiega la signora che lo gestisce.

Capita pure che l’«altarino» si trovi esattamente di fronte al centro culturale dedicato ad Annalisa Durante, quattordicenne uccisa in una sparatoria tra clan rivali, nel 2004. Anche lei, tra l’altro, con il suo omaggio di marmo, vetro e neon in un vicolo poco distante.

Succede, quindi, che le forze dell’ordine si trovino a chiedere: «Come è morto?» per poter distinguere tra le vittime. Con questo criterio, forse potrà restare l’immagine gigante di Ciro Esposito, lo sfondo delle vele di Scampia: tifoso del Napoli in trasferta, è stato ucciso da un ultrà romanista. A rischio, forse, l’omaggio a Davide Bifolco, colpito da un carabiniere per non essersi fermato a un alt, che al Rione Traiano hanno dotato di pannelli solari per poter illuminare anche di notte.

Ma come si colloca Ciro «’o Spagnuolo» Esposito immortalato nel suggestivo Supportico della Vita alla Sanità? Giovane con carriera criminale già avviata, certo, ammazzato però nella guerra di camorra in quanto figlio del boss «Pierino». L’acquafrescaio che vende anche palloni gonfiabili sulla via principale racconta che il grande ritratto del ragazzo è stato aggiunto sotto un’antica edicola edificata per ospitare una statua di San Vincenzo, ’o Monacone, ornata di vesti pregiate, donata da una misteriosa signora. Se anche si decidesse di cancellare «’o Spagnuolo» che ne sarà del Santo? E non arriveranno presto altri giovani morti ammazzati da curare e venerare al posto del ragazzo?

«Non c’è nulla che si rimuova con più difficoltà dei simboli stratificati — osserva ancora l’antropologo Niola — questi monumenti dell’immaginario, che per noi possono anche essere “cattivi”, sono costruiti con una tale stratificazione che non vanno via». Non con una mano di vernice. «Chi si affida ai santi minori ritiene di non aver nessun altro a cui fare riferimento, se non persone come loro che hanno assunto uno statuto ultraterreno».

In luoghi di scarsa mobilità sociale come Napoli, dove nasci, cresci e muori nello stesso quartiere, diventa una sorta di «mobilità compensativa». Tanto più che si tratta per la gran parte di ragazzini, ai quali è stata dunque negata la possibilità di avere una vita: «Si portano la linfa vitale della giovinezza nell’altro mondo. Per loro diventano giovani vite falciate, fiori dei campi dell’aldilà». Sradicato uno, ne sboccia un altro.

Fonte: la lettura