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La resistenza delle studentesse femministe a Kabul

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AGI – A Kabul è sbocciata una piccola, in termini numerici, ma tenace resistenza ai talebani animata da un gruppo di studentesse femministe. Fatta di gesti semplici eppure cruciali come la distribuzione casa per casa di burqa a chi non ce l’ha e rischia per questo di suscitare la ferocia dei talebani e assorbenti per il ciclo mestruale.

La racconta all’AGI Nicoletta, volontaria della ‘Casa delle Donne’ di Milano, che in questi giorni sta mantenendo un contatto telefonico quotidiano con un’amica, di cui preferisce non dire il nome per ragioni di sicurezza, conosciuta a New York durante un progetto di studio.

Il nucleo femminista dell’Università di Kabul

“Vive nella periferia della capitale con la sua famiglia, ha 26 anni ed è iscritta a Scienze Politiche. Ha creato nell’università un nucleo femminista che ha come modelli i movimenti europei e americani ma anche la Rawa, l’organizzazione afghana nata negli anni Settanta che ha come obbiettivo la tutela dei diritti delle donne”. Quando i talebani hanno occupato i palazzi del governo e poi anche l’università, è iniziata un’opposizione silenziosa e strenua ai talebani “fatta di piccoli gesti di solidarietà”. “Le ragazze hanno distribuito casa per casa i burqa alle donne, quelli delle loro nonne perché da anni non li indossano, gli assorbenti perché a Kabul uscire di casa per una donna è diventato impossibile e si stanno impegnando per tutelare le studentesse più esposte che dalla capitale hanno fatto rientro in famiglie che vivono alla periferia del Paese”.

I controlli ginecologici per verificare la verginità

Quello che l’amica ripete a Nicoletta è che proprio qui, lontano dal “finto buonismo dei talebani a Kabul, città che è sotto gli occhi di tutti”, si stanno consumando le peggiori atrocità. “Le ragazze che stanno fuori città riferiscono di stupri, controlli ginecologici per accertare la verginità, liste in formazione delle donne in età fertile papabili come future mogli dei talebani”.

“La mia amica mantiene il contatto con le altre femministe che vivono nel suo quartiere – prosegue la coetanea italiana -. Esce pochissimo, anche perché è in vigore l’ordinanza che vieta di uscire di casa alle donne senza essere accompagnate da un uomo di famiglia. I suoi genitori sono entrati in contatto con associazioni che stanno provando a organizzare dei corridoi umanitari. Mi riferisce anche di piccole insorgenze a cui lei per ora non partecipa perché ha timore di essere nel mirino per i suoi contatti con realtà occidentali, come la Casa delle Donne”.

Per la giovane afghana il dolore più grande è stata l’occupazione talebana dell’ateneo che “in questi anni è diventato molto internazionale perché tanti studenti hanno fatto esperienze all’estero e ora rischia di tornare indietro di 20 anni. Ma dai messaggi che mi manda sento più ancora che  il terrore la forza e la voglia di resistere”. “Cosa posso fare per te?”, le ha chiesto Nicoletta in un whatsapp. “Parla più che puoi, voglio che non ci lasciate soli”.

Source: agi


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