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Il Putin-pensiero e le conseguenze economiche della guerra in Ucraina

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Il mondo occidentale non ha ancora elaborato una risposta cogente all’aggressione russa, anche perché in alcuni casi a governare sono i beneficiari della strategia destabilizzatrice dell’autocrate del Cremlino, ma perlomeno ora c’è maggiore presa di coscienza della dottrina del caos elaborata da Putin

di Antonino Gulisano

Il dibattito sulla guerra Russia – Ucraina richiede riflessioni di carattere sia politico che economico.

L’attore protagonista del caos globale è Vladimir Putin. È lui che si serve di Internet per promuovere disordine e destabilizzare le società aperte. È lui il punto di congiunzione tra il populismo e il maoismo digitale.

Un formidabile libro americano, The Road to Unfreedom, scritto dallo storico di Yale Timothy Snyder, esplora la mente del presidente russo e spiega la sofisticata strategia illiberale del Cremlino nei confronti dell’Occidente. La tesi del saggio è questa: quando Putin ha capito che, per mancanza di risorse e incapacità di innovare, la Russia non avrebbe potuto tenere il ritmo di quello che un tempo si chiamava «mondo libero», si è convinto di una cosa semplice e cioè che se la Russia non può diventare come l’Occidente, allora bisogna che l’Occidente si trasformi in una specie di Russia.

Intorno a questo principio di relativismo strategico, Putin ha scatenato la sua offensiva globale contro la democrazia rappresentativa, contro i diritti civili, contro l’Unione Europea, contro gli Stati Uniti, contro la Nato. E, così, la guerra in Georgia, l’invasione dell’Ucraina, l’annessione della Crimea, i cyber attacks agli Stati baltici, i finanziamenti ai leader estremisti, i patti politici con i partiti populisti, le campagne omofobiche, il sostegno al despota Bashar al-Assad in Siria, la fabbricazione di fake news, comprese quelle di Stato diffuse in inglese dalla tv RT, la scuderia di hacker informatici, la protezione di WikiLeaks e di Edward Snowden, i tentativi di manipolazione dei processi elettorali nel Regno Unito, in Germania, in Francia, in Italia e ovviamente in America, più qualche avvelenamento a Londra, sono tutti elementi della stessa strategia di diffusione del caos e di russizzazione dell’Occidente che sfrutta le debolezze della società aperta, abusa delle innovazioni tecnologiche americane e approfitta della mollezza del mondo libero.

Putin si ispira alle idee del filosofo fascista Ivan Il’in, che negli ultimi anni è stato il protagonista di una spettacolare riabilitazione intellettuale a Mosca. Negli anni venti e trenta, Il in era noto nei circoli europei per le simpatie nazifasciste. L’altro intellettuale che ispira Putin è il filosofo Lev Gumilëv, il figlio della poetessa Anna Achmatova, morto nel 1992, teorico della visione eurasiatica della storia e sostenitore dell’idea che la Russia non deve cedere alle tendenze filo-slave, e tantomeno filo-occidentali, ma piuttosto esaltare la connessione storica e culturale con i popoli mongoli che rifondarono Mosca in un ambiente protetto, eccola che torna, dall’immoralità occidentale.

Quindi, le fonti intellettuali dell’attacco di Putin all’Occidente sono il totalitarismo cristiano di Il’in, l’eurasiatismo di Gumilëv e il neonazismo di Dugin. Lo strumento è Internet.

Il mondo occidentale non ha ancora elaborato una risposta cogente, anche perché in alcuni casi a governare sono i beneficiari di questa strategia destabilizzatrice, ma perlomeno ora c’è maggiore presa di coscienza della dottrina del caos elaborata da Putin.

Di contro la risposta sul terreno pratico economico è l’invasione dell’Ucraina. La quale sta causando un esodo di massa delle grandi società dalla Russia, invertendo tre decenni di investimenti da parte di imprese occidentali e straniere in seguito al crollo dell’Unione Sovietica nel 1991.

Con questa sintesi un’analisi di Bloomberg inquadra quello che sta accadendo nell’ambito imprenditoriale, come conseguenza della guerra inaspettatamente diventata drammatica tra Kiev e Mosca.

Con i Governi stranieri che aumentano le sanzioni contro la Russia, chiudono lo spazio aereo e bloccano alcune banche dal sistema di messaggistica Swift, la pressione sul business si sta facendo sentire. Operare in Russia è diventato profondamente problematico.

Quali grandi aziende sono coinvolte in questa fuga?

I colossi petroliferi sotto pressione: chi abbandona la Russia? il comparto energetico, visto che la grande nazione euroasiatica è la terza produttrice mondiale di petrolio, la maggiore esportatrice di gas e per la maggior parte dell’ultimo decennio è stata considerata la destinazione di esplorazione e sviluppo più promettente del mondo.

Le decisioni di BP, Shell e della norvegese Equinor di tagliare i legami con i loro partner russi hanno aumentato la pressione su aziende del calibro di TotalEnergies, ExxonMobil, Trafigura e Glencore affinché facciano lo stesso.

Tra le major petrolifere ancora operanti in Russia, Total ha la maggiore esposizione commerciale ora che BP ha deciso di cedere la sua partecipazione del 19,75% in Rosneft e Shell si sta muovendo per terminare la sua partnership con Gazprom, secondo alcuni analisti.

La supermajor statunitense Exxon opera in Russia da 25 anni e impiega più di 1.000 persone oltre a gestire il progetto petrolifero e del gas Sakhalin-1 in collaborazione con due unità e società Rosneft dell’India e del Giappone.

Dall’auto motive alle banche: quali società in fuga?

Le principali banche, compagnie aeree, case automobilistiche e non solo hanno tagliato le spedizioni, messo fine a partnership e definito inaccettabili le azioni della Russia.

La Warner Bros ha dichiarato di aver ritirato l’uscita di «The Batman» di questa settimana dagli schermi russi, in seguito all’annuncio di Walt Disney di sospendere l’uscita di film cinematografici in Russia.

Nel frattempo Mastercard ha affermato di aver bloccato più istituti finanziari dalla sua rete di pagamento dopo le sanzioni contro la Russia.

Molte aziende stanno ancora valutando opzioni, come lo spedizioniere Maersk, che lunedì ha dichiarato di monitorare le sanzioni contro la Russia e di prepararsi a rispettarle. Uno scenario includeva la sospensione delle prenotazioni merci.

I principali produttori di auto e camion hanno tagliato le esportazioni verso la Russia, tra cui Volvo e GM, anche se insieme le due società vendono solo circa 12.000 veicoli all’anno in Russia.

Ford Motor, che ha una partecipazione del 50% in tre stabilimenti russi, non ha commentato in modo sostanziale i suoi piani oltre a dire che mira a gestire l’impatto sulle sue operazioni e mantenere i lavoratori al sicuro.

Quello che sta accadendo in Russia può essere definita come la più grande rivalutazione delle relazioni aziendali.

Gli strumenti delle sanzioni economiche messe in atto dai paesi occidentali ed europei stanno avendo effetti importanti nei confronti della Russia specie sul blocco finanziario e delle banche. Ma nel breve periodo la strategia delle sanzioni economiche riverbera i suoi effetti sull’economia dell’occidente, in particolare per gli stati europei nella duplice direzione dell’importazione delle fonti energetiche, come il gas metano e delle importazioni di cereali dalla Ucraina. Dall’altra parte vengono colpite anche le esportazioni verso la Russia, specie di derrate alimentari e di tecnologia avanzata.

Tutto questo conferma quanto sia paradossale che l’Occidente democratico non abbia gli strumenti giuridici per difendersi da chi utilizza il caos, la guerra guerreggiata e la destabilizzazione attraverso tecnologie e piattaforme digitali per attaccare le fondamenta della società aperta.