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Aristotele e il mistero della vita

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Filosofo dalla curiosità illimitata, Aristotele dedicò varie opere all’anatomia umana. Riteneva che tutti gli organi si articolassero attorno al cuore, da cui emanava anche il calore necessario ad animare il corpo

Poche figure incarnano l’aspirazione alla conoscenza universale più di Aristotele. Nei suoi insegnamenti e nei suoi scritti il grande filosofo greco del IV secolo a.C. si occupò praticamente di tutte le branche del sapere e diede contributi essenziali a un gran numero di discipline. Nell’ambito della storia del pensiero, Aristotele va ricordato non solo come filosofo nell’accezione odierna, ma anche come logico, matematico, storico, psicologo, chimico e naturalista.

Eppure, se si esplora il Corpus Aristotelicum, ovvero l’insieme delle opere tradizionalmente attribuite a lui, ci si rende conto che il volume degli scritti dedicati a tematiche biologiche supera di gran lunga la somma di tutti gli altri argomenti affrontati. È per questo che Aristotele si è guadagnato la meritata fama di scrupoloso osservatore della natura. All’interno delle sue ricerche dimostrò un particolare interesse per il corpo umano e le sue funzioni. In questo campo ebbe delle intuizioni veramente sorprendenti che gli permisero di far luce su alcune questioni fisiologiche fondamentali.

La concezione del corpo

Aristotele concepiva il corpo come un composto naturale, il risultato di un’aggregazione per fasi successive di quei principi costitutivi che il filosofo Empedocle aveva in precedenza identificato con aria, fuoco, terra e acqua. Riteneva che tramite un processo di miscelazione e combinazione tali elementi di base originassero le parti più semplici degli esseri viventi, che poi si sarebbero combinate a loro volta per generare strutture sempre più complesse, come i tessuti e gli organi. Era proprio il sistema degli organi a costituire l’organismo propriamente detto.

Il filosofo di Stagira non condivideva invece la classica teoria greca dei quattro umori fondamentali del corpo umano: bile nera, bile gialla, flemma e sangue. Per il pensatore greco, il corpo non era costituito da fluidi, che secondo lui erano un semplice residuo che si produceva in seguito a un processo patologico.

Come avrebbero in seguito sostenuto anche Dessippo e gli stoici, Aristotele affermava che il cuore era l’organo incaricato d’immagazzinare e distribuire al corpo il calore naturale, ovvero quel principio che, insieme al pneuma (soffio vitale), caratterizzava tutti gli esseri viventi, dal concepimento fino alla morte. E attribuiva al cuore un chiaro primato: grazie alla sua posizione centrale, svolgeva le principali funzioni fisiologiche e psicologiche. Secondo lui, il cuore era la prima parte del corpo a formarsi: era l’origine del movimento e anche il luogo dove venivano raccolte e organizzate le informazioni provenienti dai sensi.

L’importanza del cuore

Aristotele aveva una visione cardiocentrica del corpo, in contrapposizione a quella dominante della sua epoca, che vedeva il cervello governare tutte le funzioni vitali. La fisiologia aristotelica può essere perfettamente equiparata a una sorta di termodinamica applicata alla biologia. Per lui, i costituenti ultimi della realtà erano le quattro qualità elementari: caldo, freddo, secco e umido. Il calore era la causa della formazione e dello sviluppo generale del corpo e della maggior parte dei processi fisiologici. Il cervello era un organo freddo e inerte per natura, la cui funzione principale si riduceva a temperare l’eccesso di calore prodotto dal cuore, specialmente dopo i pasti.

Nello scritto intitolato Il sonno e i sogni il filosofo afferma che il motivo per cui ci si assopisce durante la digestione è la necessità di regolare il calore corporeo, dato che una temperatura eccessiva potrebbe avere effetti letali. Per lo stagirita quest’equilibrio termico, fondamentale per la sopravvivenza e per il corretto funzionamento dell’organismo, dev’essere ripristinato quotidianamente, ed è questa la ragione dell’esistenza del sonno. Aristotele era convinto del fatto che negli animali sanguigni – ovvero i vertebrati, tra cui l’essere umano stesso – la termoregolazione avvenisse anche tramite la respirazione.

Il ruolo dei polmoni

Di fatto, Aristotele è stato il primo a riconoscere ai polmoni un ruolo di primo piano nel sistema respiratorio, anche se gli attribuiva una funzione di raffreddamento e non ne riconosceva la cruciale attività di scambio di gas con l’atmosfera.

Platone – e come lui molti altri prima di Aristotele – era invece convinto che i polmoni non avessero nulla a che fare con la respirazione e che fossero connessi al processo digestivo dei liquidi, che da lì defluivano nella vescica. Tale opinione era ampiamente diffusa nell’antichità, ed è presente anche in alcuni trattati del Corpus Hippocraticum, l’insieme di testi attribuiti al padre della medicina, Ippocrate. Le osservazioni di Aristotele sull’epiglottide – una sorta di valvola cartilaginea che quando si mangia o si beve impedisce al cibo di finire accidentalmente nella trachea – permisero di scartare definitivamente l’ipotesi che i liquidi andassero nei polmoni, un’idea che era stata suggerita dalla consistenza spugnosa di questi organi.

Le sue analisi furono successivamente sviluppate da Erasistrato di Ceo, che dimostrò l’esistenza della trachea e dell’esofago, due canali sovrapposti che terminano rispettivamente nei polmoni e nello stomaco pur avendo entrambi origine nella parte posteriore della cavità orale. Aristotele studiò con particolare attenzione il processo digestivo, di cui elaborò una dettagliata spiegazione.

Grazie ad Aristotele, Erasistrato provò l’esistenza della trachea e dell’esofago

Il laboratorio di Aristotele

Secondo lo studioso, il calore naturale del corpo agiva sullo stomaco, permettendo a quest’organo di effettuare una sorta di cottura del cibo ingerito. I fluidi derivanti venivano distribuiti all’intestino tramite una rete di piccoli vasi sottili. Successivamente, tramite un processo simile all’evaporazione, tali fluidi venivano filtrati dai pori intestinali, trasformandosi in una specie di siero. Questo liquido risaliva il corpo per venire nuovamente sottoposto a cottura nel fegato, nella milza, nei reni e infine nel cuore, dove diventava sangue. Anche sotto questo aspetto il cuore era al centro dei processi vitali.

Gli studiosi si sono spesso chiesti in base a quali ricerche lo stagirita avesse elaborato le sue teorie biologiche, soprattutto quelle relative al corpo umano. Si è ipotizzato che lui e i suoi discepoli, in particolare Teofrasto di Ereso, avessero sezionato o vivisezionato fino a cinquanta diverse specie di animali. Lo scopo sarebbe stato quello di studiare con maggiore precisione i principali processi fisiologici e applicarne alla specie umana le conoscenze ricavate. Sembra invece improbabile che sezionassero cadaveri umani, dato che le prime operazioni di questo tipo vennero effettuate ad Alessandria dopo la morte del filosofo di Stagira, da medici come Prassagora di Cos o Erofilo di Calcedonia.

Tuttavia c’è un altro modo in cui Aristotele avrebbe potuto acquisire conoscenze dirette sulla fisiologia umana, ovvero con la pratica della medicina. Va ricordato infatti che il fondatore del Liceo apparteneva alla stirpe degli Asclepiadi, la famiglia di coloro che anticamente avevano l’esclusiva della pratica dell’arte medica.

Si ritiene che assieme ai suoi discepoli abbia sezionato circa 50 specie animali

Anche se il Corpus Aristotelicum non contiene alcuna opera di medicina, lo studioso avrebbe composto alcuni trattati in seguito perduti. Un medico del V secolo d.C., Celio Aureliano, cita letteralmente un frammento di una presunta opera medica di Aristotele denominata Sui rimedi. Allo stesso modo, è probabile che la parte finale del testo di Aristotele intitolato Sulla respirazione contenga estratti da un altro suo scritto medico, anch’esso perduto, Sulla salute e la malattia. Inoltre, nel libro X della Storia degli animali, egli analizza nei minimi dettagli le cause dell’infertilità umana, anche se gli esperti non sono certi che si tratti di un’opera autentica. Nei suoi scritti, Aristotele cita poi altri medici greci come Siennesi di Cipro, Diogene d’Apollonia, Polibo, Leofane o Erodico di Selimbria, quasi sempre per criticarne le dottrine, delle quali evidentemente era a conoscenza.

Illustri ammiratori

È difficile credere che Aristotele non si dedicasse alla scienza medica, tanto più che la maggior parte dei filosofi presocratici la praticavano oppure si occupavano di temi legati in qualche modo alla medicina. La cosa certa è che l’opera di Aristotele è intrisa di curiosità per quella che un tempo era considerata scienza, pur con quegli errori che sono parte fondamentale di ogni progresso conoscitivo.

Non stupiscono quindi le parole scritte da Charles Darwin in una lettera inviata il 22 febbraio 1882 a William Ogle, il traduttore inglese del trattato di Aristotele Sulle parti degli animali: «Non avevo la più remota idea di quanto straordinario fosse quest’uomo (Aristotele). Anche se i due studiosi che più hanno influito su di me, in senso molto diverso, sono stati Linneo e Cuvier, essi non sono altro che semplici apprendisti accanto al vecchio Aristotele».

 

Di Jordi Crespo Saumell – fonte: https://www.storicang.it/

In copertina Ritratto di Giusto di Gand. 1475 circa. Louvre, Parigi

Foto: E. Lessing / Album