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ANSELMO D’AOSTA, IL TEOLOGO CHE “RISOLSE” L’ENIGMA DI DIO

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Monaco benedettino, teologo di fama, arcivescovo di Canterbury e dottore della Chiesa: ha insegnato a cercare Dio con l’intelletto della fede e con il suo “argomento ontologico” sull’esistenza di Dio influenzò gran parte della filosofia successiva

Anselmo, una delle personalità di maggior rilievo del Medioevo europeo, detto in Italia “d’Aosta” dalla città in cui nacque, ma dalla storiografia internazionale chiamato “di Canterbury” dalla sede episcopale che ricoprì in Inghilterra, nacque nel 1033 dal longobardo Gundulfo e da Eremberga, una nobile della Borgogna. Conosciamo la sua vita dalla narrazione che ne fece il suo segretario, Eadmero. Dopo gli anni della giovinezza, segnati dal positivo influsso della madre, ma anche dal contrasto con il padre, che gli avrebbe impedito di entrare in monastero, verso il 1060 si recò in Normandia, nell’abbazia benedettina di Notre-Dame-du-Bec, richiamato dalla fama di un celebre maestro, l’italico Lanfranco di Pavia, a quel tempo priore di Le Bec. Anselmo ne divenne l’allievo migliore. Ripreso dal desiderio del chiostro, si fece monaco, e quando nel 1062 Lanfranco, divenuto abate di Santo Stefano di Caen, abbandonò Le Bec, Anselmo lo sostituì e nel 1078 fu eletto abate, mostrando grande saggezza di governo e una insospettata capacità amministrativa.

Alcuni anni prima, nel 1066, il duca normanno Guglielmo il Conquistatore, dopo aver vinto gli anglosassoni ad Hastings, si era impadronito della corona d’Inghilterra e aveva stabilito la propria dinastia nel paese. Nel 1070 il sovrano volle Lanfranco a Canterbury come arcivescovo e primate, e alla morte di Lanfranco, il figlio del Conquistatore, Guglielmo II il Rosso, chiamò Anselmo come suo successore sulla cattedra episcopale. Ma in Inghilterra lo aspettava un periodo difficile e pieno di incessanti contrasti con il sovrano, culminati in due periodi di esilio. Nel campo della politica ecclesiastica il re inglese aveva introdotto una rigida supremazia del potere regio. Le cariche religiose venivano conferite direttamente dal sovrano o dai signori suoi vassalli, ai quali rimanevano subordinate. Il re limitava per questo anche i rapporti dei vescovi con Roma, e intendeva fruire delle rendite delle proprietà ecclesiastiche. Era in sostanza la stessa linea seguita sul continente dai sovrani germanici, che aveva portato alla lotta per le investiture tra le forze riformatrici della Chiesa, che si riconoscevano in papa Gregorio VII, e l’imperatore Enrico IV, lotta che era culminata nel drammatico confronto di Canossa. Dopo la morte di Gregorio VII (1085), papa Urbano II (m. 1099) ne continuò l’opposizione alle investiture ecclesiastiche da parte dei laici.

Anche in Inghilterra il contrasto fu netto. Il diniego del re alla richiesta di Anselmo di recarsi a Roma per ricevere dalle mani del papa il pallio arcivescovile, insegna del primato, provocò una grave tensione con il sovrano, convinto che i problemi di politica ecclesiastica dovessero essere risolti tra il re e la curia romana, e che i vescovi non avessero diritto a contatti diretti con il papa. I contrasti politici si accentuarono, e Anselmo dovette lasciare la sua sede per l’esilio. Fu accolto onorevolmente da Urbano II e partecipò ai sinodi di Bari (1098) e di Roma (1099). Morto nel 1100 Guglielmo il Rosso, il suo successore Enrico lo richiamò a Canterbury. Ma il nuovo sovrano, continuando la linea dei suoi predecessori, riprese la controversia delle investiture e pretese da Anselmo l’omaggio feudale. Il vescovo si irrigidì, convinto che la libertà della Chiesa fosse una condizione non solo spirituale, ma anche storica, e che questo comportasse un’autonoma struttura, libera da ogni altra, e quindi anche e soprattutto da quella del potere politico. Nel 1103 preferì lasciare nuovamente il suolo inglese, recandosi a Roma da papa Pasquale II e poi a Lione. Solo nel 1106 poté far ritorno a Canterbury, dove morì il 21 aprile 1109, all’età di 76 anni, e fu sepolto nella cattedrale.

 

LA PROVA DELL’ESISTENZA DI DIO

Le preoccupazioni pastorali e i problemi politici che accompagnarono gran parte della sua vita non distolsero Anselmo dalla sua attività di pensatore e di scrittore, che fece di lui un grande maestro e una figura di monaco che non rinunciò mai al valore della preghiera e della contemplazione. Per le sue capacità speculative, la profondità e la vastità della sua cultura, Anselmo fu uno dei maggiori teologi cristiani. Quando, nel 1079, divenne abate di Le Bec, aveva già scritto due delle sue più celebri opere, il Monologion (Soliloquio) e il Proslogion (Colloquio).

Nella tradizione monastica che lo aveva preceduto si era sviluppata una teologia che era essenzialmente una esegesi della Bibbia. La teologia di Anselmo intende invece essere anche razionale argomentazione sulle verità bibliche. Già nel Monologion afferma di voler esporre una meditazione su Dio non partendo dalla Bibbia, ma assegnando alla ragione il compito di tradurre la certezza della fede in evidenze razionali. Nel Proslogion, un dialogo con Dio pieno di contemplazione mistica, tratta dell’esistenza di Dio e del modo di provarla attraverso la celebre prova di Anselmo, o “argomento ontologico”. Dio viene inteso come l’essere di cui non si può pensare il maggiore, mostrando poi come ciò che esiste nell’intelletto, per ciò stesso esiste nella realtà: “Non solo, o Signore, tu sei colui del quale non si può pensare cosa più grande, ma sei qualcosa di maggiore di quel che si possa pensare”.

Il breve trattato rivela tutta “la qualità teologica di Anselmo, nel senso che il suo problema appare insieme intellettuale e spirituale: egli intende indagare in che cosa consista la conoscenza di Dio e insieme cosa significhi la comunione con Dio.”

Nel Cur Deus homo? (Perché Dio si è fatto uomo?) Anselmo affronta il problema dell’incarnazione del Verbo e della redenzione dell’uomo. Non si basa sulle autorità tradizionali, le sacre Scritture e i Padri: perché anche gli increduli possano accettare le sue dimostrazioni occorre porsi sul piano delle ragioni della fede e produrre prove razionali. Il peccato dell’uomo ha infranto un ordine, e per riparare quest’ordine era necessario dar soddisfazione a Dio, cosa impossibile per l’uomo, essere finito, di fronte all’infinità del male compiuto: esso poteva venir riparato solo dall’uomo-Dio, il Cristo, che realizza la sua opera accettando per libera scelta la morte in croce. Ma nonostante tutte le spiegazioni umane, osserva Anselmo, esistono ragioni più profonde, che rimarranno sempre nascoste. L’avere la volontà di Dio compiuto un’azione deve già essere, per noi, una ragione sufficiente, anche quando la causa ci resta sconosciuta, perché la volontà divina non è mai in contrasto con la ragione. L’unità metodologica di Anselmo, presente in tutta la sua opera, è ancorata a due termini, intelletto e fede.

Nel periodo in cui resse la sede di Canterbury, Anselmo scrisse una serie di altre opere, nelle quali sviluppò un programma teologico che poneva sempre al centro Dio nella sua vita trinitaria e l’uomo nella sua esistenza specifica, che è quella della libertà alla ricerca dell’ordine stabilito da Dio. Ma gli anni di Canterbury sono anche quelli dell’esperienza del governo ecclesiastico, condotto sempre con grande abilità politica, che assicurò alla sua sede una ampia autonomia. L’opera e il pensiero politico di Anselmo, che possiamo seguire e scoprire anche nel suo nutrito epistolario, appare ispirata da una coscienza profetica e si incentra sul termine consilium, che appare ripetutamente utilizzato per indicare la qualità del governante giusto, le cui scelte riguardano non il bene della sua persona, ma quello della società al servizio della quale si trova.

La spiritualità di Anselmo, presente in tutte le sue opere teologiche, appare in modo particolarmente evidente nelle Orazioni, monologhi con Dio, la Vergine e i santi, e nelle Meditazioni, riflessioni sulla condizione dell’uomo, nelle quali Anselmo recupera ampiamente il linguaggio di Dio come amore. Anselmo fu canonizzato nel 1170 da papa Alessandro III, su iniziativa di Tommaso Beckett. Fu poi proclamato dottore della Chiesa nel 1720 da papa Clemente IX.

Fonte: famigliacristiana.it