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America2020: Casa Biden e TrumpAmerica. Il punto della corsa

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AGI – È finita? Sì e no. Sì, la prima parte del romanzo di America 2020 è (quasi) conclusa. Il conteggio è ancora in corso, sono le 21:30 ora di Washington DC, Biden è a quota 264 voti e Trump è fermo a 214. Il candidato democratico ha 6 vie possibili per conquistare i 6 voti che gli mancano per toccare quota 270 e diventare presidente. È vicino alla meta, Casa Biden. La riscossa dei dem dopo quattro anni si consuma negli Stati disuniti d’America.

La vittoria di Biden sta maturando in maniera a dir poco rocambolesca: dato come vincitore facile dai sondaggi, all’inizio dell’Election Night è partito a razzo, poi è precipitato e infine è risalito in quota staccando Trump che sembrava avviato a trionfare. La sconfitta dei sondaggisti – e del giornalismo a una dimensione – coincide con una strana vittoria di Biden. Ma pur sempre vittoria.

La storia del voto ha un solo bagliore per il candidato dem, ma è quello che gli sta regalando la Casa Bianca, la presa di Arizona, Wisconsin e Michigan, tre Stati che erano diventati rossi nel 2016. Rosso, blu. Shifted, cambio di colore. 

A Trump resta una possibilità

Per Trump c’è una sola possibilità di sopravvivenza: restare in gara in Pennsylvania (e vincere), mettendola insieme a un’affermazione in Georgia, North Carolina e Nevada, qui ci sono i 56 voti che gli mancano per restare presidente.

Possibile? Tutto è possibile, ma è Biden che vede l’ingresso della Casa Bianca sempre più vicino con il passare delle ore. E il risultato del Nevada arriva oggi. Sarà blu o rosso? 

Nel frattempo, i pezzi sulla scacchiera di Biden e Trump stanno girando vorticosamente. Prima di tutto, la comunicazione. Sul taccuino ci sono una serie di fatti, vediamoli.

1. Il candidato dem ha parlato dal quartier generale di Wilmington, affiancato da Kamala Harris (che non ha proferito parola). Intervento breve, non ha mai dichiarato una vittoria ufficiale (“non sto dicendo che ho vinto, ma penso che vinceremo”) e tuttavia si è espresso con il tono di un presidente in pectore, evocando l’unità del paese, il primato del popolo e della Costituzione (“We, The People”), la democrazia, Dio e naturalmente, come ogni Commander in Chief, le forze armate. Tanto non-vittorioso da lanciare in serata perfino un sito per la fase di transizione verso la Casa Bianca. Gli atti negano le parole, Biden pensa (è evidente) di essere il nuovo presidente;
2. Trump sapeva ovviamente che Biden si sarebbe pronunciato e poco prima ha fatto partire un fuoco di sbarramento in cui via Twitter annunciava la presa della Pennsylvania che in realtà è ancora da assegnare. 
3. Subito dopo il discorso di Biden, ecco per le strade di Filadelfia l’ex procuratore Rudy Giuliani in compagnia di Eric Trump (il figlio di The Donald) e Pam Bondi, ex procuratrice della Florida, una repubblicana infiammabile, fece il discorso più duro contro Biden alla Convention del Gop. Un team legale agguerrito. Per fare cosa? 

Operazione da guastatori

È chiaramente un’operazione da guastatori. Trump si sta muovendo in due direzioni: la prima, prevenire la vittoria di Biden sul piano della comunicazione; la seconda, lanciare la guerra lampo con gli avvocati. 

Il presidente è senza dubbio un creativo (anche a suo danno), ma non improvvisa mai, come qualcuno può pensare, The Donald ha sempre un piano: è dall’estate che parla di voto postale e brogli, “rigged election”, elezioni truccate, è una frase che dall’agosto scorso ha pronunciato 200 volte (statistica di Factbase). Il voto per corrispondenza ai suoi occhi (e aveva ragione) era la minaccia più grande sulla sua riconferma. Tutto è puntualmente accaduto.

La partita in realtà è già proiettata oltre il voto. Una vittoria in extremis di Trump è un fatto possibile, ma remoto. In pentola stanno bollendo altre pietanze. Quali?

Se Biden dichiara nelle prossime ore la vittoria (e prudentemente non l’ha fatto ieri, per ragioni che saranno evidenti tra qualche riga), allora Trump non la concederà mai per la semplice e inesorabile ragione che se non centra il filotto del miracolo (Pennsylvania + Georgia + North Carolina + Nevada) deve aprire il vaso di Pandora del caos giuridico con questo schema: raccolgo un numero di casi il più elevato possibile, in più Stati chiave per l’esito del voto e faccio tutto il percorso fino alla Corte Suprema, un collegio di giudici a schiacciante maggioranza conservatrice (6 a 3) dopo la nomina di Amy Coney Barrett.

Il fattore Corte Suprema

Data di scadenza per portare a termine questa operazione, 14 dicembre, il giorno in cui si riuniscono i grandi elettori che voteranno per il presidente (ricordiamo che alla fine è un collegio che decide chi va alla Casa Bianca). Quello sarà anche il termine di un’eventuale sentenza della Corte Suprema. Lo schema è quello di vent’anni fa, la decisione sulla Florida per la sfida del 2000 tra Al Gore e George Bush junior. Finì con un presidente repubblicano alla Casa Bianca. Stavolta sembra un’impresa, ma Trump tenta il ritorno al futuro.

Sono tre fasi che vanno lette in sequenza: iniziativa di Biden che si prepara a dichiarare vittoria, sbarramento di Trump, avvio di azioni legali. Come si chiama tutto questo? Gioco d’anticipo. Essere pronti a tutto per entrare o non uscire dalla Casa Bianca. 

C’è anche un altro obiettivo nei disegni che Trump fa in queste ore: bisogna arrivare in tribunale, non rinunciare a nessuna iniziativa, tenere testa all’ascesa di Biden serve a tenere desta la sua fan base e la presa sul partito repubblicano. Gli sta sfuggendo di mano la Casa Bianca – luogo che ama perché metafora della potenza – ma non vuole perdere la leadership sulla “nazione rossa”, perché nel 2016 non aveva un movimento, era un outsider che destava curiosità e entusiasmo tra gli elettori, ma quattro anni dopo nell’infausto 2020, c’è davanti a lui e al suo clan una cosa che prima non c’era: la TrumpAmerica.

Vedi: America2020: Casa Biden e TrumpAmerica. Il punto della corsa
Fonte: estero agi


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