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Rosa Chemical: “Nella scena rap manca sincerità e inventiva”

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Il primo aprile è uscito l’ultimo disco di Rosa Chemical, alias Manuel Franco Rocati, classe ’98 da Alpignano in provincia di Torino, un repack di quel “Forever” che lo aveva già piazzato tra i più interessanti artisti della scena urban italiana; il titolo è “Forever And Never”, 18 tracce nelle quali, appunto, cambiano i temi, cambia la struttura del prodotto canzone, cambia l’atteggiamento solito del genere.

Messe da parte sparatorie e droghe, messo da parte il sessismo, con l’obiettivo di mostrare un’estetica estremamente artistica, Rosa Chemical è un diverso ed è in questa sua diversità che risiede anche la sua unicità, ciò che colpisce, spiazza, incuriosisce. Il nome d’arte femminile che cela un uomo che però non conduce battaglie acchiappalike in nome di chissà quale perversione, anzi, si propone come crossover tra trap e cantautorato, inteso come volontà assoluta, prioritaria, di raccontare qualcosa.

A differenza di tanti tuoi colleghi l’impressione è che tu abbia la volontà precisa di creare un personaggio attorno alla tua musica, quindi chi è Rosa Chemical?

Più che creare un personaggio, quello a cui tengo è creare un’estetica alla mia musica, perché alla fine quello che si vede da fuori, questo specie di personaggio, non è altro che l’estremizzazione di quello che sono io, non ci stiamo inventando una parte. Magari per questo funziona un po’ più di altri progetti in cui si vede che la persona sta fingendo.

Credi che al giorno d’oggi sia necessario nell’ambiente musicale che il messaggio che si vuole mandare con la musica sia accompagnato da un’estetica di questo tipo?

Non è necessario che sia accompagnato da un’estetica così particolare, anche perché riconosco di non essere tra quelli che vanno per la maggiore, il mio progetto è ancora un po’ di nicchia. Però per quanto riguardo l’estetica assolutamente, secondo me nel 2021, con tutta questa saturazione, c’è bisogno di dare qualcosa di diverso, di accompagnare la musica ad un’estetica, per valorizzarla. Il talento non basta più, ci vuole un po’ di inventiva…

Cosa ti dà il rap?

Il rap non è stata una scelta, è stata più che altro una condizione. Arrivando dall’ambiente hip hop, quindi graffiti, jam, gente che faceva freestyle…è il primo genere al quale mi sono appassionato direttamente. Ascoltavo anche altro, metal, musica elettronica, un po’ di pop, ma il rap mi è entrato proprio dentro. Io comunque non mi sono fossilizzato sul rap.

Possiamo dire che il tuo progetto non ha esatti confini…?

Si, assolutamente.

La tua carriera parte nel 2018, sembra tantissimo perché il tuo nome gira già negli ambienti più in vista, ma in realtà è molto poco. Come hai trovato il mondo della musica?

Non ho trovato quello che mi aspettavo. Io con il mio team mi trovo superbene, quindi riguardo gli addetti ai lavori non posso dire niente, però ho trovato tanta finzione nel nostro ambiente. Guarda adesso cosa va di più, va un sacco “Ammazzo di qua”, “Sparo di là”, “Sono gangstar di qui”, “Fumo di lì”…sembra quasi che se non dici quelle cose non puoi essere accettato, quando in realtà non è vero, basta semplicemente fare qualcosa di diverso. Secondo me manca sincerità. Poi è un discorso è ampio perché non sono tutti così, ma manca un po’ di inventiva a questa scena.

Tra le tue numerose collaborazioni, al contrario, chi hai trovato particolarmente sincero, particolarmente artista, particolarmente interessato più alla musica che all’immagine che dalla musica ne può derivare?

È stato bellissimo conoscere Rkomi, è proprio un artista. Poi io ho un mio carissimo amico con cui collaboro dagli albori della mia carriera che è Radical, anche lui è artista, crazy davvero. È stato assurdo poi, anche se a distanza, lavorare con Gue Pequeno, è 15 anni che sta sul pezzo, è sempre il king della scena.

 

Cosa è cambiato nella tua vita privata da quando hai fatto successo con la musica?

Mi sono ritornati gli attacchi d’ansia.

Derivanti dalla pressione del dover soddisfare un pubblico…?

Si, poi gente che ti segue sotto casa…io non sono quel genere di persona pronta a gestire tutto questo. Poi vai in un posto e devi stare attento a scaccolarti perché sai perfettamente che c’è un fan che ti sta facendo la foto, cambia un po’ proprio la vita. All’inizio vuoi questo, poi devi imparare a gestirlo.

Il pubblico del rap in Italia è molto giovane, in passato ci sono state tante (sterili) polemiche rispetto ai temi del rap. Tu ti senti responsabilizzato nel momento in cui scrivi i tuoi pezzi sapendo che vanno a finire nelle orecchie di ascoltatori così giovani?

Io ho le inside di Instagram stampate nel cervello e so che il 60% dei fans ha tra i 18 e i 24 anni, non mi ascolta molto quella fascia minorenne, sarà il 10%, che è pochissimo. Uno si aspetta che mi ascoltino solo ragazzini ma non è così. In realtà non mi sento responsabilizzato perché sento che il mio lavoro non è quello di dare lezioni di vita, sicuramente io mi impegno per mandare un messaggio positivo per quanto riesco, ma penso che non sia il mio lavoro; è più un lavoro per i genitori, per i professori a scuola. Io non riuscirei mai a fare un disco dove racconto solo di sparatorie, perché non mi appartiene questa roba; poi è anche sbagliato pensare che la musica non debba trattare determinati argomenti, è una cazzata, altrimenti la generazione di mia mamma con Davide Bowie e Lou Reed che si facevano le pere nei piedi…

Il rischio, questo più reale, più che altro è quello dell’effetto “Gomorra” o “Romanzo criminale”, far pensare ai più piccoli che certe cose ti facciano sembrare più figo…questa è l’unica cosa che fa venire dubbi, ma non è certamente colpa dei rapper, è sempre eventualmente colpa di genitori e insegnanti.

Esatto, io non ho cominciato a far musica per gli altri, io ho cominciato perché avevo bisogno di sfogarmi, mettere delle note musicali ai pensieri che avevo in testa. Poi sono anche diventato famoso e non è che io devo dire le cose in un certo modo, sennò altrimenti…questa è la chiave di lettura del ragazzo che dipende dall’educazione. Poi io sono uno che si impegna a mandare un messaggio positivo, anche nelle dirette Instagram ho sempre detto di non drogarsi, di trovare un obiettivo, di coltivare dei sogni, cosa che altri magari non fanno.

Un ruolo importante nella costruzione del tuo personaggio è questa assenza di sessualità, tu lo hai detto più volte “a me non frega niente, non vi dirò mai con chi mi piace andare a letto”, ma nel contesto rap italiano proprio la sessualità che importanza sta avendo? Perché parallelamente a narrazioni come la tua, nella scena rap troviamo anche il contrario, quindi il parlare delle donne in un certo modo…tu ci leggi un problema in questo rap di oggi?

Certo, è la prima cosa che ti coglie quando inizi ad ascoltare rap. Pensi “Quindi si può dire anche questo?”. Chiaramente dipende da che persona sei, ci sono delle letture chiave nel rap per cui se dici quel determinato genere di cose sei un figo. Agli inizi posso averle dette anche io, è come la rima cuore-amore dire “La tua tipa è una m…a”. Io qualche frase del genere l’ho scritta, pensavo facesse parte del gioco, poi uno ci ragiona e si chiede “Ma perché io devo sottostare a tutto questo? È tutto ciò contro cui io combatto nella vita di tutti i giorni”. Perciò no, a quel paese il machismo, a quel paese l’omofobia…mi trovo allibito spesso, uno si aspetta che queste cose qua le dicano gli adulti, gente di generazioni più avanti, invece anche i ragazzini, è un lavoro da fare alla radice.

Qual è il tuo obiettivo come artista?

Materialmente è quello di sistemarmi: casa, casa dignitosa in un certo modo, in un certo posto, macchina, casa alla mamma…sistemare me e l’ambiente che mi circonda, essere proprio sistemato. Per quanto riguarda obiettivi non tangibili, sembro un megalomane ma è quello di stare primo in tutte le classifiche d’Italia e di farmi un bel tour mondiale, con tutto sold out però, perché bisogna descriverli bene i sogni.

 

Source: agi


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