Type to search

Plaza de Mayo aprile 1977: La scomparsa dei diritti

Share

 

fonte@ maremosso.lafeltrinelli.it/

La lotta nata dal basso, simbolo della resistenza contro il regime militare

Fondazione Feltrinelli accende Luce sulla Storia. Perché la Storia è il sole nella cui luce muoviamo i nostri passi, tutti i giorni. Perché conoscere quel che è accaduto è il modo migliore per capire quel che sta accadendo oggi

Il 30 aprile 1977 sedici donne, madri di ragazzi e ragazze desaparecidos, arrestati e fatti scomparire dalla polizia della dittatura militare (1976-1983), si recano in Plaza de Mayo per manifestare di fronte alla Casa Rosada, la sede del governo, chiedendo notizie dei propri figli. Da allora ogni giovedì pomeriggio, sempre più numerose, le madri (e le abuelas, le nonne) di Plaza de Mayo si sono ritrovate nella piazza principale di Buenos Aires.

La richiesta di verità ha rappresentato uno degli episodi più importanti nella battaglia per i diritti umani e contro la loro continua violazione da parte della dittatura argentina.

Ogni grande battaglia vittoriosa per i diritti è sempre nata dalla volontà di un piccolo gruppo di opporsi a un’ingiustizia intollerabile, trovando le forme di comunicazione per raggiungere, con la propria protesta, un pubblico sempre più vasto e costringere il potere a riconoscere la propria violenza. Questa lotta, nata dal basso, spontaneamente, senza indicazioni politiche, nel giro di qualche anno è diventata simbolo della resistenza contro il regime militare, che si affermò con il golpe del 24 marzo 1976

I desaparecidos raggiunsero in Argentina circa le 30mila unità ma il fenomeno fu comune a gran parte del Sudamerica dominato negli anni settanta dai regimi militari.

«È un’incognita, è un desaparecido, non ha entità, non c’è. Né morto né vivo, è desaparecido» – è stato il dittatore argentino Jorge R. Videla, nel dicembre del 1976, a dare quella che forse è la definizione più nota della desaparición.

Pochi mesi prima il generale aveva specificato, di fronte alle sue Forze Armate, che nel paese non sarebbero state permesse azioni disgreganti e anti-nazionali in nessun ambito: nella cultura, nei mezzi di comunicazione, nell’economia, nella politica e nei sindacati (“La Nación”, 9 luglio 1976). E, naturalmente, nel mondo della scuola, dove si sarebbe dovuto vegliare su alcune materie – storia, educazione civica, economia, geografia e religione – e su alcune pratiche, come quella di commentare in classe l’attualità. Come quella, in sostanza, di pensare. La dittatura argentina, così come gli altri regimi “gemelli” che hanno insanguinato l’America Latina tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, puntava naturalmente al futuro: il Ministerio de Educación, ad esempio, vantava al suo interno un ufficio del SIDE (il Servicio de Inteligencia del Estado) per individuare in ambito educativo le persone sospette di essere “sovversive”. E farle così sparire: la stragrande maggioranza dei desaparecidos argentini, oggi lo sappiamo, avevano tra i 16 e i 35 anni.

Nel discorso d’insediamento, il Presidente peronista Kirchner ha affermato di far parte di una ‘generazione decimata’ e si è dichiarato ‘figlio’ delle Madres e delle Abuelas (Discorso all’ONU, 25 settembre 2003). Dopo anni di amnesia, si deve alla sua presidenza il percorso di “necessaria riconciliazione nazionale”.

Sul fronte della giustizia, fra il 2003 e il 2007, Kirchner infatti annulla il decreto che impedisce l’estradizione dei militari per i processi all’estero, ottiene l’annullamento dal Congresso delle leggi d’impunità e dalla Corte Suprema degli indulti, consentendo così la riapertura dei processi contro centinaia di militari e di civili sino ad allora impuniti (con la simbolica condanna all’ergastolo di Videla nel dicembre 2010), cui si affiancano, per tutto il kirchnerismo (2003-2015), le iniziative dei parenti delle vittime e dei sopravvissuti nella ricerca della Verità e nella promozione della Memoria.