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L’imprenditore è una componente fondamentale del mondo del lavoro e il suo ruolo non va confuso col concetto di capitale

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 Il 14 marzo 1883, all’età di 65 anni, si spense nella sua casa di Londra Karl Marx. Nel 139° anniversario della morte pubblichiamo una riflessione dell’economista Renato Costanzo Gatti sull’attualità del pensiero del genio di Treviri

di Renato Costanzo Gatti

Nel suo interessantissimo lavoro “L’attualità di Karl Marx a 200 anni dalla nascita. Lavoro, valore, sfruttamento” (Fondazione Stensen, Firenze, 13 ottobre 2018) Leonello Tronti, economista dell’Università degli Studi Roma Tre, contesta il concetto di sfruttamento basato sul fondamento valore-lavoro che Marx ha ripreso con “un’interpretazione un po’ sbrigativa dal pensiero di Adam Smith” ritrovandolo tuttavia nella “strutturale asimmetria dei poteri contrattuali” tra impresa e lavoratori, fenomeno esaltato, nei tempi attuali, da “un’altrettanto profonda asimmetria, di carattere informativo, che regola alcune forme di lavoro e di produzione di valore trasformandole in sfruttamento. Si tratta del lavoro in piattaforma, della gig economy organizzata in reti, della raccolta a titolo gratuito, attraverso il web, di informazioni personali dotate di valore economico e altro ancora – attività che sono consentite dal muro di conoscenza cristallizzato nelle piattaforme, negli algoritmi e nel web, che separa in modo insuperabile chi governa i sistemi e chi ne è governato”.

Mi sorprende, innanzitutto, che l’autore, nel contestare la validità del valore-lavoro non faccia accenno a Piero Sraffa che, nel suo testo “Produzione di merci a mezzo di merci”, ha smontato quell’eguaglianza così come ha demolito la contrapposta tesi marginalistica. Ma non è questo il punto che voglio approfondire.

Nel suo testo Tronti fa, a mio parere, un errore di impostazione quando contrappone l’imprenditore, quale acquirente di lavoro, al lavoratore, quale venditore di quella merce. Ritengo infatti che la contrapposizione non sia tra quelle due figure, dal momento che l’imprenditore è una componente fondamentale del mondo del lavoro, un lavoro che, come scrive Marx, è “dispendio di cervello, muscoli, nervi, mani etc.”. Come Marx dà un differente peso al lavoro più o meno specializzato, così l’imprenditore è, e come tale va considerato, una componente molto qualificata del mondo del lavoro, una componente indispensabile e determinante, e quindi non necessariamente in conflitto con gli altri componenti, meno qualificati, del mondo cui entrambi appartengono: quello del lavoro.

La contrapposizione è tra capitale e lavoro, contrapposizione in cui spesso, anche per ragioni storiche ed in particolare nel nostro paese, l’imprenditore viene confuso erroneamente con il capitale ma ne è, concettualmente, assolutamente distinto, nel senso che il contributo dell’imprenditore è un contributo di lavoro “vivo”, mentre il contributo del capitale è un contributo di lavoro “morto”, così come non è contributo di lavoro quello generato dalla rendita.

Certo l’imprenditore opera spesso con una filosofia consona a quella del capitale e quindi in conflitto con quella del lavoro, e ciò per una subalternità all’egemonia del capitale, ma in momenti critici può entrare in conflitto col capitale specie nel caso in cui si spostino fondi o si privilegino investimenti al di fuori dell’impresa. È il caso in cui il capitale dirotta i suoi fondi su altre imprese o, soprattutto, su investimenti finanziari, come sempre più spesso accade nella fase finanziaria del capitalismo. Il capitale infatti va alla ricerca del massimo profitto qualunque ne sia la fonte, mentre l’imprenditore cerca la miglior combinazione dei fattori della produzione e si aspetterebbe fondi per innovare il modo di produzione.

Marx inoltre, nel suo libro “Critica del programma di Gotha” (il programma di Gotha è un documento del 1875, alle origini della socialdemocrazia tedesca), contesta l’uso acritico, fatto da ambienti socialdemocratici, di espressioni come il diritto dei lavoratori a ripartirsi i prodotti del lavoro, e insiste sulle detrazioni che debbono essere effettuate, in particolare quella destinata alla “estensione della produzione”, esprimendo quindi il concetto per cui “lo sfruttamento” non risieda tanto nell’appropriazione di fondi da parte del capitale, quanto nell’appropriazione da parte di questo del potere discrezionale su come disporre del plusvalore generato nel processo produttivo. L’obiezione di Marx non era tanto sui livelli salariali, caratterizzanti il momento economico-corporativo, quanto sulla rivendicazione del potere di controllo del sovrappiù. I lavoratori rivendicano il poter decidere quanto del sovrappiù debba andare al consumo e quanto all’accumulazione, ai progetti di utilità comune, alla ricerca per l’innovazione. Come scrive Leszek Kolakowski in proposito, a conclusione di una discussione basata anch’essa sulla Critica al programma di Gotha: “Exploitation, in fact, does not signify either that the worker receives less than the equivalent of his product, or that incomes in general are unequal or even that the bourgeoisie pay for their luxuries out of unearned income. Exploitation consists in the fact that society has no control over the use made of surplus product, and that its distribution is in the hands of those who have an exclusive power of decision as to the use of the means of production.” (“Sfruttamento, infatti, non significa né che il lavoratore riceva meno dell’equivalente del suo prodotto, né che i redditi in genere siano disuguali e neppure che la borghesia paghi i propri lussi con un reddito da lavoro. Lo sfruttamento consiste nel fatto che la società non ha alcun controllo sull’uso che si fa del plusprodotto, e che la sua distribuzione è nelle mani di coloro che hanno un potere esclusivo di decisione sull’uso dei mezzi di produzione”.)

Ritorna quindi la categoria di “strutturale asimmetria dei poteri contrattuali” citata da Tronti, muta però l’oggetto del contendere che non consiste solo nelle condizioni di lavoro, ma diventa un tema di egemonia nelle scelte economiche nella fase pre-distributiva: quelle del capitale ispirate alla massimizzazione del profitto opposte a quelle del mondo del lavoro ispirate a scelte razionali e scientifiche finalizzate al benessere della comunità.