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Maria Montessori

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Larry Page e Sergey Brin, i due fondatori di Google, hanno un segreto. L’hanno rivelato durante una seguitissima trasmissione tv americana. Il loro successo dipende soprattutto dalla scuola che hanno frequentato insieme da piccoli: la Montessori. Perché è stato lì che hanno imparato a essere autonomi, ad automotivarsi e hanno potuto seguire i loro interessi personali in piena libertà. Anche Jeff Bezos, mago della logistica e fondatore di Amazon, ha una solida formazione montessoriana. Nella Giornata mondiale degli insegnanti, vediamo più da vicino, dunque, in cosa consistono le preziose intuizioni sul metodo d’insegnamento di Maria Montessori ritenute valide ancora oggi.

LE POTENZIALITÀ DEI PIÙ DEBOLI. Tutto ebbe inizio il 6 gennaio 1907, quando Maria Montessori, medico e psichiatra, aprì la prima Casa dei Bambini nel poverissimo quartiere di San Lorenzo di Roma, vicino al cimitero del Verano. Un quartiere dove la gente perbene andava solo da morta. Prima di quel giorno la dottoressa Montessori, una delle tre prime donne laureate in medicina (1896) dalla nascita dell’Italia Unita, aveva già sperimentato un nuovo metodo educativo con i piccoli ricoverati al manicomio di Roma, all’epoca definiti “insufficienti mentali” o frenastenici.

Proprio con loro aveva usato del materiale didattico costruito per la stimolazione sensoriale: figure a incastro, lettere intagliate, blocchi da ordinare dal più sottile al più grosso. «Sperimentando otto o nove ore al giorno con una cinquantina di bambini aveva scoperto che anche loro potevano imparare, con il fare e con il movimento. Che i sensi erano una porta aperta sulla loro intelligenza», spiega Paola Trabalzini, docente di Scienza dell’educazione e della formazione all’Università La Sapienza di Roma. «E quando i suoi allievi si presentarono a fare degli esami con scolari “normali”, ebbero risultati simili o uguali a quelli degli altri. Come era potuto accadere? La scienziata pensò che forse i bambini delle scuole “normali” non ricevevano gli stimoli giusti».

SCUOLA SPERIMENTALE. L’occasione per la nuova sperimentazione, quella che diventerà famosa in tutto il mondo, si creò nel 1907. Quando l’Istituto Romano di Beni Stabili chiese proprio a Maria Montessori di organizzare la scuola infantile dentro la casa di via dei Marsi 58, da poco ristrutturata e affittata a prezzi “equi”. Si trattava di togliere dalla strada i ragazzini tra i tre e i sette anni di queste povere famiglie, in cui spesso a lavorare erano entrambi i genitori. Così al pianterreno dello stabile nacque la prima Casa dei Bambini, aperta dalle nove del mattino alle sette di sera, che la Montessori arredò subito con tavolini e seggiolini a misura di bimbo e il particolare materiale didattico che aveva usato con i piccoli “insufficienti mentali”.

Lì, sul campo, stava nascendo il metodo Montessori, quello che è ancora seguito in migliaia di scuole in tutto il mondo. A MISURA DI BAMBINO. Nelle classi delle scuole Montessori, a parte la presenza di tavolini, seggiolini e maniglie basse (ormai il “marchio” del metodo Montessori), non esistevano le cattedre e le maestre stavano accanto ai bambini, in piedi o sedute. I bimbi lavoravano da soli o in piccoli gruppi. E ognuno sceglieva in autonomia cosa fare e per quanto tempo. Anche oggi è così: nelle classi c’è chi conta con la catena del cento e del mille (un serpentone composto da mille perline), chi conta invece usando la banca delle unità, decine e centinaia o le aste numeriche rosse e blu che fanno “scoprire” le quantità da 1 a 10, c’è chi scrive con singole lettere su un panno verde e chi, un po’ più grande, compone poligoni unendo triangoli detti “costruttori”. Qui si impara a leggere, scrivere e contare attraverso l’esperienza sensoriale: all’astratto si arriva dal concreto, grazie all’uso dei materiali elaborati sul campo dalla Montessori nelle Case dei Bambini (oltre a quella di San Lorenzo dopo il 1907 ne nacquero altre a Roma, una a Milano e altre ancora nell’Agro Pontino appena bonificato e nel Meridione). La grande torre di cubi che si usa ancora oggi, per esempio, è rosa perché i bambini avevano dimostrato di avvicinarsi con maggior curiosità alla torre di quel colore.

UNA SCUOLA SENZA VOTI. Non esistevano voti, premi o castighi: questo era un altro pilastro del metodo Montessori, che ancora oggi all’inizio disorienta alcuni genitori. Il bambino non viene corretto a parole, gli si danno il tempo e l’occasione di verificare da solo se ha sbagliato. Si può solo immaginare cosa potevano significare idee simili ai primi anni del secolo scorso, quando a scuola si usavano come metodi correttivi botte, colpi di bacchetta o di cintura, per castigare si mandavano i ragazzi dietro la lavagna, in un angolo o dentro stanzini scuri e si premiavano i migliori con coccarde e medaglie. I banchi, allora, erano formati da un blocco unico fissato al suolo. Altro che arredi su misura di bambino!

CONTROCORRENTE. Il metodo Montessori fu inviso a tutti i regimi: tanto che durante il fascismo la dottoressa Montessori scelse di lasciare l’Italia. Il nuovo sistema educativo aveva infatti già conosciuto una fama internazionale. anche grazie alla pubblicazione de Il metodo della pedagogia scientifica applicato all’educazione infantile nelle Case dei Bambini (1909).

In uno dei tanti roghi di libri della Germania nazista furono bruciati nelle piazze sia i suoi scritti che la sua immagine. Correva l’anno 1933 e il Terzo Reich era in ascesa. «L’intuizione fortissima e assolutamente attuale di Maria Montessori fu di mettere al centro il bambino. La sua pedagogia scientifica, ora e allora, è un’organizzazione educativa a richiesta e misura del ragazzo», spiega Cinzia Vodret, insegnante Montessori e formatrice. «Non è lui a doversi adattare all’ambiente e all’insegnante, ma il contrario. Il metodo è il metodo del bambino e costruito su ogni singolo allievo. Noi non abbiamo standard e non proponiamo tappe uguali. I ragazzi non sono vasi vuoti da riempire e le possibilità si sviluppano solo se l’ambiente lo consente, ma all’inizio del secolo scorso era un concetto nuovo, dirompente». Secondo le scoperte della grande scienziata (che morì nel 1952 in Olanda dopo aver vissuto a Barcellona, in India e dopo aver fatto viaggi in Europa e nelle Americhe), nei bambini esistono potenzialità impreviste e assolutamente individuali che gli insegnanti hanno il dovere di favorire.

PEDAGOGISTA TASCABILE. Ormai la fama della “liberatrice dei bambini” e delle sue scuole è maggiore all’estero che in patria. La scienziata stimata da colossi della psicologia come Sigmund Freud e Jean Piaget, denominata neuropsichiatra infantile a tutti i titoli da un celebre pediatra come Giovanni Bollea, la donna che ricevette anche una candidatura al Nobel per la Pace è stata per anni… nelle tasche di tutti noi: dal 1990 fino all’introduzione dell’euro sulle comunissime mille lire c’era il suo viso. E sul retro della banconota stavano due bambini di inizio Novecento in diligente atteggiamento di studio, che lei sembrava vigilare.

Fonte: Focus