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Le Nazioni Unite

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fonte@Treccani.it

L’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) è un’unione di Stati a competenza generale e a vocazione universale, fondata nel 1945. Suoi obiettivi, elencati all’art. 1 della Carta delle Nazioni Unite, sono: mantenere la pace e la sicurezza internazionale (Sicurezza collettiva); sviluppare relazioni amichevoli fra le nazioni, sulla base del rispetto dell’eguaglianza dei diritti e dell’autodeterminazione dei popoli; promuovere la cooperazione internazionale in materia economica, sociale e culturale (Cooperazione allo sviluppo), nonché il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (Diritti umani. Diritto internazionale). Dell’ONU, operativa dal 1946 e con sede a New York, fanno parte 193 Stati. Nel 2001 è stato conferito all’ONU e al suo Segretario generale di allora K. Annan il premio Nobel per la pace.

CENNI STORICI

Durante la seconda guerra mondiale “Nazioni Unite” fu la denominazione indicante il complesso degli Stati in guerra contro le potenze del Tripartito. Sulla base ideologica della Carta Atlantica, il 1° gennaio 1942, 26 Stati sottoscrissero a Washington la Dichiarazione delle Nazioni Unite, impegnandosi a mettere in comune per le esigenze belliche le proprie risorse e a non concludere armistizio e pace separata con i nemici.

Attraverso varie tappe (conferenze di Mosca 19-30 ottobre 1943, Dumbarton Oaks 21 agosto-7 ottobre 1944, Yalta 4-11 febbraio 1945), l’azione diplomatica di Stati Uniti, Unione Sovietica e Gran Bretagna spinse l’iniziativa verso la costituzione di un’organizzazione internazionale per il mantenimento della pace, basata sul principio della sovrana uguaglianza degli Stati membri. Tale costituzione, che in parte riprese caratteri già propri della Società delle Nazioni, fu realizzata nella conferenza di San Francisco (25 aprile-26 giugno 1945), ove 50 nazioni sottoscrissero la Carta delle Nazioni Unite, entrata in vigore il 24 ottobre 1945.

L’impegno a favore della pace

I presupposti dai quali, alla fine della seconda guerra mondiale, il sistema di sicurezza dell’ONU traeva origine consistevano sia nella convinzione che nessuna efficace tutela della pace nel mondo avrebbe potuto realizzarsi senza un’azione di comune accordo fra le maggiori potenze internazionali sia nella esigenza di limitare il più possibile, nelle situazioni di minaccia alla pace, l’uso unilaterale della forza armata da parte degli Stati, attribuendone il monopolio al Consiglio di sicurezza, che avrebbe dovuto garantire interventi rispondenti alla volontà comune delle principali componenti della comunità internazionale.

Ma, oltre al limite costituito dalla facoltà di veto concessa ai membri permanenti del Consiglio, che impedisce di procedere in senso contrario alla volontà anche di una sola di tali potenze, la netta divisione della comunità internazionale in due blocchi principali (occidentale, composto dagli Stati sviluppati e a economia capitalista, e orientale, composto dagli Stati con regimi di socialismo reale) e, soprattutto, la contrapposizione frontale fra le due maggiori potenze di ciascuno di tali blocchi, USA e URSS, precluse a lungo il formarsi di una volontà comune dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza in relazione alle principali crisi e ai conflitti internazionali.

In secondo luogo, l’impegno assunto dagli Stati membri di mettere a disposizione contingenti e attrezzature militari tali da permettere la costituzione di una forza armata permanente dell’ONU rimase sulla carta, rendendo di fatto impossibile una gestione diretta da parte del Consiglio di operazioni militari intese a fermare e a reprimere atti di aggressione o altre gravi violazioni della pace. L’unico intervento incisivo dell’Organizzazione all’epoca della guerra fredda si ebbe nel 1950 quando il Consiglio di sicurezza autorizzò l’uso della forza armata da parte degli Stati membri per reagire all’attacco portato dalla Corea del Nord alla Corea del Sud: autorizzazione accompagnata da una massiccia azione di truppe statunitensi che respinsero nelle posizioni originarie le forze nordcoreane. Nonostante la paralisi pressoché totale del Consiglio di sicurezza, qualche altro risultato fu egualmente raggiunto: va ricordato l’invio di numerose forze di pace (UN peacekeeping forces) per assicurare sia il rispetto di accordi di cessate il fuoco sia il mantenimento di zone cuscinetto fra le parti belligeranti (Peace-keeping).

Inoltre, relativamente all’aspetto preventivo dei conflitti internazionali, le Nazioni Unite rappresentarono il principale foro internazionale in cui si è combattuta la guerra fredda, mantenendola su un piano politico-diplomatico, senza degenerare in uno scontro armato o in una rottura insanabile. Infine, va ricordata la costante azione per un disarmo multilaterale e per la non proliferazione e il divieto di uso e di commercio di armi nucleari e termonucleari.

Il periodo successivo alla caduta del Muro di Berlino

I mutamenti nella situazione politica mondiale, a seguito del crollo dei regimi comunisti nell’Est europeo (1989-91), hanno inciso sensibilmente nella composizione e negli equilibri dell’ONU. Non solo, infatti, dal 1991 al 1993 si aggiunsero ben 17 nuovi Stati membri ma, soprattutto con la dissoluzione dell’URSS, venne a mancare una delle grandi potenze che avevano dato origine all’intero sistema, condizionandone a lungo il funzionamento.

Il mutato quadro politico fece emergere una rinnovata possibilità di azione da parte del Consiglio di sicurezza. Nel 1991, dopo l’invasione e l’annessione forzata del Kuwait da parte dell’Iraq dell’agosto 1990, l’ONU affidò a una coalizione di forze composte dai maggiori e dai minori paesi membri delle Nazioni Unite il compito di respingere fuori dal Kuwait gli iracheni, attraverso un intervento militare guidato dagli Stati Uniti. Diverso e sicuramente meno incisivo fu il ruolo dell’ONU in Ruanda, quando il conflitto tra hutu e tutsi esplose violentemente nel 1994. Nessun intervento di interposizione tra le parti sembrò praticabile da parte dell’ONU, che promosse comunque aiuti umanitari per attenuare, quantomeno, la portata del disastro. La crisi scoppiata nella Iugoslavia nel 1992, con la dissoluzione della Repubblica popolare federale, espose l’ONU a difficili e inconcludenti iniziative. Dal giugno 1992 forze di interposizione ONU vennero dispiegate a Sarajevo e in altre zone del paese, e nel settembre una risoluzione del Consiglio di sicurezza bandì i voli militari nello spazio aereo della Bosnia ed Erzegovina. Nel 1993, sei città musulmane, assediate dai Serbo-Bosniaci, furono poste sotto la protezione dell’ONU (con la missione UNPROFOR), ma nel suo insieme l’azione si rivelò fortemente inadeguata rispetto alla violenza del conflitto.

Successivamente, misure implicanti l’uso della forza sono state decise dal Consiglio di sicurezza per fronteggiare la minaccia del terrorismo internazionale (intervento in Afghanistan, 2001), o per porre fine a gravi e massicce violazioni dei diritti umani nel corso di una guerra civile (intervento in Libia, 2011). Complessivamente, l’ONU non sembra ancora aver assunto il ruolo di protagonista che le sarebbe proprio. Va peraltro considerato positivamente il crescente rilievo assunto dall’attività non coercitiva, consistente nell’invio di forze di pace in situazioni di grave e persistente crisi interna di alcuni Stati.

LA TUTELA DEI DIRITTI UMANI

In questo settore è stata elaborata e adottata in seno all’ONU una serie di importanti atti normativi, intesi a promuovere uno standard minimo di rispetto dei principali diritti umani e a condannare le più gravi violazioni di tali diritti (Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, 10 dicembre 1948; Convenzione contro il genocidio, 9 dicembre 1948; Dichiarazione e Convenzione contro la discriminazione razziale, 20 e 21 dicembre 1965; Patto internazionale sui diritti civili e politici e quello sui diritti economici, sociali e culturali, 16 dicembre 1966; Convenzione contro l’apartheid, 30 novembre 1973; Dichiarazione e Convenzione contro la tortura, 9 e 10 dicembre 1984; Moratoria universale della pena di morte, 18 dicembre 2007).

In secondo luogo, l’ONU si è impegnata nella denuncia e nella condanna di singoli paesi che violassero sistematicamente i più elementari diritti dell’uomo. In tal senso l’intervento più continuo ed efficace si è avuto nei confronti di Sudafrica e Rhodesia (odierno Zimbabwe) per il regime di apartheid; ma ripetute sono state pure le denunce delle violazioni perpetrate da Israele nei territori arabi occupati o da dittature militari come quelle di alcuni paesi latino-americani negli anni 1970-80.

L’azione a tutela dei diritti umani incontra tuttavia un limite di rilievo nello stesso statuto dell’Organizzazione, che vieta l’intervento negli affari interni degli Stati membri (Dominio riservato), finendo per impedire qualsiasi azione diretta in situazioni di grave violazione dei diritti dell’uomo; a meno che la violazione stessa non costituisca anche una minaccia alla pace, nel qual caso il divieto suddetto è inapplicabile.