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LA VITTIMIZZAZIONE SECONDARIA È UN’ARMA SUBDOLA: DISINNESCHIAMOLA COSÌ

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Di MARIA BELLOTTO

Essere oggetto di vittimizzazione secondaria è una conseguenza sottovalutata che può scoraggiare la vittima e avere conseguenze anche molto gravi sulla sua psiche. Ecco di cosa si tratta

Quando si è vittime, che sia un comportamento passivo-aggressivo, una relazione tossica o persino un reato, non è sempre facile reagire e far valere i propri diritti. Spesso abbiamo paura delle conseguenze, che possono essere lievi, come ferire i sentimenti di qualcuno o anche gravi, come in caso di reati e violenze.

Esiste però un fenomeno, purtroppo piuttosto diffuso, che è quello della vittimizzazione secondaria e può avere conseguenze psicologiche ed emotive estremamente gravi, persino più del trauma subito.

 

COSA È LA VITTIMIZZAZIONE SECONDARIA

Con vittimizzazione secondaria si intende quel fenomeno per cui la vittima di un trauma, un sopruso (sia lieve che grave) o di un reato rivive le condizioni di sofferenza a cui è stata sottoposta, con la conseguenza che viene scoraggiata a parlare apertamente della sua situazione di sofferenza, o persino a denunciare l’accaduto.

Le conseguenze, sul piano psicologico, possono essere gravi: timore, senso di impotenza, scarsa autostima, persino depressione e perdita di fiducia negli altri e nelle istituzioni, chi subisce vittimizzazione secondaria viene di fatto “incolpato” di ciò che ha subito.

Di fatto chi ne soffre si colpevolizza fino al punto di assumersi la responsabilità di ciò che è successo, provando anche un senso di vergogna e rinunciando a far valere i propri diritti. Ci sono casi molto gravi, come la violenza o le molestie, ma anche altri lievi come subire ricatti morali dal partner o soffrire le conseguenze di una relazione tossica.

 

IL PROBLEMA DELLA RESPONSABILITÀ

Una persona che soffre di vittimizzazione secondaria è in questa situazione non a causa di chi per primo la ha fatta soffrire; il “carnefice” per così dire diventa infatti chi dovrebbe aiutarla e sostenerla, spesso addirittura le istituzioni stesse.

Un esempio di vittimizzazione secondaria tristemente noto è quello delle donne che si rivolgono alla polizia per denunciare episodi di stalking o violenza e vengono colpevolizzate da frasi come “certo, se ti vesti così, ovvio che attiri l’attenzione”, oppure “perché non lo hai denunciato prima, invece di subire fino ad ora”.

Queste cose possono essere persino più dolorose da sopportare e minare in modo molto pesante l’autostima e la sicurezza di una persona.

La vittimizzazione secondaria accade anche in casi meno gravi, ma non per questo fa più male; una persona che è stata tradita dal partner e si sente dire che è perché dedicava troppo tempo al lavoro, ad esempio è un caso lampante di questo fenomeno anche nella vita quotidiana.

Spesso quindi i “colpevoli” della vittimizzazione sono proprio le persone cui abbiamo chiesto aiuto, coloro in cui abbiamo riposto le nostre speranze e che di deludono rinfacciandoci che forse, tutto sommato, è stata colpa nostra – il trauma che questo comporta può avere conseguenze gravi, episodi di ansia paralizzante e metterci anni a guarire.

COME AIUTARE CHI STA SUBENDO VITTIMIZZAZIONE SECONDARIA

Dato che prevenire è meglio che curare, la cosa migliore, quando qualcuno si rivolge a noi in cerca di aiuto è sempre sospendere il giudizio: non siamo chiamati a dare un’opinione, non subito almeno. Ma dobbiamo dare il nostro sostegno, genuino e disinteressato e comprendere chi si trova in una situazione di disagio, quale essa sia.

Parole come “te la sei cercata”, “perché non ti sei comportata diversamente”, “però è colpa tua” sono tutti modi per vittimizzare chi ci ha chiesto aiuto, facendolo sentire ancora più solo e disperato.

Invece il modo giusto per essere di supporto è proprio facendo capire a questa persona che la colpa non è sua, che è una vittima, che non ha responsabilità della violenza, fisica o emotiva, che ha subito.

Nei casi più gravi la cosa migliore è anche consigliare di rivolgersi a un terapeuta, a dei professionisti o alle autorità, soprattutto nel caso si debba fare una denuncia.

 

LE RAGIONI DIETRO QUESTA VITTIMIZZAZIONE

Sembra davvero inconcepibile che una vittima possa essere giudicata in quanto tale e ritenuta responsabile di quanto ha subito, eppure questo fenomeno non avviene così di rado, soprattutto nei confronti della donne.

Questo perché spesso la vittimizzazione secondaria è legata a doppio filo ai pregiudizi e agli stereotipi di genere, purtroppo anche in modo inconsapevole. Questi possono portare, ad esempio nel momento in cui si sporge una denuncia, a fare domande scomode, intrusive, insinuando addirittura che la vittima menta o esageri solo per avere attenzione.

Sono atteggiamenti molto gravi, soprattutto in seno alle istituzioni che dovrebbero invece proteggere le vittime di questi soprusi, e che andrebbero a loro volta denunciati.

Purtroppo non è facile, in quanto la vittimizzazione secondaria, se prolungata nel tempo potrebbe addirittura portare a un senso di impotenza appresa e quindi data per assodata.

Ogni volta che siamo vittime o vediamo qualcuno che ci è vicino soffrire di questo fenomeno, la prima cosa da fare è porsi in ascolto: non fare domande, non dare giudizi. Solo ascoltare quello che chi ha chiesto aiuto ha da dire, e solo poi trovare una soluzione insieme – chiedere aiuto è una cosa importantissima e non dovrebbe mai essere vissuta con ansia o timore.

 

 

Fonte: thewom.it/