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La nascita della Costituzione

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La votazione finale della Costituzione: con 453 voti favorevoli e  62 contrari

Presidente Terracini. L’ordine del giorno reca: Votazione finale a scrutinio segreto della Costituzione della Repubblica italiana.

Ha facoltà di parlare l’onorevole Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione.

RuiniPresidente della Commissione per la Costituzione. Onorevoli colleghi, con la seduta di poche ore fa il compito dell’Assemblea Costituente può dirsi adempiuto. Ecco il testo definitivo della Costituzione, che mi appresto a consegnare al Presidente dell’Assemblea.

Era un compito difficile e faticoso. Il Comitato di redazione è apparso molte volte quasi una mitica unità; i suoi membri si sono divisi ed hanno combattuto fra loro; ma dopo tutto vi è stato, e si rivela oggi, uno spirito comune, uno sforzo di unità sostanziale; ed oggi il Comitato compatto sente la responsabilità e la solidarietà del suo lavoro, ed è orgoglioso di averlo portato a termine. Questo io devo dichiarare, a suo nome, all’Assemblea e ringraziarla di aver sanzionato l’opera nostra.

Questa è un’ora nella quale chi è adusato alle prove parlamentari, chi è stato in trincea, chi ha conosciuto il carcere politico, è preso da una nuova e profonda emozione. È la prima volta, nel corso millenario della storia d’Italia, che l’Italia unita si dà una libera Costituzione: Un bagliore soltanto vi fu, cento anni fa, nella Roma repubblicana di Mazzini. Mai tanta ala di storia è passata sopra di noi.

E ciò avviene in una congiuntura non ancora definita, in un processo di trasformazione ancora in cammino, in cui alcuni istituti vecchi non sono ancor morti, ed altri nuovi non sono ancora interamente vivi. Esistono due crepuscoli tra il giorno e la notte: questo che ora scorgiamo sarà per la nostra Italia crepuscolo di aurora e non di tramonto.

Dobbiamo darci la nostra Costituzione in una situazione tragica; dopo la disfatta; dopo l’onta di un regime funesto. Dobbiamo cercare di costruire qualche cosa di saldo e di durevole, mentre viviamo in piena crisi politica, economica, sociale. Ebbene, vi siamo riusciti. L’Italia darà un’altra prova di ciò che è stato il segno della sua storia e la rende inconfondibile con le altre nazioni: l’Italia è la sola che abbia saputo e saprà, risorgendo, rinnovare e vivere fasi successive ed altissime di nuove civiltà.

Questa Carta che stiamo per darci è, essa stessa, un inno di speranza e di fede. Infondato è ogni timore che sarà facilmente divelta, sommersa, e che sparirà presto. No; abbiamo la certezza che durerà a lungo, e forse non finirà mai, ma si verrà completando ed adattando alle esigenze dell’esperienza storica. Pur dando alla nostra Costituzione un carattere rigido, come richiede la tutela delle libertà democratiche, abbiamo consentito un processo di revisione, che richiede meditata riflessione, ma che non la cristallizza in una statica immobilità. Vi è modo di modificare e di correggere con sufficiente libertà di movimento. E così avverrà; la Costituzione sarà gradualmente perfezionata; e resterà la base definitiva della vita costituzionale italiana. Noi stessi — ed i nostri figli — rimedieremo alle lacune ed ai difetti, che esistono, e sono inevitabili.

Critiche sono venute anche da questo banco; ma non ci dobbiamo abbandonare ad un abito di auto-denigrazione, che sembra talvolta un tristo retaggio italiano. Nessuna Costituzione è perfetta. Tutte le volte che se n’è fatta una, sono risuonati lamenti e deprecazioni fra i costituenti. Ciò è avvenuto, anche subito dopo che a Filadelfia fu votata, un secolo e mezzo fa, la Costituzione nord-americana; che ora è giudicata la migliore di tutte!

Un giudizio pacato sui pregi e sui difetti della nostra Carta non può essere dato oggi, con esauriente completezza. Difetti ve ne sono; vi sono lacune e più ancora esuberanze; vi sono incertezze in dati punti; ma mi giungono ormai voci di grandi competenti dall’estero, e riconoscono che questa Carta merita di essere favorevolmente apprezzata, ed ha un buon posto, forse il primo, fra le Costituzioni dell’attuale dopoguerra. Noi, prima di tutti, ne riconosciamo le imperfezioni; ma dobbiamo anche rilevare alcuni risultati acquisiti.

I «principî fondamentali» che sono sanciti nell’introduzione, e che possono sembrare vaghi e nebulosi, corrispondono a realtà ed esigenze di questo momento storico, che sono nello stesso tempo posizioni eterne dello spirito, e manifestano un anelito che unisce insieme le correnti democratiche degli «immortali principî», quelle anteriori e cristiane del sermone della montagna, e le più recenti del manifesto dei comunisti, nell’affermazione di qualcosa di comune e di superiore alle loro particolari aspirazioni e fedi.

Nella enunciazione dei diritti e doveri dei cittadini, se la Francia, che ha una tradizione superba di tali dichiarazioni, ha potuto rimettersi ad esse, noi, che non l’abbiamo, siamo tenuti a formulare noi, per la prima volta, questi diritti e doveri. Lo abbiamo fatto non senza vantaggi e passi avanti; e qui le esigenze etico-politiche hanno ceduto il posto alla tecnica più precisa e concreta. Nessuna altra Carta costituzionale contiene un sistema così completo e definito di garanzie di libertà, ed alcuni istituti non sono privi di novità; mi hanno segnalato appunto la nullità delle misure di polizia non comunicate e convalidate subito dalla Magistratura, ed il diritto di associazione, inteso nel senso che chi ha diritto di svolgere singolarmente un’attività può farlo anche in forma costituzionale. Per il suo tecnicismo giuridico-costituzionale (e per la struttura e l’architettonica dell’intera Costituzione) la nostra Carta è una cosa seria.

Nessuno si deve scandalizzare se nei testi costituzionali è entrata — ormai da tempo — la nota dei rapporti economici. Le direttive che noi abbiamo formulato aprono, con la maggior adeguatezza possibile, la via a progressive riforme verso quella che deve essere ormai, lo abbiamo detto nel primo articolo, la democrazia basata sul lavoro; e nel tempo stesso escludono, proprio per lo sforzo di tracciare concreti istituti, i metodi rivoluzionari e violenti.

La seconda parte della Costituzione — ordinamento della Repubblica — ha presentato gravi difficoltà. Si tenga presente che nell’edificare la nostra Repubblica non abbiamo trovato, come in altri paesi, continuità di tradizione. Avevamo tutto da fare. Non abbiamo risoluto con piena soddisfazione tutti i problemi istituzionali. Ad esempio, per la composizione delle due Camere ed il loro sistema elettorale, rimesso del resto alla legge ordinaria. Ma in complesso si è seguita una linea media ed equidistante dai due estremi. Da un lato, dalle suggestioni, talvolta inconsapevoli, in cui cadono certuni che hanno sempre davanti agli occhi i congegni del passato, e non si sono ancora persuasi che il potere del re è per sempre caduto. Dall’opposto lato, dalle visioni degli estremisti che idealizzano un governo di assemblea e di convenzione, di cui tutti gli altri poteri sarebbero semplici commessi ed appendici. Ne ho parlato qui più volte; anche oggi confermo che le soluzioni adottate erano, dopotutto, le sole possibili, in attesa che l’esperienza indichi ulteriori processi ed adattamenti. Certo è che — pur non entrando nella via, almeno parziale, di alcuni poteri riservati al Capo dello Stato senza correlativa responsabilità ministeriale — il Presidente della Repubblica italiana è tutt’altro che un fantoccio. Certo è che, mantenendo la indeclinabile condizione della fiducia delle Camere, si è cercato di evitare le sorprese e la soverchia instabilità dei governi. E certo è — per ritornare alla parte tecnica — che più di ogni altra Costituzione la nostra definisce e precisa gli istituti del decreto legge, del decreto legislativo, della formazione e della gerarchia delle leggi.

Per quanto concerne la magistratura, vi possono essere rilievi e riserve; ma in sostanza si è fatto un passo decisivo, il solo possibile, non ancora raggiunto in molti altri paesi, verso la unicità della giurisdizione, con l’obbligo di trasformare in sezioni specializzate degli organi giudiziari ordinari le attuali giurisdizioni speciali, esclusi soltanto per necessità imprescindibili delle loro funzioni il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti.

La nostra Costituzione affronta lo spinoso problema dell’ordinamento regionale. Molti sono i dubbi; e vi possono essere inconvenienti; ma non si poteva non andare incontro ad una irresistibile tendenza; vi sono riforme storiche che non si possono evitare; e si sono di fatto predisposti i nuovi istituti in modo che la prova concreta e l’adattamento della esperienza, consentirà di dare ad essi maggiore o minore ampiezza, salvaguardando in ogni caso la necessità suprema della unità ed indivisibilità della patria.

Perdonatemi se ho creduto necessario rivendicare non solo le ombre, ma le luci della Costituzione. Si è fatto il possibile: nessuna altra Carta ebbe una più minuta preparazione; nessuna fu più a lungo discussa; per nessuna si è fatto con maggior completezza il punto, e si è condotto quasi un esame di coscienza di tutti i problemi più gravi del momento. È un eccesso? Sì; ma non è senza significato che un popolo, nell’accingersi ad un rinnovamento, abbia voluto compiere quest’esame di coscienza.

La formulazione della nostra Costituzione non poteva che svolgersi con metodi democratici. Noi abbiamo assistito — foggiandolo noi stessi — a ciò che è un processo di formazione democratica e cioè collettiva. Una Costituzione non può più essere l’opera di uno solo, o di pochissimi. Deve risultare dalla volontà di tutti i rappresentanti del popolo; e i rappresentanti del popolo non si conducono con la violenza; l’unico modo, in democrazia, di vincere è di convincere gli altri. Che cinquecentocinquanta individui prendano parte (e tutti credono di aver eguale competenza) nella formulazione degli articoli di una Costituzione, ha fortissimi inconvenienti; non si fa così per i codici; ma come si fa a delegare la stesura della Costituzione? Con molta pazienza la tecnica riesce a farsi comunque strada; ed a rimediare, se non a tutti, a molti inconvenienti. Ciò avverrà sempre più, con l’autolimitazione volontaria e la maggior educazione politica di domani. Intanto vi è anche un vantaggio: che tutti i rappresentanti del popolo, tutte le correnti del popolo da essi rappresentate possono dire: questa Costituzione è mia, perché l’ho discussa e vi ho messo qualcosa.

Onorevoli colleghi, l’esigenza dell’opera collettiva, della collaborazione di tutti, in democrazia è l’inevitabile, ed è la forza stessa della democrazia. E vi è un’altra cosa inevitabile, una conseguenza di questa stessa esigenza: la Costituzione, come ogni opera collettiva, non può che essere, come si dice in senso deteriore, un «compromesso». Preferisco dire con il purissimo Cattaneo che non può essere se non «una transazione», come è tutta la storia. Ed è «equilibrio»; questa è la caratteristica della nostra Costituzione; un equilibrio realizzato, come era possibile, fra le idee e le correnti diverse. Mi si dica in quale altro modo — forse con una prevalenza forzata, forse con un totalitarismo costituzionale — si sarebbe potuto fare una Costituzione democratica. Anche le altre Costituzioni storiche, che oggi ci sembrano monolitiche, furono sempre il risultato di transazioni e di equilibri.

Quando oggi voteremo, il largo suffragio che daremo alla nostra Costituzione attesterà che, malgrado i dissensi e le lacerazioni, è scaturita dalle viscere profonde della nostra storia, la convergenza di tutti in una comune certezza; il sicuro avvenire della Repubblica italiana. (Vivissimi, generali applausi).

Con queste dichiarazioni mi onoro consegnare al Presidente dell’Assemblea Costituente il testo definitivo della Carta costituzionale. (L’Assemblea sorge in piedi — Vivissimi, generali, prolungati applausi — Da una tribuna un gruppo di garibaldini intona l’Inno di Mameli, ripreso dall’Assemblea e dal pubblico delle tribune — Rinnovati, vivissimi applausi).

Proclamo il risultato della votazione a scrutinio segreto:

Presenti e votanti………… 515
Maggioranza………….. 258
Voti favorevoli……….. 453
Voti contrari……………. 62