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Isola di Pasqua riapre al turismo dopo 28 mesi. Ma i locali hanno riscoperto la cultura Rapa Nui e promettono lentezza

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Nella terra dei Moai è atterrato il primo aereo di turisti da marzo 2020. Isolati dal resto del mondo, hanno dovuto riprendere a coltivare la terra per sopravvivere. Ora dicono di avere imparato la lezione. “Abbiamo disatteso la lezione degli avi: da ora in poi torneremo a curare e a proteggere la nostra terra”. Anche dall’overtourism

Gli abitanti dell’Isola di Pasqua sono letteralmente sopravvissuti a due anni in cui non hanno beneficiato della manna finanziaria che fino ai giorni della pandemia avevano ricevuto dal turismo. Ora che, dal primo agosto, quel lembo di terra immerso nel Pacifico, tra gli ultimi angoli del pianeta, ha finalmente riaperto ai viaggi di piacere, gli indigeni provano sentimenti contrastanti. Se da un lato gli ospiti, per svariate ragioni, non ultimo il loro contributo al Pil, continuano ad essere i benvenuti, dall’altro c’è il desiderio di far perdurare quello stile di vita ancestrale giocoforza ritrovato. Il che poi coincide con l’idea di proteggere la loro stessa isola e, in altre parole, di resistere alla tentazione del ritorno al “tutto come prima”.

“Il momento che i nostri avi avevano predetto è finalmente giunto – racconta all’agenzia France Presse Julio Hotus, membro del Consiglio degli anziani di Rapa Nui, territorio speciale del Cile, dalle cui coste dista 3.500 chilometri. Secondo lui, le generazioni precedenti, che abitavano la terra dei celebri moai, le grandi teste di pietra dall’origine ancora misteriosa, insistevano sull’importanza di assicurare e perpetrare l’autonomia alimentare dell’isola: un monito che i giovani hanno solo finto di ascoltare.

Isola di Pasqua tra ritorno del turismo e riscoperta della tradizione

Dall’oggi al domani, nel marzo 2020, i 7mila abitanti permanenti dell’isola, lunga 24 chilometri, larga 12, per un’estesione di 167 km quadrati, si sono trovati a dover recidere tutti i collegamenti (aerei) con la terraferma per difendersi dal Covid. Olga Ickapakarati, che di norma vendeva piccole figure in pietra riproducenti i moai si è improvvisamente vista costretta a seguire le orme degli antenati e coltivare la terra. “Ci siamo ritrovati senza niente: a quel punto si è cominciato a lavorare nel giardino” attorno alla sua casa in legno con il tetto in tela – racconta ad AFP -. Per garantire il sostentamento alla popolazione, la municipalità dell’Isola di Pasqua ha messo in atto un programma d’urgenza di distribuzione di sementi. Olga ha piantato pomodori, spinaci, barbabietole, bietole e sedano ma anche erbe aromatiche, come basilico, origano e coriandolo. Al momento del raccolto, ha donna ha regalato il prodotto che non consumava ad altre famiglie. E così hanno fatto gli altri residenti, fino a creare una fitta rete di solidarietà. “Tutti gli isolani sono così, hanno il cuore d’oro. Se vedo che ho abbastanza pomodori o legumi, li do ad altri” – assicura questa nua, espressione che nella lingua locale significa “nonna”, che vive con i nipoti.

Fonte: la Repubblica