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Il golpe Borghese e l’eversione nera in Italia

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Il tentativo eversivo di Junio Valerio Borghese si inserisce nel quadro della strategia della tensione e della stagione stragista vissuta in Italia dal 1969 al 1974. Questo intervento mira a dimostrare come la minaccia di un rovesciamento dello Stato fosse reale. Grazie al materiale raccolto dalle inchieste giudiziarie possiamo delineare la ramificazione delle organizzazioni eversive: elementi legati all’estrema destra, ufficiali dell’esercito, esponenti della massoneria e della criminalità mafiosa. Ma soprattutto possiamo mostrare come, nonostante il fallimento dell’operazione, l’obiettivo del golpe (il mantenimento dell’Italia in una posizione anticomunista, centrista e filoatlantica) venga raggiunto senza che si renda utile un colpo di Stato.

Di Nicola Tonietto fonte@ journals.openedition.org/

L’opera di penetrazione attuata dagli esponenti del Fronte si era intensificata nel corso dei mesi antecedenti al golpe soprattutto nei confronti delle Forze Armate. Gli aderenti al movimento di Borghese ritenevano che grazie all’accensione di focolai di disordine o di episodi di violenza che ponessero in evidenza la pericolosità per le istituzioni, si sarebbe potuta determinare una reazione da parte di quelle forze «a cui st[esse] ancora a cuore la salvaguardia dei principi d’ordine»36. Costoro avrebbero dovuto pertanto prendere in mano la situazione all’insorgere dei primi disordini. «Tutti i “frontisti” sapranno far loro comprendere di essere ampiamente disponibili per una attività “fiancheggiatrice”, nonché pronti, come civili, ad assumere ogni opportuna responsabilità nei posti-chiave riguardanti la vita del Paese»

Nei giorni antecedenti alla cosiddetta “notte di Tora Tora” fervevano i preparativi.

In particolare a Montesacro Alto, dove il costruttore Remo Orlandini, braccio destro del Principe, aveva i suoi uffici e cantieri di lavoro, si intensificavano le visite dei delegati provinciali del Fronte Nazionale e le riunioni per definire gli ultimi dettagli del piano. Gli obiettivi dell’azione, che si sarebbe svolta principalmente a Roma, erano il Ministero degli Interni e quello della Difesa, «punti chiave per l’ulteriore sviluppo dell’azione insurrezionale». Contemporaneamente erano previste le occupazioni della sede della RAI-TV, delle centrali elettriche e telefoniche, nonché l’accensione di gravi disordini in vari punti della città, «al fine di determinare il decisivo e tanto atteso intervento dei militari». Il proclama che Borghese avrebbe dovuto rivolgere alla nazione era pronto così come il programma operativo del nuovo regime. Tra i punti principali figuravano: il mantenimento dell’Italia all’interno dell’Alleanza atlantica, la nomina di un inviato speciale negli Stati Uniti per discutere di una eventuale partecipazione italiana nel conflitto del Vietnam e la richiesta di un prestito per fronteggiare la crisi economica.

Secondo le decisioni del Comandante Borghese, Avanguardia Nazionale avrebbe dovuto avere due propositi: alcuni commandos avevano il compito di far saltare in aria tutte le strade che avrebbero potuto permettere alle unità dell’esercito di stanza ad Anzio-Nettuno (secondo il Fronte fedeli al presidente Saragat) di raggiungere Roma, mentre la maggior parte dei membri della formazione di estrema destra avrebbe dovuto occupare il Ministero degli Esteri. All’alba del giorno successivo avrebbero dovuto essere rimpiazzati da truppe regolari e destinati ad un altro incarico di fiducia: rastrellare, con l’aiuto dei Carabinieri, una serie di persone che veniva ritenuto «opportuno allontanare coattivamente da Roma per qualche tempo» per mezzo di alcune navi pronte nel porto di Civitavecchia. Il fatto di essere subito estromessi da un punto-chiave quale il Ministero degli Interni e naturalmente il timore che tutto il golpe potesse rivelarsi una trappola per stroncare l’estrema destra provocò non poche perplessità e proteste. Il numero uno di AN, Stefano Delle Chiaie con l’appoggio del dott. Salvatore Drago, medico della Polizia, riuscì ad ottenere un incarico differente. Il 6 dicembre venne così deciso che Avanguardia avrebbe avuto il compito di occupare il Ministero degli Interni. Anche al di fuori di Roma i membri dell’apparato erano pronti ad intervenire, come ad esempio a Venezia, Verona, Reggio Calabria ma anche in località certamente non strategiche come Passignano, presso il lago Trasimeno. Una nota della Questura di Roma datata 17 novembre 1970 fornisce un quadro completo dell’organizzazione del Fronte a qualche settimana dal golpe:

[…] il Fronte Nazionale, da circa tre mesi starebbe preparando un piano insurrezionale su scala nazionale. […]. Il maggiore ROSA Mario […] avrebbe già approntato dischi e fasce tricolori per distribuirle ai capi gruppi per il riconoscimento. Si è appreso […] che a seguito di una riunione cui avrebbero partecipato una ventina di elementi di estrema destra, […] sono stati fatti anche riferimenti ad altre personalità che sarebbero coinvolte con il colpo di stato fra cui l’Ammiraglio di Squadra Navale M.O.V. Gino BIRINDELLI che il 18.10.1970, ha cessato dalla carica di comandante della squadra navale italiana ed è passato alla Nato. Il maggiore Rosa sarebbe anche in contatto con il generale di divisione dello Stato Maggiore Esercito RADICE PANNARIA e con il colonnello BONINO Giovanni dell’Ufficio smistamento truppe, compartimento Stazione Termini. Altri contatti sono stati citati a seguito delle riunioni che sarebbero in corso con un colonnello dell’Aeronautica militare e con un direttore dei servizi tecnici della R.A.I. T.V. per un eventuale proclama al popolo italiano della instaurazione di un governo militare e di tecnici. Sembra che tali personalità abbiano preso già contatti con elementi della C.I.A. U.S.A., i quali avrebbero conferito il loro appoggio ma solo successivamente al colpo di stato.

Il 7 dicembre 1970 l’azione era pronta. Nel corso della serata, i responsabili ‘politici’, le menti dell’operazione eversiva, si riunirono nell’ufficio di Mario Rosa in via S. Angela Merici. Il gruppo, capeggiato dallo stesso Borghese, era composto oltre al Rosa, dal generale dell’Aeronautica a riposo Giuseppe Casero, dal colonnello dell’Aeronautica Giuseppe Lo Vecchio e dal capitano dei Carabinieri Salvatore Pecorella47. Da questa sede il Principe manteneva i contatti con i diversi gruppi operativi e con le persone che avrebbero dovuto intervenire in appoggio esterno ai congiurati. A Remo Orlandini spettava il compito di dirigere e coordinare i modi ed i tempi di intervento dei gruppi dislocati nelle diverse zone della città. Il “comando operativo” dell’azione eversiva, era pertanto riunito nel cantiere del costruttore romano. L’occupazione del Ministero dell’Interno era l’obiettivo principale dei golpisti. Già nel primo pomeriggio del 7 dicembre, un commando di Avanguardia Nazionale guidato da Delle Chiaie, era penetrato nell’armeria del Viminale con la complicità del Capitano Enzo Capanna, aiutante maggiore del Capo del Reparto Autonomo Guardie di Pubblica Sicurezza. Gli avanguardisti si adoperarono per predisporre all’impiego i circa duecento mitra custoditi nell’armeria. Verso sera anche il gruppo di Rieti guidato da Adriano Monti raggiunse il Viminale per velocizzare le operazioni e per predisporre la seconda fase dell’azione, l’occupazione della centrale radiotelefonica del Ministero. Verso mezzanotte il camion su cui vennero caricate le armi era pronto per partire e ad attenderlo non c’era solamente il gruppo di Orlandini ma anche i paracadutisti capeggiati da Sandro Saccucci, riuniti nella palestra di via Eleniana, sede dell’associazione. Contemporaneamente un gruppo di mafiosi avrebbe dovuto tenere d’occhio il capo della Polizia Vicari per poterlo eliminare non appena avessero ricevuto l’ordine. Un altro commando capeggiato dal futuro Gran Maestro della Loggia P2 Licio Gelli, avrebbe invece dovuto catturare il Presidente della Repubblica Saragat.

Il piano dei congiurati sembrava pertanto poter procedere senza intoppi. Dalla Scuola della Guardia Forestale di Cittaducale, in provincia di Rieti, partì un’autocolonna composta da 197 uomini, guidati dal direttore, il colonnello Luciano Berti e armati di tutto punto e diretta presumibilmente verso gli studi Rai di via Teulada. Poco prima della mezzanotte, nel frattempo, Sandro Saccucci lasciò la palestra di via Eleniana per dirigersi verso il cantiere di Orlandini promettendo di tornare al più presto con le disposizione operative, le quali molto probabilmente, sarebbero state quelle di arrestare parlamentari e uomini politici. Nello stesso cantiere di Montesacro, Lo Vecchio e Casero stavano aspettando il momento opportuno per prelevare il Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, generale Duilio Fanali, grazie al cui appoggio i congiurati avrebbero occupato il Ministero della Difesa. Un’altra persona era presente al “comando operativo” dell’azione golpista. Si trattava di Hugh Fenwich, il già citato rappresentante del Partito Repubblicano statunitense, il cui compito sarebbe stato quello di contattare il Presidente Nixon con una telefonata che avrebbe dovuto passare sia attraverso la base NATO di Napoli, che il comando navale NATO di stanza nell’isola di Malta In questo momento iniziarono i primi problemi per i golpisti, poiché la prevista telefonata di Fenwich si sarebbe “arenata” nella base NATO della città partenopea. Poco dopo l’una di notte, Borghese, in attesa frenetica di dare il via definitivo al golpe, ricevette una telefonata. Al termine di un breve scambio di battute, il Principe si rivolse ai suoi compagni informandoli che l’operazione era stata annullata, a causa della mancata «collaborazione di un “gruppo di ufficiali” che avrebbero dovuto aprire dal di dentro, il portone del Ministero della Difesa». Alle richieste di spiegazione, Borghese si mostrò reticente, limitandosi a dichiarare di aver «obbedito ad ordini superiori». Oramai l’importante, pertanto, era fermare l’operazione e senza che ci fossero conseguenze spiacevoli. L’autocolonna di Berti venne bloccata a poche centinaia di metri dalla sede della RAI, mentre più difficile fu rintracciare il camion con le armi che era partito dal Viminale e farlo rientrare. I mitra vennero ricollocati al loro posto, tuttavia un esponente di Avanguardia Nazionale riuscì a trafugare una pistola mitragliatrice Beretta. Almeno per il momento, tuttavia, sembrò che nessuno si fosse accorto di nulla, evitando in questo modo gravi conseguenze per i congiurati delusi e arrabbiati.