Type to search

Franca Masu in concerto a Roma: “Offro al pubblico il mio tesoro”

Share

AGI – Giovedì 10 marzo Franca Masu canterà al Teatro Studio Borgna all’interno dell’Auditorium Parco della Musica di Roma. E lo farà con un obiettivo: “Voglio portare il suono del mare di Alghero”, spiega l’artista. Paolo Fresu di lei dice: “Una sirena che offre un canto di ringraziamento alla sua terra e al suo mare. Cordemar è una invocazione e un voto. Uno splendido e rarefatto ritratto al femminile che solo una sirena può dipingere”, Cordemar è l’ultimo disco della Masu, una perla scovata tra passato e presente della sua Alghero; il catalano, eredità linguistica lasciata in quella zona dalle dominazioni del XIV secolo, che viene trascinato ai giorni nostri, accessibile anche per chi non lo mastica, tradotto in undici splendide canzoni, in emozioni che non conoscono confini.

Forse è in questa concezione che si trovano le radici della sua musica, la cosiddetta “World Music”, o forse, mettendo da parte le etichette, ricongiungere quell’idea di arte ad un luogo ed una determinata missione.

Allora probabilmente è lì, in Sardegna, che è più giusto andare a percepire la musica di Franca Masu, nella responsabilità che si è presa di mantenere in vita, in una modalità artisticamente alta, non solo la tradizione ma l’orgoglio dell’appartenenza alla tradizione stessa. Anche se in realtà la musica di Franca Masu ha origini decisamente lontane dalla sua Alghero, il grande jazz, quello americano, che le lascia in eredità un respiro musicale che esula dagli schemi, così come è tradizione nel jazz, così oggi per lei è normale portare avanti il suo progetto accompagnata da jazzisti come Luca Falomi, Salvatore Maltana, Sade Mangiaracina e Massimo Russino.

Ci saprebbe descrivere il fascino della world music?

“La prima cosa che mi viene da pensare è l’autenticità delle storie della gente, la World Music, che è un termine così abusato, che oggi non sappiamo nemmeno quale accezione abbia, perché vuol dire tutto e non vuol dire niente. Credo sia una categoria che si sono inventati perché non ha alcun senso”

…Meglio musica di ricerca?

“Anche quello vuol dire poco, ormai è tutto talmente fluido, talmente interscambiabile, che forse, ahimè, mi tengo la terminologia “World Music” e andrò a cercare davvero le pieghe della gente che vive in un certo mondo, perché queste geografie del mondo sono infinite, in ogni luogo trovi una specificità. Basta pensare alla mia Sardegna, uno sputo di terra nella quale abbiamo cinque lingue. Il fascino della World Music consiste nell’andare alla ricerca dell’autenticità, io nello specifico penso di fare parte di questo grande mare di World Music perché sono riuscita a diventare la voce di una piccolissima parte del Mediterraneo, però riconoscibile”

E si riferisce all’utilizzo del catalano…?

“In Sardegna soltanto ad Alghero parliamo il catalano, che non è quello standard, è la matrice antica che a noi è rimasta dalla dominazione. Ne vado fiera perché io mi ci riconosco, io ci sono nata in questo angolo di mare, per me difendere e diffondere questa lingua è diventato motivo di orgoglio. A parte la gioia di offrirla al pubblico come se fosse il mio gioiello più bello”

Va orgogliosa di questa specificità…

“Ne vado molto orgogliosa, perché ho fatto tesoro di una frase di Francesco Masala che in “Quelli delle labbra bianche” fa dire al protagonista “Descrivi il tuo giardino e diventerai universale”. Questa frase tanti anni fa mi ha fatto capire che la scelta che avevo fatto era quella giusta, che salvare le specificità sarebbe stata la salvezza per tanti aspetti della nostra vita e della nostra identità. Franca Masu è un tassello di quella grande World Music perché alla fine è riuscita a portare nel mondo le parole della sua gente, di questo piccolo microcosmo marinaro che ancora sopravvive”

Quando ha capito che il catalano poteva essere significativo per lei?

“Io canto da quando ho 3-4 anni, mi chiedevano di salire sul tavolo e di fare le imitazioni, ma io mai mi sarei immaginata di lasciare il lavoro che avevo per intraprendere una carriera, io mi sono laureata in lettere e facevo l’insegnante, se non fosse stato per mio marito che ha capito che forse era un regalo del cielo questa voce”

Come l’ha convinta a lasciare tutto per la musica?

“Mi ha detto: “Tu non devi cantare solo per me, devi cantare per il mondo”, ed io questa frase non la dimentico, ad avercene mariti così!”

Così si è buttata, ma la World Music è arrivata dopo, no?

“Ho cominciato col jazz, ma poi mi sono detta “Io non sono americana, perché studio tutti questi vocalizzi e poi li riproduco, vado ai seminari di jazz…?”. Quando ho sentito degli artisti catalani venuti qui ad Alghero per uno spettacolo ho capito cosa significava cantare in catalano, che non era l’algherese che sentivamo noi nelle canzoncine popolari, della festa della campagna, dei pescatori, che lasciavi solo a quella parte della popolazione, che non faceva parte del tuo vivere perché era troppo folk.

Lì mi sono detta “Ma stiamo scherzando? Io qui ho un tesoro pazzesco, mi scervello per imparare l’inglese e non ho ancora capito che qui ho un tesoro?”. Io non conoscevo il catalano, a casa non si parlava catalano, ma io mi sono innamorata di questa lingua e vorrei urlarlo al mondo, specialmente ai ragazzi, perché la perdiamo se non insistiamo sull’avvicinare i ragazzi alla lingua”

E a quel punto arriva il contatto con Mark Harris, esatto?

Si, abbiamo mandato la nostra demo a Mark Harris, che era il direttore musicale di Laura Pausini, ai tempi, era prima del 2000, era al top. Appena ha ascoltato ci ha risposto in 24 ore e ha detto “Fatemi un biglietto che sto arrivando perché devo capire cosa mi avete mandato”. E gli devo l’inizio, l’aver creduto in me; perché oggi trovare un produttore è impossibile, il produttore lo danno a quelli che escono dai talent, la musica che facciamo che noi non è commerciale, non trovi niente. Però quando la gente dopo viene in camerino e ti ringrazia perché hai curato delle ferite, aver regalato un’emozione che non si aspettavano, per me quello è il significato del nostro mestiere.

Cosa succede ad un concerto di Franca Masu?

“Succede che io ti prendo per mano, ti racconto brevemente la trama della canzone che sto per cantarti, perché capisco che il catalano in Italia non lo capisce nessuno e bisogna invogliare all’ascolto. E gli spiego che io vivo in uno sperone sull’acqua bellissimo e li è arrivata tanta gente dal mare, non ultimi i napoletani, che sono arrivati da Torre del Greco a pescare il più bel corallo del mondo.

Le mie canzoni hanno questo sapore, dentro ci trovi un aggrovigliamento, un miscuglio, reminiscenze arabe, suoni andalusi, la morna di Capo Verde, Napoli, qualcosa che viene dalla Spagna, dalla Sardegna. Quindi ti racconto quelle storie di gente di mare, che possono essere storie di vita, di amore, di costa, di dolori, di amori, amori impossibili, nostalgie, dolori, gioie…in mezzo a tutto questo la mia vita. È un viaggio di vita e di musica, anche perché mi accompagnano dei musicisti pazzeschi, tutti jazzisti, e la caratteristica del jazz è la libertà, quindi ogni concerto viene diverso”

Lei propone una musica di concetto, di ricerca, alta, anche complessa, in un momento in cui la musica fluida, al contrario, si concentra su suoni che sono sempre più semplici e accessibili…qual è la vita di un artista che sa già di non produrre musica da classifica?

“La vita di un artista che possiede la mia cifra stilistica è molto più difficile rispetto a quelli che fanno parte dello “star system”, ma io l’ho sempre saputo. Ho iniziato tardi, intorno ai 40 anni, e l’ho sempre tenuto in conto, anche in termini commerciali, io sapevo benissimo che non avrei scalato le classifiche e forse nemmeno ci voglio andare, l’unica cosa che io piango un pochino è la distrazione, la poca attenzione che c’è verso questo mondo musicale. Forse tanti anni fa certe cose sono passate in televisione, ora non ne passa più, non la vediamo, dobbiamo andare in canali specifici o su YouTube. Anche per quanto riguarda la musica dal vivo è un problema, perché il promotore deve riempire il teatro e se non riempie il teatro lui lo spettacolo non lo porta. Ai tempi, quando ho cominciato, c’era la voglia anche di investire dei soldi per delle cose nuove, per nuovi talenti, musiche diverse…perché va bene la cosa semplice, va bene la cosa che passa in radio ogni cinque minuti e ci mette il cervello un po’ in folle, che meno pensiamo meglio è, ed è musica che non prevede impegno, attenzione all’ascolto…ma la gente non è stupida, la gente ha voglia di cose belle.

L’unica cosa che mi rammarica quindi è che non vedo tanti festival di World Music, all’estero c’è più attenzione, in Italia è un po’ duretta, c’è tanto jazz, che sembra che sia imprescindibile che ci sia il jazz, abbiamo festival jazz ogni 10 km, è pazzesco. Invece trovo che nella musica world si fa un po’ più fatica. Per me infatti arrivare all’Auditorium di Roma per la quinta volta è importante”

Anche Sanremo potrebbe essere una vetrina per questo genere di musica, no?

“Sanremo è un territorio per giovani…ma penso agli Avion Travel quando portarono “Sentimento” e alla nostra brava Tosca che quella bella canzone, “Ho amato tutto”, scritta bene, due anni fa. Allora perché non dobbiamo sentire più spesso canzoni così? E anche cantate con voci che le sanno cantare?”

Cosa ne pensa degli artisti di nuova generazione?

“Sono molto molto simili gli uni con gli altri, c’è come un cliché compositivo, si parte con duemila parole che non si capiscono, con ritmi compulsivi, anche recitativi, che poi devono arrivare al ritornello, che deve esplodere per forza, un ritornello solitamente stupido, scontato, che mi fa pensare a tante altre canzoni. Insomma, diciamoci la verità, non ci vuole questo granché a scrivere quel tipo di canzoni. Il 70% delle volte i concetti che vogliono esprimere sono “Mi sono perso”, “Perdersi”, nel senso di non ricordare dove ci si trova, non ricordarsi cosa si è fatto la sera prima, poi c’è questa figura femminile, questa lei di cui ricordano la facilità immediata, che si è concessa al primo sguardo…io sono stanca di questo disagio. Ma il disagio c’è, noi abbiamo un problema sociale grosso, abbiamo dei ragazzi molto tristi, molto soli, molto disorientati, che fanno fatica a capire il perché stanno al mondo”

Ma c’è un progetto che le piace?

“Mi piace molto Mahmood, ha delle modulazioni arabe, una voce del genere è un dono del cielo”

Source: agi


Tags:

You Might also Like