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Dietro il toto-presidente i bisogni del Paese e i disegni della politica

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di Antonello Longo

direttore@quotidianocontribuenti.com

Variante Omicron, peste suina, neuroarmi che pilotano il cervello, Berlusconi candidato alla presidenza della Repubblica… Viviano un inverno arduo e cupo.

I nuovi casi Covid in Italia sono in costante crescita, aumenta il tasso di positività e, malgrado la protezione vaccinale riduca sintomi e conseguenze a quelli di un’influenza, sono in allarmante aumento i ricoveri in ospedale e nelle terapie intensive e soprattutto i decessi, tornati ai livelli dell’aprile 2021.

La posizione del governo, tesa a colpevolizzare i no vax per il dilagare della quarta ondata, divide il Paese, i sondaggi confermano, sì, che due italiani su tre sono favorevoli all’obbligo vaccinale, tuttavia ciò attesta anche che un terzo della popolazione, e non è poco, non accetta questa soluzione. D’altronde è chiaro che tutte le misure governative sono tese a cercare di evitare, da una parte, chiusure generalizzate che comprometterebbero ancor di più la ripresa economica avviata nello scorso anno e, dall’altra, il collasso delle strutture ospedaliere, mentre appaiono evidenti gli errori dei decenni di gestione “aziendalistica” della sanità pubblica affidata ai politici delle regioni e la drammatica carenza delle strutture sanitarie territoriali e di base.

Ma è naturale che tutte le attenzioni delle forze politiche e dei media siano adesso rivolte all’ormai imminente inizio delle votazioni per eleggere il nuovo Capo dello Stato. Una vicenda che, sulla carta, non dovrebbe implicare conseguenze sulla stabilità del governo ma, in pratica, è una partita politica incentrata proprio sulla guida di Palazzo Chigi e sulle prossime maggioranze di governo, con o senza un preventivo passaggio elettorale.

È in corso una vicenda complessa, perché visioni e interessi delle forze politiche portano ad affidare alla scelta del nuovo Presidente della Repubblica sia un’utilità tattica (sì o no alle elezioni anticipate, desiderate dal centrodestra e temute da tutti gli altri) sia una prospettiva strategica nella quale le poste in gioco sono il sistema elettorale (proporzionale o maggioritario) e, soprattutto, la riforma costituzionale in senso presidenzialista, che si collega alla scelta maggioritaria e potrebbe attirare, oltre al centrodestra, anche il Partito Democratico.

Lo schieramento di centrodestra ha reso ufficiale la candidatura al Colle di Silvio Berlusconi, il che vincola Salvini e Meloni a sostenerlo nelle prime tre votazioni, magari solo per dimostrargli che, loro malgrado, non ci sono i numeri per l’elezione e (cercare così di) evitare una rottura dell’alleanza. E dopo, che fare?

Lo schieramento di centrosinistra (ma esiste un vero schieramento di centrosinistra?) cerca di sfatare la pretesa che l’indicazione del nuovo Presidente spetti stavolta alla parte avversa ma, visto il sostanziale equilibrio fra le forze in campo, propone una soluzione di generale convergenza su un nome al di sopra delle parti, condivisibile da tutti. Per forza di cose, il nome più accreditato in tal senso è quello di Mario Draghi che la destra potrebbe accettare perché, provocando la caduta del governo da lui attualmente guidato e vista la difficoltà che ne conseguirebbe di rimettere insieme una maggioranza, renderebbe probabili le elezioni anticipate.

C’è poi il terzo incomodo delle numerose e spesso nutrite formazioni di centro assimilabili all’uno o all’altro schieramento parlamentare, da Renzi a Calenda, da Toti a Lupi. L’idea di Matteo Renzi, stratega per vocazione e per necessità, è quella di appoggiare un candidato, o una candidata, espressa dal centrodestra, purché s’impegni a non sciogliere le Camere, lasciando Draghi al suo posto. Sarebbe un modo per salvare, al momento, le poltrone e dare un sonoro schiaffo in faccia a PD e Cinquestelle.

Al momento ognuno di questi giochi ha la possibilità di riuscire e tutti i leader e leaderini che cercano un posto al tavolo sanno bene che ogni trama di vertice dovrà fare i conti con i franchi tiratori, poiché sono loro, i 1009 “grandi elettori”, che usando l’arma del voto segreto sono gli unici in grado di determinare il successo o il fallimento delle scelte dei capipartito.

Senza entrare nel merito delle candidature al Quirinale, è però opportuno che la pubblica opinione consideri attentamente almeno due punti fondamentali.

Primo: la Carta Costituzionale, ancora vigente, assegna al Presidente della Repubblica non il ruolo, come erroneamente si continua a dire, di arbitro di una partita tra schieramenti politici, ma quello di garante della separazione tra i poteri (legislativo, esecutivo, giurisdizionale) e dell’equilibrio nel rapporto tra di essi. Garante, in pratica, della centralità del Parlamento e dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura. Garante, in altre parole, del corretto funzionamento del modello di democrazia disegnato dai padri e dalle madri costituenti. Inoltre il Presidente della Repubblica Italiana è garante della coesione e dell’unità del Paese, ruolo che esercita ponendosi come guida morale dell’intera nazione. Trasformare la scelta dell’inquilino del Quirinale in un atto propedeutico alla trasformazione dell’attuale assetto costituzionale è il vero pericolo che si nasconde dietro il gioco, apparentemente frivolo, del toto-presidente.

Secondo: è logico che tutta l’attenzione del governo sia concentrata sul contenimento dell’epidemia e l’interesse delle forze politiche rivolto all’elezione del nuovo, o della nuova, Presidente della Repubblica. Ma, accanto alla drammatica emergenza sanitaria da fronteggiare, sono molte le riforme, fra quelle ritenute necessarie dall’Europa per erogare per intero i finanziamenti previsti nel Recovery Fund, che ancora non sono state definite, a partire dalla delega fiscale e dalla formazione del CSM. Non solo Parlamento e Governo non possono essere tenuti in stallo per settimane e mesi, ma nemmeno per giorni, poiché stanno correndo di ora in ora i rialzi dei tassi d’interesse, i costi dell’energia e delle altre materie prime, l’inflazione. L’attuazione del Pnrr e l’erogazione dei relativi finanziamenti non è affatto scontata, la Commissione Ue attende al varco il governo italiano, le cui concrete e urgenti attività valgono 40 miliardi di erogazioni previste nella prossima estate e nell’inverno successivo.

Che si voti nella prossima primavera oppure nel 2023, alla naturale scadenza della legislatura, è importante che le elettrici e gli elettori italiani imprimano bene nella loro mente i comportamenti delle forze politiche in questa fase così delicata della vita nazionale, per trarne conseguenze logiche e rigorose nel momento in cui si ritroveranno nell’urna elettorale. Perché il destino dell’Italia è a una svolta.