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Cos'è l'Rt, il termometro del contagio da Covid

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AGi – Roma, 3 ott. – Torna la preoccupazione per l’andamento epidemico in Italia, con la crescita evidente delle ultime settimane. Preoccupazione in qualche modo vidimata dal più recente dato sull’indice di contagio Rt, tornato, secondo l’ultimo report di ministero della Salute e Istituto Superiore di Sanità, di pochissimo sopra 1 a livello nazionale, per l’esattezza a 1,01. Il livello di allerta scatta proprio quando si supera 1, perché vuol dire che il contagio cresce: ogni persona positiva potenzialmente ne infetta più di una, quindi basta poco perché la curva pieghi verso l’alto e assuma una dimensione esponenziale, il principale timore delle autorità sanitarie di tutto il mondo.

Ma cos’è esattamente l’Rt?

Si tratta del calcolo sull’indice di riproduzione di una malattia, elaborato attraverso complessi algoritmi e valutato in un periodo congruo di tempo, per esempio a livello settimanale. All’inizio della pandemia tutti ricordano gli scienziati parlare invece di “R con zero”, o R0. Si tratta sempre dell’indice di riproduzione di un virus, ma solo nelle fasi iniziali, quando normalmente non sono effettuati specifici interventi (farmacologici e no) per il controllo del fenomeno infettivo.

R0 rappresenta in sostanza il potenziale di trasmissione, o trasmissibilità, di una malattia infettiva non controllata. Tale valore R0 è funzione della probabilità di trasmissione per singolo contatto tra una persona infetta ed una suscettibile, del numero dei contatti della persona infetta e della durata dell’infettività.

La definizione del numero di riproduzione netto (Rt) è equivalente a quella di R0, con la differenza che Rt viene calcolato nel corso del tempo. Rt permette ad esempio di monitorare l’efficacia degli interventi nel corso di un’epidemia. R0 e Rt possono essere calcolati su base statistica a partire da una curva di incidenza di casi giornalieri (il numero di nuovi casi, giorno per giorno).

Per calcolare R0 o Rt non è necessario conoscere il numero totale di nuove infezioni giornaliere. Non è certo, come si affannano a dire gli epidemiologi, l’unico “termometro” di cui disponiamo per capire l’andamento del contagio, anzi: non a caso i parametri del monitoraggio della cabina di regia istituita da ministero e Iss tengono conto anche di dati più immediatamente leggibili come quelli dei carichi ospedalieri.

Per due motivi sostanziali: il primo è che Rt, valutando un trend su più giorni rispetto al dato acquisito precedentemente, rischia di essere sovrastimato in aree a bassa incidenza, dove un rialzo anche di scarsa entità puo’ far impennare il valore indice, come successo nei mesi scorsi a regioni praticamente Covid-free ma vittime di alcuni focolai sporadici (in particolare Umbria e Val d’Aosta), che si sono ritrovate temporaneamente un Rt superiore a quello della Lombardia.

La seconda criticità, come spiegato dall’Iss in una serie di Faq pubblicate sul suo portale, è che Rt viene calcolato solo sui casi sintomatici. Per questo solo nell’ultima settimana il valore è tornato sopra 1, pur essendo ormai oltre un mese che si assiste a una crescita sostanziosa di casi in tutta la Penisola. Un criterio di calcolo che, se poteva andar bene all’inizio, quando sostanzialmente si diagnosticavano solo casi sintomatici se non addirittura gravi, segna il passo ora che la stragrande maggioranza dei nuovi positivi sono asintomatici o tutt’al più paucisintomatici.

L’Rt calcolato solo sui casi sintomatici, ammette l’Iss, “pur rimanendo l’indicatore più affidabile a livello regionale e confrontabile nel tempo per il monitoraggio della trasmissibilità, potrebbe sottostimare leggermente la reale trasmissione del virus a livello nazionale”.

Il motivo dell’utilizzo di questo criterio risiede nel fatto che il metodo statistico di calcolo di Rt è robusto se viene calcolato su un numero di infezioni individuate secondo criteri sufficientemente stabili nel tempo.

Regione per regione, i criteri con cui vengono individuati i casi sintomatici o con cui vengono ospedalizzati i casi più gravi sono costanti, e il numero di questo tipo di pazienti è quindi strettamente legato alla trasmissibilità del virus. Al contrario, l’individuazione delle infezioni asintomatiche dipende molto dalla capacità di effettuare screening da parte dei dipartimenti di prevenzione e questa puo’ variare molto nel tempo.

Ad esempio, la capacità di fare screening può aumentare significativamente quando diminuisce l’incidenza totale della malattia e quindi il carico di lavoro sul sistema sanitario. Il risultato è che un maggiore o minore aumento dei casi asintomatici trovati non dipende dalla trasmissibilità del virus ma dal numero di analisi effettuate.

Quindi si è scelto di stimare la trasmissibilità di SARS-COV-2 nelle diverse regioni italiane fin da febbraio a partire dalla curva dei casi sintomatici giornalieri in quanto meno influenzato dal cambiamento che si è verificato in Italia nelle politiche di accertamento diagnostico su soggetti asintomatici (che in queste settimane, come detto, costituiscono la maggior parte dei casi diagnosticati).

Malgrado questi “difetti” a monte, l’indice Rt rimane comunque un dato considerato indicativo, paradossalmente anche più del mero computo dei nuovi dati giornalieri. Serve ad esempio per fare un confronto con la prima ondata: sebbene il numero di casi riportato giornalmente sia numericamente simile se non superiore a quello della fase a cavallo del lockdown, la fase epidemiologica è completamente diversa, e lo dimostra proprio l’Rt che nelle settimane più drammatiche dell’epidemia superava addirittura quota 2, il che portava, come in effetti è avvenuto, a tempi di raddoppio molto rapidi. 

Vedi: Cos'è l'Rt, il termometro del contagio da Covid
Fonte: cronaca agi


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