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…Come Oggi 15 gennaio 1993. L’arresto di Totò u curtu

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di Ettore Minniti

Il capitano Ultimo, del ROS Carabinieri, e i suoi uomini avevano presidiato per mesi Piazza della Noce a Palermo. L’intuizione di seguire i movimenti dei Ganci li porta sulle tracce del bossTotò Riina. Nel libro si racconta che Riina aveva una casa in via Bernini, nella stessa zona Uditore e non lontano da piazza della Noce. Era il 15 gennaio1993 quando alle 5 e 30 del mattino Ultimo riunì il gruppo. Con loro c’era il pentito mafioso Baldassarre Di Maggio, che si era piazzato nel furgone con Ombra. Alle 7 Di Maggio riconosce Salvatore Biondino e Totò Riina dentro una Citroën ZX mentre stavano uscendo dalla casa in via Bernini. Ombra comunica subito a Ultimo targa, colore e direzione dell’auto; Arciere inizia a seguirlo. Dopo un chilometro e mezzo la disposizione è completa, con una copertura a 360 gradi. Al primo semaforo intervengono: la macchina con Totò Riina si ferma, Ultimo e gli altri aprono velocemente le portiere e lo gettano a terra. Ultimo gli avvolge il collo con la sua sciarpa, lo caricano in macchina e lo portano in caserma. In questa giornata è stato assestato un grande colpo alla mafia. Ultimo rivendica fermamente il merito dell’arresto per sé e i suoi uomini”. Tratto dal libro Ultimo – Il capitano che arrestò Totò Riina scritto da Maurizio Torrealta, edito da Feltrinelli, con una prefazione di Ilda Boccassini.

Con il Capitano Ultimo una squadra di uomini pronti a tutto – Vichingo, Arciere, Daigoro, Nello, Alchimista, Pirata, Petalo e Androide – che l’hanno affiancato nei casi più difficili e pericolosi e che si sono contraddistinti per l’ineguagliabile tecnica investigativa. 

Ma chi era Totò Riina? Arrestato nel 1993 dopo 24 anni di latitanza, era ancora considerato il capo indiscusso di Cosa nostra. Il braccio armato e violento.

Verrà condannato a 26 ergastoli per decine di omicidi e stragi, tra le quali quella di viale Lazio a Palermo, gli attentati del ’92 in cui persero la vita i giudici Falcone e Borsellino e quelli del ’93 in varie zone d’Italia. 

Un metro e 58, che gli valse il soprannome di Totò U Curtu, giovanissimo, dopo una prima condanna per omicidio, esce dall’Ucciardone nel 1956, a pena scontata solo in parte, e viene arruolato nel gruppo di fuoco di Luciano Leggio che dietro di sé lascia una lunga scia di sangue. Riina ne diventa il vice. Dopo la cattura di Leggio, Riina prende il suo posto nel triumvirato mafioso assieme a Stefano Bontate e Tano Badalamenti.

L’ascesa in Cosa nostra, ottenuta col sangue e la violenza con oltre 100 omicidi alle spalle e 26 gli ergastoli a cui è stato condannato, è inarrestabile.

La conquista del potere a colpi di omicidi eclatanti: da Michele Reina a Piersanti Mattarella a Pio La Torre. Cadono sotto la sua mano sanguinaria i magistrati Cesare Terranova, Gaetano Costa, Rocco Chinnici, il giornalista Mario Francese, gli investigatori Boris Giuliano, Emanuele Basile, Mario D’Aleo, Ninni Cassarà, Giuseppe Montana, il medico incorruttibile Paolo Giaccone, il generale e prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa.

Quando il maxiprocesso, di cui lui è il massimo protagonista, diventa definitivo e cominciano a fioccare gli ergastoli per gli uomini d’onore, il padrino dichiara guerra allo Stato.

Inizia la stagione delle stragi.

Il 23 maggio e il 19 luglio del 1992 gli attentati con il tritolo uccidono i giudici Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e le loro scorte

Nel 2013, Riina dal carcere auspicava di poter colpire il PM Nino Di Matteo che rappresenta l’accusa nel processo per la presunta trattativa tra Stato e mafia: “questoprocesso” – riferendosi a Di Matteo – “mi sta facendo uscire pazzo, per dire, come non ti verrei ad ammazzare a te, come non te la farei venire a pescare, a prendere tonni. Ti farei diventare il primo tonno, il tonno buono. Ancora ci insisti?”.

E poi l’omicidio Ciancimino, il ‘papello’ nella trattativa Stato – Mafia, e tanto altro ancora che a narrarli ci vuole un’enciclopedia. In fondo ‘il padrino più sanguinario della storia’ da chi poteva essere arrestato se non da uomini dello Stato votati al sacrificio, all’alto senso del dovere, che avevano abbandonato i loro cari e i loro affetti per dedicarsi, full immersion, alla missione dai i più ritenuta impossibile, da coloro che erano giudicati gli ultimi nel proprio ambiente professionale, sui quali non avresti scommesso manco una lira perché emarginati dai colleghi stessi e dai superiori.

La storia della lotta alla criminalità è fatta anche di questi episodi.


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