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Amori e profumi per sfidare i demoni

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Mega biblìon mega kakòn, però non sempre. Per esempio quando dispiace finire l’ultimo romanzo di Daniela Ranieri: Stradario aggiornato di tutti i miei baci (pp.690, euro 19,80), edito da Ponte alle Grazie, è una psicomappa di cento amori e di cento profumi, di cento sentimenti e altrettanti risentimenti che attraversano la protagonista come tagli di bisturi che la scrittura ha il potere di allargare, ma poi rimarginare. L’io narrante è una donna che malgrado tutto continua a credere all’amore non foss’altro per dare torto al diavolo. Una protagonista immaginata ancora giovane che si ribella alla condanna – o alla tentazione – di non innamorarsi più, maledizione scagliata “contro tutti noi: questa specie particolare di noi che conduce l’esistenza più gelida che uno possa procurarsi in questa vita. Si vive per contraddirla; si esce di casa, ci si scalda allo sguardo di un altro, ci si innamora per dare torto al demonio”.

Libro dispari, inattuale per scrittura e per montaggio nella corrente produzione letteraria nazionale, lo Stradario di Daniela Ranieri felicemente svela la formazione da antropologa dell’autrice, con cui rinsalda le giunture dei ragionamenti, di una narrazione fatta vivaddio di varietà lessicale, di ipotassi, di complessità necessarie e di vissuti in cui si calano anche i libri letti: messi con citazioni a epigrafe su ciascuno dei numerosi, quasi sempre brevi capitoli, accorciano la distanza tra gli scaffali e la vita praticata. Ché se in letteratura i libri e le esperienze non si prestano reciproco soccorso, allora perde senso la scrittura pubblicata (ai critici chissà, ma ai lettori è certamente lecito chiedere a ciascuno se è necessario che scriva per gli altri).

Lo squallore di certe periferie romane ma anche della retorica del centro storico, l’addolorata acquisizione della consapevolezza nelle relazioni umane, sono polpa dello Stradario senza farlo tuttavia scivolare nell’intimismo inflazionato. Distanza s’impone così fra l’autrice e una spessa schiera di brillanti promesse che già nel primo movimento della dialettica arbasiniana sono assimilabili alla seconda fase (quella dei “soliti stronzi”; per la terza, dei “venerati maestri”, chi vivrà vedrà – ma forse no).

Il romanzo è divertente per copiosità di autoironia e pittura di tipi, per stati d’animo e aneddotica perché, com’è noto to the happy few, solo i kafkiani e i bernhardiani riescono a scippare più sorrisi del sommo Dickens di Circolo Pickwick. Anche libro, lo Stradario, per certe pagine dannunziano: le minute scomposizioni dei profumi, di cui sono citati nomi, marche e singoli ingredienti modellano sinestesie simili a quelle di Stelio Effrena quando nel Fuoco deliba e ritraduce, nota per nota, la musica che ascolta. “Inutile lottare contro i profumi alla vaniglia: arrivano dritti all’amigdala come il paletto di frassino nel cuore dei vampiri”. Oppure, per il Music for a While della casa Frederic Malle: che “è capzioso come un manoscritto di geometria medievale. Al primo spruzzo si ha l’impressione che danno certi balconi a picco sul mare: si avverte lo schiaffo metallico del vento che porta il latte della lavanda cresciuta a ciuffi selvaggi sulla scogliera”. Eccetera, eccetera. Persino troppo.

Passa attraverso il libro un variegato campionario d’uomini della protagonista, che lei trapassa: il fidanzato medico, lo scrittore, il traditore, il feticista, l’onorevole, lo stalker o anche uno che dice sempre: “Scusa un attimo”, salvo quando deve stare attento a non lasciare incinta la ragazza nel fatidico momento in cui i genitori di Tristram Shandy, gentiluomo, si domandarono se fosse stata caricata la pendola.

Che in certi casi per far letteratura sia auspicabile, oltre al talento, un certo stock di misantropia e di ipocondria, illustri precedenti lo confermano. E questa è l’area dove collocare la Ranieri, incollocabile nell’acquoso libro-cuore-asl di molti suoi (sue) contemporanei. Le sfumature dell’amore, e quelle dei profumi, s’intrecciano montate entrambe su un sottotesto da cronista quando descrive questa Roma qua, piena di storia eppure tanto desolata. Che “diventerà sempre di più la storia di chi una sera di novembre avrà aspettato l’autobus, si sarà lamentato del freddo e dell’attesa, e l’autista avrà sbuffato desiderando il letto”. Sono le sere in cui non bastano i profumi (ma quanto aiutano).

Source: agi


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