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 Teatro a Catania: la famiglia italiana, i dialoghi   di Pirandello, la figlia di Joyce e un post-Amleto

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Da giovedì 25 a domenica 28 maggio, al Piccolo Teatro della Città va in scena “Family day”, prima puntata dello spettacolo ideato e diretto da Nicola Alberto Orofino, progetto in 7 puntate; a sala Futura il secondo dei tre spettacoli vincitori del bando Corti Teatrali Ct Off 22 “Dialoghi tra il Gram Me e il Piccolo Me”; alla sala Di Martino “Nel nome del padre” e a Scenario pubblico “Pest(e) a Buda”, un personaggio-metafora vittima della sua vendetta

 

Fonte: Uffici Stampa

Family day (Puntata 1)

Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò… Prende avvio proprio dalla domenica il progetto teatrale Family Day, ideato e diretto da Nicola Alberto Orofino che intende raccontare la famiglia italiana in 7 puntate. Il primo appuntamento, ovvero “Family Day puntata 1: Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò”, in scena da giovedì 25 a domenica 28 maggio (ore 21, domenica ore 17.30) al Piccolo Teatro della Città di Catania. Prodotto da Associazione Città Teatro, lo spettacolo vede in scena Alessandra Barbagallo, Francesco Bernava, Egle Doria, Alice Ferlito e Rita Salonia (scene e costumi sono di Vincenzo La Mendola, foto di scena Gianluigi Primaverile). Raccontare la famiglia tradizionale… oggi: da questa premessa parte il progetto del regista catanese Nicola Alberto Orofino che si pone tante domande tra cui “quale può essere il significato di famiglia tradizionale? Il senso di appartenenza, la patria, la religione, la famiglia, il lavoro… sono ancora questi i valori che costituiscono le fondamenta dell’istituzione familiare? È possibile ancora discutere di famiglia tipo al di fuori di ogni retorica e di ogni anacronistico retaggio religioso?”. Per rispondere a questi quesiti punta su una messinscena originale in cui “Un coro che si muove all’unisono: una madre, un padre, una figlia, una nonna e un cane sono i protagonisti per raccontare il rito della domenica che tradizionalmente è la giornata in cui tutta la famiglia si ritrova (spesso costretta) assieme. “Certo – spiega il regista – discutere di ‘modello familiare’ significa non avere nessuna percezione di cosa sono le famiglie oggi, della vastità di singolarità che il contesto familiare prospetta. Family Day mette in scena quell’immaginario contemporaneamente sacro e falso, istituzionale e televisivo, ma per niente aderente alla composita realtà contemporanea della famiglia italiana (e globale). Un immaginario fatto di gesti, riti, abitudini che si reiterano sempre allo stesso modo al solo scopo di mettere a tacere le vere dinamiche relazionali, mai del tutto idilliache e di svelare un mondo in cui la parola diventa inutile. Il risultato è un mondo in cui la capacità di comunicare è definitivamente compromessa. Quella idea di famiglia non ha parole, non può usarle perché deve nascondere costantemente ciò che non può essere confessato, quello che deturperebbe l’ideale da Bibbia e Codice Civile”. Questi i temi su cui Family Day fa riflettere: un progetto teso a rivelare la famiglia italiana in 7 spettacoli che raccontano – rispettivamente – una giornata tradizionalmente importante di una famiglia (la domenica, il matrimonio, la nascita di un figlio, il funerale, l’arrivo di un lontano parente, la rottura di un matrimonio…). Ogni capitolo avrà un titolo ironicamente tratto dalla Bibbia.

 

Dialoghi tra il Gran Me e il Piccolo Me

Un riadattamento che trae ispirazione da una raccolta di novelle, composta da quattro capitoli (Nostra Moglie, L’accordo, La vigilia ed In società) che Luigi Pirandello scrisse tra la fine del 1800 e i primi del 1900. Abbiamo voluto dare vita ad un testo teatrale capace di portare in scena una sensazione che ogni essere umano vive: quella del bivio. Ciò che ci ha affascinato di queste novelle è stato il dialogo incessante che il drammaturgo girgentino ci regala tra due parti del suo io, il suo Gran Me ed il suo piccolo me. Queste due parti (zone intime dello scrittore) si elevano a metafora della personalità di ognuno di noi. La parte più giovane e arcana di Pirandello (Piccolo me) sta per morire. Ne “La Vigilia”, per esempio, dove sarà approfondito l’argomento amoroso, vedremo come i due personaggi si confronteranno con esso. Infatti oltre alla disintegrazione del proprio sé, vogliamo raccontare e rappresentare un Pirandello inedito, innamorato di Maria Antonietta Portulano e al tempo stesso indeciso e spaventato di “sostituire” con l’amore verso una donna, il grande amore che ha sempre provato verso qualcosa di altro: l’amore per l’Arte. La nostra idea registica è di mostrare i quattro capitoli come delle stanze della mente. Oltre al costante dialogo tra i due personaggi non mancheranno parti corali in cui si evince che una parte non può vivere senza l’altra. La regia di questo testo vuole dare forza e potenza a delle domande che ogni essere umano nel corso della sua vita si pone: Chi di noi non ha mai parlato con i propri pensieri? Chi di noi non si è mai trovato di fronte a un bivio? Chi di noi non ha mai avuto un dissidio interiore? Il testo pirandelliano ci pone davanti due delle tante facce che può assumere il nostro io (il Gran me che rappresenta il pensiero e il Piccolo me che rappresenta la concretezza) e ci invita ad avere il coraggio di accettare la nostra rottura interiore. Per “Rottura” dal greco “Krysis” che in primo luogo significava “separare” non vogliamo intendere divisione e lontananza da ciò che ci si pone davanti. Piuttosto per “crisi” (da cui deriveranno parole come Krites/giudice e Ypokrites/attore) vogliamo intendere crescita e scelta (così come è nella natura di un attore, ago/agire). Avere la forza di affrontare i propri demoni per superarli, conoscerli e farli vivere in pace con il nostro essere.

 

Tratto da Luigi Pirandello; regia Bruno Prestigio e Michele Carvello; con Bruno Prestigio e Michele Carvello; direttrice dei movimenti Jacqueline Bulnes; costumi Riccardo Cappello; luci Gaetano La Mela; audio Luigi Leone; produzione Teatro Stabile di Catania. Calendario: Giovedì 25 maggio 2023 ore 20,45; Venerdì 26 maggio 2023 ore 20,45; Sabato 27 maggio 2023 ore 20,45; Domenica 27 maggio 2023 ore 18

 

Nel nome del padre

Lo spettacolo dal titolo “Nel nome del padre” a cura del Centro Teatrale “Fabbricateatro” segnerà l’inizio della stagione estiva per la compagnia d’avanguardia catanese in attività da ben trent’anni. La “prima/anteprima” della pièce andrà in scena giovedì 25 maggio alle ore 21:00 presso la Sala Di Martino sita in via Caronda, 82 a Catania con il contributo di Assessorato Turismo Sport e Spettacolo Regione Siciliana. Un calendario fitto di appuntamenti, ben otto le repliche: 26 e 27 maggio ore 21:00, 28 maggio ore 18:00, 7 e 8 giugno ore 21:00 ed infine 11 giugno ore 18:00. L’ingresso ha il costo di 5 euro, un prezzo piccolo per una grande emozione a sostegno del lavoro e l’impegno della compagnia. E’ fortemente consigliato prenotare componendo il numero 347/3637379. Lo spettatore assisterà all’intimo racconto della vita esemplare di Lucia Joyce – promessa della danza moderna – nata a Trieste la mattina del 26 luglio 1907 dall’unione tra lo scrittore, poeta e drammaturgo irlandese James Joyce e la letterata Nora Bernacle la quale confessò “di aver provato vergogna nell’aver partorito la figlia in strada con indosso un soprabito da uomo che la faceva assomigliare ad un mucchio di stracci”. La vita di Lucia Joyce fu tragicamente segnata da un amore platonico nei confronti del drammaturgo e sceneggiatore irlandese Samuel Beckett, il quale sembrava essere più interessato al padre che a lei. La disperazione nata da quel forte sentimento non corrisposto segnò la prima incrinatura nell’equilibrio psichico della giovane Lucia che nel 1932 – dopo aver distrutto una sedia in testa alla madre – fu ricoverata in una clinica psichiatrica per decisione del padre. Da quel momento in poi la ragazza fu internata presso diverse strutture collezionando diagnosi discordanti e subendo terapie inutili tra cui quelle di Carl Gustav Jung il quale un giorno le disse: “I manicomi sono pieni di ragazze troppo legate ai padri se non innamorate di loro, bisogna a tutti i costi strapparti dall’orbita di tuo padre al quale sei unita da una relazione inestricabile di sessualità repressa e consonanza artistica. Tuo padre sfrutta l’oscurità della tua mente per il suo lavoro creativo”. “Nel nome del padre” prende vita da un’immagine creata dal regista Elio Gimbo: “Lucia incontra i fantasmi degli ingombranti genitori intenta a graffiare il proprio nome sulla tomba di famiglia alla disperata ricerca del proprio posto. Tra il sogno e l’allucinazione psichica il trio rivivrà la vita in comune che gli appartenne, danzando tra le perle dei sogni di gloria realizzati e i cocci dei sogni privati infranti”.

Produzione a cura di Elio Gimbo (regista), Giovanni Calabretta (interprete di James Joyce), Barbara Cracchiolo (interprete di Nora Joyce), Sabrina Tellico (interprete di Lucia Joyce), Bernardo Ferrone (scena) e Simone Raimondo (luci). Da giovedì 25 maggio presso la sala Di Martino (via Caronda, 82 Catania)

Pest(e) a Buda – Battaglia per la Groenlandia

Come in flusso di coscienza denso di trascorsi passionali e significativi, avvolto in un’ambientazione dalle tinte punk gotiche e intersecato da lampi che rimandano a finestre sull’attualità, la struttura narrativa di quest’opera teatrale è quella del monologo, dove l’interpretazione dell’attore è sostenuta, sia da una corposa presenza testuale, sia da un utilizzo del movimento corporeo che fa approdare lo spettacolo in certi momenti alla dimensione del teatro-danza. La volontà è quella di sanare la frattura tra il testo e la scena, o se vogliamo, tra la forma e il contenuto, tra la condivisione e la comunicazione, tra l’energia e l’informazione. In questa inquadratura il protagonista è Amleto, o meglio ancora, post-Amleto: una figura  trasformativa, un personaggio metafora che rimanda ad una fuga dal “mondo artificiale” per compiere un ritorno all’ ”uomo vero”, e mediare ad un futuro-presente troppo esasperato, veloce e macchinizzato, apatico, nichilista e crudele, che allontana sempre di più l’uomo dalla sua anima umana e quindi dalla verità. In questa prigione corporale, Amleto è vittima della sua vendetta, ne è schiavo: è la macchina che lo guida in azioni violente che però lui non vuole più compiere. “Io non voglio vendicarmi più”. In questa maglia nera, da dove però passano dei raggi di luce, gli elementi scenici descrivono un ambiente metropolitano che racchiude in sé i contorni dei bassifondi di una città moderna con dei richiami pubblicitari, seppur non espliciti, provenienti dalle più sofisticate multinazionali dei giorni nostri, fino alla presenza di contrappunti anacronistici medioevali. L’attrezzo di scena qui diventa utile alla drammaturgia e l’azione scenica diventa azione trasformativa attraverso le combinazioni tra l’attore, l’oggetto e la musica. Lo spettacolo così descritto è ripartito in cinque quadri, come nella tragedia greca o come nel teatro elisabettiano; quadri che scandiscono il tempo e modulano l’intensità emozionale da quadro a quadro e dal primo all’ultimo quadro. Amleto, in questa messinscena oscura, “nel cuore delle tenebre”, è come una luce di speranza in un mondo buio e tagliente. Questa luce è ancor più rafforzata dalla presenza della voce di Ofelia, che pur ella si adopera a cambiare sé stessa, aiuterà Amleto nel suo percorso.

 

Regia e interpretazione Paolo Toti; Voce fuori campo Chiaraluce Fiorito; Luci e fonica Sammy Torrisi; Fotografia e grafica Central Color, Ct; Scene e adattamento Paolo Toti; Prenotazioni presso REBETIKO PRODUZIONI 𝟑𝟕𝟏𝟔𝟏𝟑𝟑𝟒𝟐𝟏; Calendario: 𝐌𝐞𝐫𝐜𝐨𝐥𝐞𝐝ì 𝟑𝟏 𝐌𝐀𝐆𝐆𝐈𝐎 Doppio turno h 19.00 – h 21.00, 𝐆𝐢𝐨𝐯𝐞𝐝ì 𝟏 𝐆𝐈𝐔𝐆𝐍𝐎Doppio turno h 19.00 – h 21.00

SCENARIO PUBBLICO CT, Via Teatro Massimo 16; Costo del biglietto 10 €; Durata 60′