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Silvia rapita in Kenya, giorno XXI. La foresta al setaccio della Polizia

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Il rapimento di Silvia Romano è arrivato al ventunesimo giorno e le speranze si alternano a sentimenti di incertezza. La polizia keniana setaccia le possibili aeree dove si presume sia nascosta e tenuta in ostaggio la giovane cooperante italiana. In molti, dal giorno del rapimento di Silvia, in Italia e altrove, hanno avuto parole di speranza ma, anche, espressioni poco edificanti. Per queste ragioni abbiamo sentito don Dante Carraro, direttore di Medici con l’Africa Cuamm, una delle più grande organizzazioni non governative italiane che opera in Africa, hanno lavorato anche in Kenya, e in molti paesi a rischio.

In queste ore don Dante si trova in Sud Sudan, non certo un paese facile. A lui abbiamo chiesto come lavora o dovrebbe lavorare una Ong. “Il criterio per cui esistono le Ong – ci racconta il direttore del Cuamm – quelle motivate sanamente, è andare nelle aree dove maggiore è il bisogno e minore, spesso, è la sicurezza. Ci vai motivato dal valore della solidarietà. I volontari vanno dove gli altri non andrebbero”.

E Silvia è andata dove il bisogno era maggiore, in quel villaggio, Chakama, nell’entroterra della costa di Malindi, dove povertà e bisogni sono maggiori. Nulla, tuttavia, faceva pensare che in quella zona potesse accadere ciò che, invece, è successo. “I volontari sono fortemente motivati. Noi abbiamo molti espatriati in Sud Sudan, che è un Paese molto pericoloso – prosegue don Dante -. In forza dell’insicurezza che c’è devi attrezzarti in maniera adeguata, essere parte della comunità. Questo fa si che è la stessa comunità che ti mette in guardia, che ti dice se oggi è il caso di andare in una certa zona a fare vaccinazioni, per esempio, oppure no”.

Il legame di Silvia Romano con la comunità in cui lavorava era indubbiamente forte, era, dai racconti, ben integrata anche grazie al lavoro che svolgeva. Non è un caso che in cinque persone si sono fatte sparare per cercare di sottrarla ai suoi sequestratori.

“Non c’è dubbio – continua il direttore del Cuamm – che Silvia fosse motivata, e questo depone per lei. Certamente è stata mossa da grandi motivazioni, una spinta ideale bella e pulita. Per questo è ammirabile: spendersi al servizio di chi è stato meno fortunato di noi. Rispettiamola e diciamoci che è un punto di orgoglio che ci siano giovani così rispetto a un mondo, a giovani, che guardano ad altre logiche. Credo che tutto ciò sia un valore. E per questo dobbiamo rispettarla e rispettare le sue scelte”.

L’Africa, spiega don Dante, “è un continente che è cresciuto molto, che è cambiato molto e ci sono aree tranquille, meno soggette a fenomeni di insicurezza. Per questo occorre essere coscienti di dove si va. Immagino che il suo referente l’abbia informata del fatto che andava in quell’area e in quelle situazioni. In una zona che non è totalmente tranquilla, dove qualche rischio c’è. Possiamo dire che, forse, è subentrata una certa leggerezza dovuta al suo entusiasmo. Quando sei innamorato, agisci sull’onda dell’innamoramento, piuttosto che sull’onda della razionalità. Immagino che fosse stata informata dei rischi a cui andava incontro”.

La sicurezza, tuttavia, per le Ong, è un punto molto importante. “Noi del Cuamm, ai nostri operatori, facciamo 5 settimane di formazione in sede, qui in Italia. Formazione che riguarda gli aspetti sanitari, gli incidenti stradali, più rischiosi, spesso, degli aspetti sanitari. E poi sulla sicurezza. Per esempio noi raccontiamo le esperienze che abbiamo avuto nei nostri 68 anni di storia. Esperienze e storie che aiutano il volontario ad avere una sana attenzione”.

Don Dante, tuttavia, conclude ribadendo che “Silvia dobbiamo rispettarla e rispettare le sue scelte, perché è motivata da una spinta bella e pulita. Una giovane mossa da grandi motivazioni, che si spende al servizio di chi è stato meno fortunato”.

Vedi: Silvia rapita in Kenya, giorno XXI. La foresta al setaccio della Polizia
Fonte: estero agi


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