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RespirArt in Val di Fiemme, 'land art' che fa riflettere. Al via la XII edizione

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Passeggiare tra i pascoli di Pampeago, in Val di Fiemme, ai piedi delle Dolomiti del Trentino, e insieme rilassarsi, ma anche riflettere. È l’occasione che offre, RespirArt, il museo a cielo aperto più alto d’Italia, forse tra i più alti al mondo: a 2.200 metri sopra il livello del mare, a pochi chilometri da Cavalese.  

Il Parco – nato da un progetto della giornalista Beatrice Calamari e dell’artista Marco Nones – dal 2011 offre la possibilità di dialogare, lungo un percorso ad anello di tre chilometri, con una serie di installazioni, affidate alla natura e ai suoi elementi. Sabato è stata inaugurata la decima edizione (ma altre due si sono tenute in inverno), con due nuove installazioni: la ‘Reggia barbarica’ di Patrizia Giambi e ‘Punto e virgola’ di Gabriele Meneguzzi e Vincenzo Sponga. 

La prima è un’opera di un’artista di fama internazionale e che ha lavorato anche con Maurizio Cattelan: Patrizia Giambi ha pensato un’installazione fatta con legni di scarto e feltro lavorato a mano, materiali naturali con cui ha voluto raccontare la sua storia, il suo “bisogno di un riparo e di un’alcova”, come ha spiegato lei stessa nel giorno dell’inaugurazione. La piccola costruzione, creata con legno raccolto dalla discarica e materiali del territorio, è infatti una reggia primitiva, priva di tetto e con il cielo che vi cade dentro: e il suo interno, grazie alla presenza di figure gravide che affiorano da un feltro artigianale e morbidissimo, è come un’alcova dei tempi primordiali. 

‘Punto e virgola’ è invece l’installazione di Gabriele Meneguzzi e Vincenzo Sponga, i due fondatori di Humus Park a Pordenone. L’opera -hanno spiegato i due artisti- rivela la ‘punteggiatura’ della natura, una trama chiara e sequenziale: la natura, scrivendo la storia, mette le ‘virgole’ per richiamare l’uomo al suo rispetto, per rallentarlo, per invitarlo a prendere fiato.

Ma quando si sente violentata, quando percepisce che l’uomo le ha mancato di rispetto, allora mette un ‘punto’, come un genitore arrabbiato quando perde le staffe ma vuole domare un figlio ribelle: è proprio quando la natura si stanca, che mette un ‘punto’, quando percepisce di essere stata violentata. “E forse anche il Covid-19, che guarda caso non colpisce gli animali, ma solo l’uomo, è un ‘punto’ messo dalla natura esausta”. 

L’arte ambientale introduce un segno nella natura e lo fa sembra naturale. Questi ‘segni’ immersi nel paesaggio, che non sono mai invasivi ma sempre rispettosi della natura, parlano e fanno riflettere; a volte invitano a fermarsi e sono installazioni pensate per sedersi.

È il caso di ‘Harmonia’, di Dorota Koziara, designer e architetto che lavora fra Milano e la Polonia: l’installazione raffigura i due corpi stilizzati di un uomo e di una donna, schiena contro schiena e queste due figure sono anche panchine su cui sedersi per ammirare le cime circostanti, le Pale di San Martino e la Pala Santa. Si può guardare il panorama e immergersi in esso anche davanti a ‘Natura viva’, di Mauro Lampo Olivotto: un’immensa cornice puntata sui pascoli dolomitici da ammirare seduti su tre troni gotici posti di  fronte. 

Le opere sono in tutto 29 e ognuna è un’occasione di dialogo, con l’ambiente e con se stessi. C’è ‘Mediterraneo’, il pastore che si staglia silenziosamente con il suo animale, lo sguardo perso in un orizzonte lontano: è l’opera di Elio Vanzo, artista oltrechè direttore del Museo di Arte contemporanea di Cavalese.  E c’è ‘Il nodo della strega’ di Mariano Vassellai, che ha installato davanti al Monte Cornon un’opera dedicata alla ‘Strega del Cornon’. All’inizio del Cinquecento, la Val di Fiemme fu infatti teatro di una vera e propria caccia alle streghe: in un clima di inquisizione e di lotta a ogni forma di superstizione e voce dissenziente, vennero processate, condannate e portate sul rogo 28 persone. L’opera è un inno alle donne ‘diverse’, un risarcimento simbolico a tutte quelle che non si piegano.

Poco distante si trova l’opera degli artisti trentini del Gruppo Terrae, che hanno raccontato il dramma della tempesta Vaia del 29 ottobre 2019: una tempesta di vento che abbattè milioni di alberi del Triveneto, spazzando via tutto quanto incontrava al suo passaggio, con raffiche che toccarono i 200km/orari. L’opera narra la forza distruttiva della natura ma anche la potente spinta di rinascita di un popolo fiero e volitivo, che non si è lasciato piegare.

Mind’s Eye è invece la prima installazione in Italia della ‘land artist’ statunitense, Olga Ziemska: con rami di betulla, cirmoli e noccioli, ha creato un mosaico dove ogni legno rappresenta una cellula umana; e lo spazio vuoto, la mente, si focalizza sull’imponenza del Latemar.

A suggellare il ‘racconto’ delle 29 opere, il ‘Teatro del Latemar’, l’installazione del fondatore del parco, Marco Nones, che riproduce il profilo del massiccio dolomitico, e ogni estate ospita spettacoli di ogni genere.

Con il pubblico seduto su cubi di larice, fra cespugli di mirtilli e rododendri, sabato il RespirArt Day si è concluso proprio nel Teatro del Latemar dove i protagonisti di questa edizione -guidati da Maria Concetta Mattei, conduttrice del Tg2 e appassionata d’arte- hanno raccontato la loro arte. La straordinaria e stimolante esposizione di Land Art resterà aperta fino al 27 settembre.

E in questi mesi d’estate, ai visitatori che vorranno salire a RespirArt potrà accadere di incontrare, tra un’opera e un’altra, anche gruppi di musicisti che dedicano concerti alle mucche: una sperimentazione che è un ennesimo esempio di come l’uomo può entrare in sintonia con la natura e le creature che la popolano.  

Vedi: RespirArt in Val di Fiemme, 'land art' che fa riflettere. Al via la XII edizione
Fonte: cultura agi


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