Il premier giapponese Shinzo Abe potrebbe aver candidato il presidente degli Stati Uniti Donald Trump al premio Nobel per la Pace. Lo ha annunciato lo stesso inquilino della Casa Bianca nel corso della conferenza stampa a Washington dello scorso 15 febbraio (min. 52:05): Trump ha spiegato che Abe “ha chiesto di assegnare il premio” a The Donald per la sua opera di mediazione con Kim Jong-un.
Pazienza se lo stesso Abe non abbia voluto confermare, pazienza anche che le liste dei candidati debbano rimanere segrete per almeno 50 anni, secondo il regolamento del Comitato norvegese. Spulciando tra i documenti disponibili a inizio 2019, comunque, si scopre che da quando viene assegnato il Nobel tutti i presidenti statunitensi sono finiti in nomination, a eccezione di Calvin Coolidge.
I dati disponibili si fermano al 1967, cioè a poco più di 50 anni fa. Ma tra 1901, anno del primo Nobel, e il ‘67 vivere alla Casa Bianca significava di fatto anche essere in lizza per uno dei premi più ambiti al mondo. In quegli anni, infatti, tutti i presidenti degli Stati Uniti hanno ricevuto l’endorsement di qualcuno che li ha sponsorizzati al Comitato di Oslo. Ma come funzionano le candidature?
Le nomine, si legge sul sito del Premio Nobel, devono arrivare da “persone qualificate” e in particolare da chi ricopre determinate cariche: tra queste, i membri del governo degli Stati sovrani e i rispettivi capi di Stato, i membri della Corte internazionale di giustizia dell’Aia, quelli dell’Istituto di diritto internazionale, gli ex vincitori del Nobel per la Pace, poi ancora rettori delle università e docenti in storia, scienze sociali, legge filosofia e teologia.
Le candidature per il premio che verrà assegnato il prossimo 10 dicembre a Oslo si sono chiuse alla fine di gennaio: a concorrere saranno in 304, di cui 219 persone e 85 organizzazioni.
Il presidente statunitense più sponsorizzato fu Woodrow Wilson. In carica tra 1913 e 1921, l’esponente democratico ricevette 22 candidature. Tra queste anche tre provenienti dall’Italia, tutte nel 1919, l’anno in cui effettivamente poi Wilson venne insignito del Nobel. A candidarlo furono Edoardo Giretti – deputato del Regno d’Italia, economista anti protezionista e membro del Bureau international permanent de la paix (carica che gli diede il diritto di nomina) –, la facoltà di Legge dell’Università di Napoli e quella di Legge, Letteratura e Filosofia di Bologna. La motivazione? Il tentativo, seppur infruttuoso, di “persuadere i belligeranti a porre fine alla guerra chiedendo una pace senza vittoria” e i celebri “Quattordici punti” che avrebbero rappresentato “i principi guida per la Conferenza di Parigi”.
Wilson non è solo: Theodore Roosevelt venne nominato da 7 persone nel 1906 (quando vinse). Hoover, il presidente che fronteggiò la Grande Crisi del ‘29, ne ricevette quattro, una in meno di Franklin Delano Roosevelt. Una sola nomina per Taft, due per Harding, mentre Truman, il presidente delle bombe atomiche e dell’avvio della Guerra Fredda, ne ricevette 7 compresa quella, nel 1953, di uno dei padri fondatori dell’Unione europea, Robert Schuman. Nove furono quelle giunte per Ike Eisenhower, alla Casa Bianca negli anni della Guerra di Corea, una per Kennedy e Johnson. Sull’era Nixon, e tutto quello che è venuto dopo, per ora vige il segreto: ne sapremo di più tra qualche anno.
Di certo conosciamo soltanto chi altro, tra chi sedette alla Casa Bianca, vinse il Nobel per la Pace. Sono due: Jimmy Carter, che lo vinse nel 2002 venticinque anni dopo l’inizio della sua presidenza, “per l’impegno instancabile decennale per trovare soluzioni pacifiche ai conflitti internazionali, per far avanzare la democrazia e i diritti umani, e per promuovere lo sviluppo economico e sociale”; e Barack Obama che ne venne insignito nel 2009, pochi mesi dopo il suo insediamento, “per i suoi straordinari sforzi per rafforzare la diplomazia internazionale e cooperazione tra i popoli”.
C’è un solo presidente statunitense a non essere mai finito nella lista dei candidati al Nobel: è Calvin Coolidge. Trentesimo presidente, in carica dal ‘23 al ‘29, Coolidge guidò gli Stati Uniti tra la fine della guerra, che regalò a Washington peso internazionale, e il crollo di Wall Street del ‘29. Soprannominato Silent Cal, prima di trasferirsi alla Casa Bianca faceva l’avvocato. Dopo il ‘29, fino alla morte nel ‘33, si occupò di scrivere le sue memorie e qualche editoriale sui giornali. Il presidente del Vermont, ha scritto Usa Today, è stato il secondo meno facoltoso tra i presidenti, dietro soltanto a Truman.
Vedi: Quell'attrazione reciproca tra Casa Bianca e Premio Nobel per la pace
Fonte: estero agi