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Per un voto ragionato

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Siamo alla fine di questa strana campagna elettorale. Non solo, al di là della più stretta emergenza, elettrici ed elettori dovranno riflettere attentamente sulle grandi questioni di fondo che la nuova legislatura sarà chiamata ad affrontare: la lotta alle disuguaglianze e per la giustizia sociale; la transizione ecologica perché l’Italia faccia la sua parte nella lotta ai cambiamenti climatici, che è il contrario di tutto ciò che devasta i territori con impianti che producono un eccesso di anidride carbonica e che è la prospettiva in cui inserire tutti i programmi di investimenti pubblici (a partire dal Pnrr) e privati ed ogni visuale di crescita e di sviluppo economico per creare nuova ricchezza e nuovo lavoro; la salvaguardia del modello democratico garantito dalla Costituzione.

Ragioniamo prima di votare.

 

di Antonello Longo

 

Siamo alla fine di questa strana campagna elettorale. E io mi chiedo quanti fra le cittadine e i cittadini italiani sanno dire – così, su due piedi – in quale collegio plurinominale ricada la propria residenza e quali siano i candidati che si contendono l’elezione nel relativo collegio uninominale. Il fatto è che il rapporto tra eletti ed elettori è andato a farsi friggere e i deputati e i senatori che comporranno il nuovo Parlamento (così come gli uscenti) non rappresenteranno le elettrici e gli elettori del cui voto avranno beneficiato bensì le gerarchie del partito di appartenenza (che, d’altronde – proprio per le modalità della loro elezione, che corrompono nell’intimo le dinamiche politiche  – non esiteranno a tradire alla prima occasione, dando vita allo stesso inverecondo e turbinoso balletto di voltagabbana cui abbiamo assistito in questi anni).

Ricordate quando Luigi Di Maio, da capo politico del Movimento Cinque Stelle, assieme al taglio del numero dei parlamentari (improvvido ma approvato da tutto l’arco parlamentare – ultima, decisiva votazione: presenti 569, votanti 567, favorevoli 553, contrari 14, astenuti 2 – e poi suffragato dal referendum popolare), si batteva per abrogare il vincolo di mandato (disegno di legge costituzionale n. 2759 comunicato alla presidenza del Senato il 23 marzo 2017: “Modifica all’articolo 67 della Costituzione, concernente il vincolo di mandato dei parlamentari), deplorando la continua transumanza degli “onorevoli” da un gruppo all’altro?

Bene, folgorato sulla via di damasco dalla luce ultraterrena di Supermario Draghi, lo stesso Di Maio non ha poi esitato ad abbandonare il movimento che lo aveva eletto e di cui era stato a lungo portavoce per formare l’ennesimo cespuglio. E mi auguro che abbia fatto ciò dopo una più attenta riflessione sul significato del dettato costituzionale (articolo 67: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”), comprendendo che proteggere i membri di un’assemblea elettiva da condizionamenti e vincoli esterni ed assicurare agli eletti la libertà di agire seguendo la propria coscienza è uno dei pilastri su cui si fonda, dai tempi della Rivoluzione francese, la moderna democrazia rappresentativa. Senza lo “statuto delle libertà parlamentari” previsto dalla Costituzione repubblicana la sovranità passerebbe dai rappresentanti del popolo ai partiti politici la cui democraticità, pure sancita dall’articolo 49 della Costituzione, non è garantita. Per evitare che il divieto del vincolo di mandato diventi un salvacondotto per il trasformismo più deteriore basterebbe non dimenticare l’art. 54, secondo comma, della Carta: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore”.

Ciò detto, il voto di domenica può determinare una svolta politica cruciale per il nostro Paese ed è importante che gli aventi diritto si rechino alle urne per esercitare l’unica prerogativa ancora nella loro disponibilità, quello di esprimere col voto il proprio orientamento politico (anche se il meccanismo di legge, purtroppo, non consente un’esatta – e nemmeno plausibile o accettabile – proporzione tra i voti espressi e la rappresentanza parlamentare).

Abbiamo davanti il quadro di una grande emergenza, dall’aumento incontrollato delle bollette energetiche e del costo della vita alla prospettiva di una grave crisi occupazionale causata dalle difficoltà di centinaia di migliaia di piccole e medie imprese. Sui temi della crisi energetica l’attività del governo in carica per gli affari correnti non è andata oltre la politica dei bonus a pioggia, mentre le proposte dei partiti si sono soffermate, quasi tutte, sui rimedi emergenziali più che sulle cause che determinano la crisi, dalla guerra (che viene alimentata e rischia una tragica escalation) all’enorme ritardo nell’abbandono dei combustibili fossili (i produttori ed i commercianti dei quali vengono ancora abbondantemente foraggiati col pubblico denaro) a vantaggio delle fonti rinnovabili.

Non solo, al di là della più stretta emergenza, elettrici ed elettori dovranno riflettere attentamente sulle grandi questioni di fondo che la nuova legislatura sarà chiamata ad affrontare: la lotta alle disuguaglianze e per la giustizia sociale; la transizione ecologica perché l’Italia faccia la sua parte nella lotta ai cambiamenti climatici, che è il contrario di tutto ciò che devasta i territori con impianti che producono un eccesso di anidride carbonica e che è la prospettiva in cui inserire tutti i programmi di investimenti pubblici (a partire dal Pnrr) e privati ed ogni visuale di crescita e di sviluppo economico per creare nuova ricchezza e nuovo lavoro; la salvaguardia del modello democratico garantito dalla Costituzione di fronte alle nebulose (e pericolose) proposte di stravolgimento degli assetti istituzionali basati sull’equilibrio tra i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario; il contrasto reale a tutte le forme di mafia e di corruzione; il riequilibrio territoriale tra Nord e Sud del Paese. Ed ultima, ma non ultima, la difesa dei diritti, di tutti i diritti umani, civili e sociali, nello spirito dell’articolo 3 della Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

E sì, tutte le forze politiche dovrebbero avere come stella polare proprio la nostra Costituzione, nata dalla Resistenza al nazifascismo. La Carta non è un vecchio arnese da smantellare ma il binario sicuro sul quale far muovere la democrazia italiana, il modello, purtroppo mai attuato nella sua pienezza, di democrazia rappresentativa e partecipata, liberale e sociale, pensato dalle madri e dai padri costituenti per sbarrare il passo (come di fatto ha poi fatto nei 76 anni di vita della Repubblica, vanificando ogni trama golpista) ad ogni pulsione reazionaria e tentazione autoritaria.

Ragioniamo prima di votare. È meglio non riferirsi soltanto ai programmi scritti sui volantini e sbandierati nei comizi elettorali e nei vaniloqui televisivi, spesso con proposte estemporanee, buttate lì per vedere l’effetto che fa. Occorre valutare attentamente coerenza e credibilità, storie e percorsi compiuti dalle persone e dai gruppi, il retroterra culturale di cui ciascuno è portatore, la qualità e lo spessore non solo dei leader ma anche dei gruppi dirigenti che vengono proposti, la capacità di guardare al futuro con idee chiare e idealità riconoscibili.

 

Antonello Longo, giornalista, direttore responsabile QDC