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Pa, Csel: “Otto capoluoghi su 20 non rispettano tetto massimo 30 giorni per pagamento fatture”

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Roma, 10 apr. (Adnkronos/Labitalia) – Nell’arco del 2022, il 40% dei capoluoghi di regione italiani ha superato il limite massimo dei 30 giorni entro il quale devono essere saldati i debiti commerciali. Un risultato in linea con quello dell’anno precedente, in cui a sforare erano stati esattamente gli stessi otto enti su venti: L’Aquila, Potenza, Catanzaro, Napoli, Roma, Campobasso, Palermo e Perugia. Nel 2020 le città che avevano sforato i termini erano 11, mentre nel 2019 addirittura 12. Sono alcuni dei dati emersi da una ricerca di Centro Studi Enti Locali (Csel), per Adnkronos, che ha analizzato gli indici di tempestività dei pagamenti pubblicati sui siti istituzionali delle città capoluogo di regione italiane per vedere quante di queste siano riuscite a pagare i propri debiti commerciali entro il limite massimo consentito dalla norma di riferimento, il dlgs n. 231/2002. Questo decreto prevede che i debiti commerciali debbano essere saldati entro 30 giorni dalla data di ricevimento della fattura o richiesta di pagamento. In casi particolari, possono essere siglati specifici accordi che estendono questo limite fino a 60 giorni.

Sebbene globalmente il numero di enti ‘in fallo’ sia rimasto invariato, complessivamente la maggior parte delle città ha migliorato il proprio indice di tempestività dei pagamenti rispetto all’anno precedente. Mediamente i tempi si sono accorciati di circa otto giorni. Il balzo in avanti più deciso è stato quello compiuto da Torino, che ha chiuso l’anno scorso con una diminuzione di quasi due mesi, arrivando a pagare mediamente a 17 giorni contro i 76 dell’anno precedente.

Anche Napoli, il comune capoluogo con la situazione in assoluto più critica da questo punto di vista, ha fatto uno sforzo di contrarre i tempi, rosicchiando quasi 22 giorni, ma ha conseguito comunque un risultato drasticamente lontano da quello previsto dalla normativa di settore. Nonostante il miglioramento citato, la città campana ha infatti registrato un indice di tempestività dei pagamenti di 206 giorni che, tradotto, significa aver pagato i propri fornitori mediamente a distanza di quasi otto mesi (236 giorni) dal momento della ricezione della fattura.

La città partenopea, così come gli anni precedenti, resta abbondantemente il caso limite tra quelle prese in esame. La seconda peggiore è Catanzaro che però sfora ‘solo’ di 42 giorni il tetto massimo imposto dalla normativa. Va detto, però, che anche Napoli sta compiendo, anno dopo anno, una serie di passi avanti. Nel 2020 la sua media era stata di 314 giorni oltre la scadenza (circa 10 mesi), mentre nel 2019 veniva addirittura sforato l’anno, con pagamenti a 425 giorni dalla ricezione della fattura. Tra le città riconducibili al Mezzogiorno, le uniche due che hanno pagato lo scorso anno le proprie fatture mediamente prima della scadenza sono stati Bari (-12,8 giorni) e Cagliari (-8,96). Questi due capoluoghi di regione sono ormai habitué del gruppo delle amministrazioni virtuose in questo senso e confermano i risultati positivi già ottenuti gli anni precedenti.

Moderato il ritardo del capoluogo abruzzese, che ha saldato i propri debiti mediamente a 34 giorni, sforando di soli quattro giorni il tetto massimo imposto dalle norme di settore. Più marcati, invece, gli sforamenti degli altri capoluoghi meridionali. Al di là della già citata Napoli, saltano all’occhio i più 42 giorni per Catanzaro, che paga a quasi 73 giorni dalla ricezione della fattura peggiorando la propria prestazione rispetto all’anno precedente in cui il ritardo era stato mediamente di 37 giorni. Male anche Potenza, che ha pagato le proprie fatture mediamente con 38 giorni di ritardo rispetto al limite massimo di un mese, e Palermo, che ha fatto registrare ritardi per circa 27 giorni, in miglioramento rispetto all’anno precedente in cui i giorni extra, rispetto a quanto consentito, erano stati 32.

A Campobasso il ritardo medio è stato di 24 giorni (54 giorni dalla ricezione della fattura), con un netto miglioramento rispetto al 2021 in cui i giorni extra erano stati 61. Complessivamente, complice il trascinamento al ribasso del risultato partenopeo, la media dei tempi di pagamento dei capoluoghi di regione del Mezzogiorno è stata oltre il doppio rispetto a quella delle città del Centro e di ben quattro volte superiore a quella delle città del Nord: 70 giorni di attesa per i creditori dei Comuni del Sud Italia, dal momento dell’invio della fattura, contro i 16 del Nord e i 27 del Centro.

Non ci sono sorprese sul podio delle città con gli indici di tempestività di pagamento migliori. La più virtuosa in assoluto resta Trento, che ha pagato nel 2021 mediamente con 21 giorni di anticipo, così come nel biennio precedente. Bene anche Bologna (-19,51 giorni), Venezia (-17,79), Genova (-14,43), Torino (-12,9), Trieste (-11,99), Milano (-10,22) e Aosta (-3,21). Si registra, quindi, una netta inversione di rotta anche da parte di quella che fino al 2021 era stata l’unica ritardataria tra le grandi città capoluogo del Nord Italia, ovvero Torino. Il capoluogo di regione piemontese è passato da un indice di tempestività dei pagamenti 2021 pari a +46 giorni a un risultato addirittura negativo nel 2022: meno 12,9 giorni che significa aver pagato mediamente a 17 giorni dal momento dell’arrivo della fattura.

Per quanto riguarda le città del Centro, infine, la più virtuosa è Firenze con un indice di tempestività dei pagamenti pari a -11,21 giorni nel 2022, sostanzialmente in linea con i -12,57 giorni del 2021, i meno 11,73 nel 2020 e i meno 4,65 nel 2019. Segue Roma, che chiude con un ritardo di meno di un giorno: 30,66 giorni dalla ricezione della fattura.

Bene anche Perugia, che registra un ritardo medio di soli 3 giorni. Unica delle città capoluogo che non risulta al 7 aprile 2023 aver ancora pubblicato il risultato 2022 è Ancora, i cui aggiornamenti sono fermi al primo trimestre 2022. Non si può quindi in questo caso far altro che osservare che da gennaio a marzo 2022 l’indice era stato pari a -1,5 giorni.

“Questi numeri, che le amministrazioni sono tenute a pubblicare sui propri siti in attuazione del decreto Trasparenza, non sono il frutto di una media aritmetica – precisa Csel – ma ponderata. Nella determinazione dell’indicatore di tempestività dei pagamenti, le fatture di importo più elevato pesano di più. Un ‘escamotage’ (legittimo) adottato da molte amministrazioni per abbassare l’indicatore è, quindi, quello di pagare subito le fatture più pesanti, che abbattono la media, prendendosi invece tempi più lunghi per quelle di importo più contenuto”.

“Il tema dei tempi di pagamento delle pubbliche amministrazioni italiane – sottolinea Csel – è in questo momento quanto mai caldo, posto che lo scorso gennaio la Commissione Ue ha deciso di avviare una procedura di infrazione di seconda fase nei confronti del nostro Paese proprio a causa dei nostri ritardi in tal senso. I tempi eccessivamente lunghi dei pagamenti dei nostri enti pubblici sono costati all’Italia, nel giugno 2014, l’avvio di una procedura d’infrazione Ue e, nel gennaio 2020, una condanna da parte della Corte di giustizia dell’Unione europea. Il rischio adesso è di incorrere in rilevanti sanzioni pecuniarie”.

“Un impegno forte a ridurre i tempi di pagamento – ricorda – era stato contratto, sempre con l’Ue, anche in sede di stesura del Piano nazionale di ripresa e resilienza che prevede, tra le riforme abilitanti, anche la ‘Riduzione dei tempi di pagamento delle pubbliche amministrazioni e delle autorità sanitarie’ (Riforma n. 1.11, da compiere entro il 2023)”.