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L’ISTAT certifica la poverta’: SIAMO UN PAESE SENZA FUTURO.

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di Ettore Minniti

I maggiori consumi non compensano l’inflazione. Stabile la povertà assoluta. Così il Comunicato stampa dell’Istat.

Nel 2021, sono in condizione di povertà assoluta poco più di 1,9 milioni di famiglie (7,5% del totale da 7,7% nel 2020) e circa 5,6 milioni di individui (9,4% come l’anno precedente).

Pertanto, la povertà assoluta conferma sostanzialmente i massimi storici toccati nel 2020, anno d’inizio della pandemia dovuta al Covid-19.

Per la povertà relativa l’incidenza sale all’11,1% (da 10,1% del 2020) e le famiglie sotto la soglia sono circa 2,9 milioni (2,6 milioni nel 2020).

In Italia ci sono 5,6 milioni di persone che vivono in condizione di povertà assoluta e 1,4 di queste sono minorenni. Questa condizione di estrema povertà è in aumento anche tra gli stranieri residenti dove si arriva al 32,4% del totale (in deciso aumento rispetto al 2020 quando era il 29,3%) 

I dati sulla povertà nel nostro Paese per il 2021 confermano la situazione già rilevata nel 2020 quando sono stati toccati i massimi storici, anche a causa della pandemia da covid 19. La foto che restituiscono i dati Istat ci dice che sono poco più di 1,9 milioni le famiglie che vivono in povertà assoluta (7,5% del totale rispetto a 7,7% nel 2020).

Da questi aridi dati si evince che non c’è futuro per il nostro Paese.

Un Sud sempre più povero, mentre migliora il Nord. L’area di maggior disagio è ancora il Mezzogiorno dove la percentuale di famiglie in povertà assoluta è al 10% (contro il 9,4% dell’anno prima), mentre sono il 6,7% al Nord (in calo dal 7,6%), e il 5,6% al Centro.

Le famiglie numerose sono quelle più povere. Nel 2021, sempre stando ai dati Istat, l’incidenza di povertà assoluta è più elevata tra le famiglie con un maggior numero di componenti: raggiunge il 22,6% tra quelle con cinque e più componenti e l’11,6% tra quelle con quattro; segnali di miglioramento provengono dalle famiglie di tre (da 8,5% a 7,1%) e di due componenti (da 5,7% a 5,0%).

La povertà è raddoppiata negli ultimi dieci anni. Nel 2005 erano circa 2 milioni. Tra il 2011 e il 2013 l’incremento più drammatico: in un solo triennio i poveri assoluti sono passati dal 4,4 al 7,3% della popolazione. Nel 2017 erano l’8,3%.

C’è un altro dato che preoccupante: la povertà continua ad aumentare tra le fasce più giovani e così aumenta anche il divario di reddito tra le generazioni.

Un cambio di tendenza potrebbe registrarsi solo se vi fosse il coraggio di investire nell’educazione scolastica, affiancandola alle politiche sul lavoro e sull’occupazione.

Chi è in difficoltà economiche vive una condizione di fragilità che gli rende difficile cogliere le opportunità, sfruttare il proprio talento, cercare di riscattarsi. Livelli di povertà e disuguaglianza come gli attuali costituiscono un impedimento per lo sviluppo del capitale umano e per la crescita economica tali da poter accettare le sfide del domani.

Vi è, in questo momento storico un passaggio della povertà di ‘padre in figlio’. Il figlio dell’operaio farà, se è fortunato, l’operaio, altrimenti il disoccupato a vita.

Cinquanta anni orsono la scuola era percepita come “ascensore sociale” che aiutava “spezzare la catena” della classe sociale. Oggi non è più così. I figli dei poveri hanno un’altissima probabilità di fallire nell’ambito scolastico, con un precoce abbandono della scuola e di non raggiungere mai livelli minimi di apprendimento, in particolar modo nell’ambito informatico. Così, privati dell’opportunità di sviluppare i propri talenti, soffriranno probabilmente la privazione economica e sociale da adulti.

Morale della favola: la povertà economica alimenta la povertà educativa e viceversa.

In conclusione, non c’è PNRR che tenga, occorre assolutamente investire nell’istruzione.

Nonostante gli ultimi stanziamenti per l’Istruzione e l’aumento dei fondi europei, l’Italia resta in fondo all’elenco dei paesi Ue per spesa nell’educazione in percentuale al Pil.

Se non si investe nella scuola, la povertà è destinata ad aumentare e con essa il divario tra Sud e Nord.

Anche questa è l’Italia che va…