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Meno debito nazionale, più debito europeo

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di Marco Leonardi

Le nuove regole del patto di stabilità sul debito e deficit dei paesi europei sono ancora in via di approvazione definitiva e già le nuove stime di crescita al ribasso fanno ritenere che sarà difficile rispettarle per l’Italia. Il compromesso raggiunto dal nuovo patto è una sovrapposizione di due linee di pensiero differenti e forse alla lunga perfino incompatibili.

La prima linea di pensiero afferma il principio che sono i singoli paesi a decidere la strada del rientro del debito in un quadro pluriennale di impegni. L’idea del piano pluriennale è sicuramente corretta: molto meglio che stabilire i numeri del rientro anno per anno e ogni anno disfare quello che si era fatto l’anno precedente. La seconda linea di pensiero invece indica una riduzione meccanica (meno 1% all’anno) del debito per assicurare che non ci siano tentazioni (soprattutto dell’Italia, tra tutti i paesi) di invertire la rotta.

La sovrapposizione di questi due principi radicalmente diversi ha creato un compromesso tutto politico per cui si accontenta la Germania sulla rigidità del meccanismo di rientro ma contemporaneamente si accontenta l’Italia e la Francia concedendogli una esenzione dalle regole meccaniche di rientro fino alla fine di questa legislatura (che coincide per i due paesi). Ci sono state mille discussioni sui dettagli tecnici della riforma tra chi sostiene che siano più o meno rigide di prima: la verità è che la flessibilità di queste nuove regole si vedrà soltanto sul campo. Basti pensare che comunque il sentiero di rientro pluriennale può essere ricontrattato per regolamento ad ogni cambio di governo per capire che in Italia questo vorrebbe dire in media ogni 2 anni invece che i 7 previsti.

Il punto vero quindi non è se queste regole siano più o meno rigide di quelle di prima, in realtà probabilmente sono la stessa cosa, anche prima le regole erano formalmente molto rigide ma in pratica spesso flessibili a seconda di quanto era forte la forza contrattuale dei governi. Il punto vero È se l’Italia davvero vuole impegnarsi a ridurre il debito oppure no. Per diminuire il rapporto debito-pil si è sempre contato sul denominatore del rapporto, ovvero sulla crescita (che non cresceva mai). Nessun governo recente dal 2014 in poi si è mai voluto impegnare davvero a ridurre la spesa o aumentare le tasse: il mantra di tutti i governi è stato “non un euro in più di tasse”. Quando poi è arrivata la pandemia e la crisi del costo dell’energia, la spesa pubblica è ovviamente e giustamente molto aumentata ed era plausibile che una spesa pubblica così alta sarebbe stata come una droga, molto difficile da ridurre.

C’è da dubitare che ci sia davvero la volontà politica di ridurre il debito, anzi c’è da scommettere che le nuove regole fiscali verranno “stirate” al massimo, usando ogni possibile eccezione per fare il massimo debito possibile, come del resto si faceva nel regime precedente. D’altra parte chi, a mio parere giustamente, desidererebbe invece una maggiore disciplina fiscale, non fa i conti con un fatto di cui pochi parlano. Negli Stati Uniti, chiunque vinca le prossime elezioni, sia Biden sia Trump, è probabile che prevalga una visione diversa della fiscalità pubblica rispetto al passato: una visione molto più benevola verso un alto debito pubblico. Gli Stati Uniti (come l’Europa) in questi ultimi due anni hanno molto aumentato il debito pubblico ma ora non vogliono affatto ridurlo quanto piuttosto, per ragioni demografiche (spesa sanitaria) o per ragioni di spesa militare o di spesa per la politica industriale o perfino per ridurre le tasse se dovesse vincere Trump, lo lasceranno ben aumentare. Tanto che il loro Congressional Budget Office prevede un aumento del debito federale di ben 20 punti percentuali nel prossimo decennio: dal 97% del 2023 al 116% del 2034 (per non dire del debito totale della PA che sta già adesso sopra il 120%)

Questa situazione mette in evidenza la discrasia delle politiche europee fin da subito: il vero problema non è tanto quello di ridurre i debiti nazionali quanto piuttosto è necessario aumentare il debito comune europeo per far fronte alle spese militari, di politica industriale e di adattamento all’andamento demografico (per esempio le spese sanitarie).

A questo punto e visto che il problema europeo è la riduzione soprattutto del debito italiano, per noi sarebbe perfettamente inutile insistere su regole fiscali nazionali, si dovrebbe invece proporre uno scambio alla pari tra una regola meccanica di riduzione del debito nazionale a patto di un aumento equivalente (o comunque commisurato) di debito comune europei per far fronte alle necessità di spese comuni. Per ora questo trade-off non si pone perché la Germania è ancora contraria e ha sempre inteso (e scritto) che il PNRR fosse un programma one-off, unico. Ma l’opportunità di questo scambio si porrà presto e a quel punto proprio l’Italia dovrà essere pronta.

Il governo non pare avere fiducia nel debito e negli investimenti comuni europei, preferisce il debito nazionale, ma così facendo fa una battaglia inutile e dannosa perché il debito nazionale non ce lo faranno aumentare e comunque non servirà a finanziare le spese che servono.