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L’inventore della prima intelligenza artificiale: Frank Rosenblatt

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Il Mark I Perceptron del 1958 era circondato da enormi attese, che vennero completamente deluse. A distanza di oltre mezzo secolo, è però riconosciuto come il primo antenato di ChatGPT
“La creazione di macchine dotate di qualità umane rappresenta da molto tempo un’affascinante area della fantascienza. Eppure, stiamo per assistere alla nascita di una macchina proprio di questo tipo: capace di percepire, riconoscere e identificare ciò che la circonda senza alcun addestramento o controllo da parte dell’essere umano”.
A pronunciare queste parole non è uno degli imprenditori o scienziati informatici protagonisti del successo ottenuto da ChatGPT e dagli altri più recenti sistemi di intelligenza artificiale. Al contrario, queste parole risalgono al 1958 e furono scritte dallo psicologo e ingegnere Frank Rosenblatt per raccontare le potenzialità della macchina che stava all’epoca finendo di progettare: il Mark I Perceptron.
La Marina militare statunitense fu talmente colpita dalle promesse di Rosenblatt che decise di finanziare il suo lavoro, mentre sulla stampa iniziava a montare un’enorme aspettativa. “È il primo rivale del cervello umano che sia mai stato concepito”, scrisse per esempio il New Yorker. Un’altra prestigiosa testata come il New York Times non fu da meno, titolando: “Ecco il cervello elettronico che insegna a se stesso”.
Le aspettative sul Perceptron
Le attese, insomma, erano molto elevate. Quando finalmente il Perceptron fu svelato, nel luglio 1958, riuscì però a portare a termine un solo compito: riconoscere autonomamente – dopo cinquanta tentativi – quale scheda perforata fosse marchiata sulla sinistra e quale sulla destra. Un po’ poco per giustificare gli enormi investimenti riversati in un progetto che, sempre secondo Rosenblatt, avrebbe dovuto dare vita alla “prima macchina in grado di avere un’idea originale”.
Nonostante il risultato deludente, Rosenblatt continuò a giustificare il suo lavoro – per il quale utilizzava un IBM 704 pesante cinque tonnellate e che occupava un’intera stanza – spiegando come quello fosse stato solo l’inizio e come, “facendo un passo in avanti”, questo stesso sistema sarebbe stato in grado, per esempio, di ascoltare una lingua e tradurre istantaneamente in un’altra.
Le cose non andarono come previsto: i risultati attesi da Rosenblatt non si realizzarono e i finanziamenti si prosciugarono. Anzi, oggi l’ascesa e la caduta del Perceptron vengono considerati la causa del primo “AI Winter” (inverno dell’intelligenza artificiale): una fase durante la quale l’entusiasmo verso questo settore si raffredda e la ricerca praticamente si arresta.
Gloria postuma
A distanza di 65 anni dalla presentazione del Perceptron, possiamo però dire che Frank Rosenblatt è stato vendicato. “Ispirato dal modo in cui i neuroni lavorano assieme nel cervello umano, il Perceptron è una rete neurale a un solo strato: un algoritmo che classifica gli input in due possibili categorie – si legge sul sito della Cornell University, dove Rosenblatt ha insegnato -. “La rete neurale esegue una previsione – per esempio, destra o sinistra oppure cane o gatto – e se è sbagliata, aggiusta da sola i suoi collegamenti al fine di fare una previsione più corretta la prossima volta. Dopo migliaia o anche milioni di ripetizioni, diventa accurata”.
In poche parole, la struttura base del Perceptron progettato nel 1958 da Frank Rosenblatt è la stessa che viene oggi utilizzata per le intelligenze artificiali che alimentano ChatGPT, i sistemi di riconoscimento immagini, gli algoritmi che ci suggeriscono cosa ascoltare su Spotify e tutti gli altri sistemi basati su deep learning.
“Il Perceptron ha rappresentato la prima rete neurale: le fondamenta dell’intelligenza artificiale sono state poste qui”, ha raccontato il docente della Cornell University Thorsten Joachims. E allora perché c’è voluto quasi mezzo secolo affinché – a partire dal 2013 – le reti neurali iniziassero a uscire dai laboratori delle università e a venire impiegate in sempre più ambiti?
Al di là dell’enorme quantità di dati che oggi abbiamo a disposizione e del potere computazionale incredibilmente maggiore rispetto all’epoca, c’è un altro aspetto: se la rete neurale del Perceptron era dotata di un solo strato, le reti neurali utilizzate oggi ne possiedono invece milioni, permettendo loro di scovare correlazioni sofisticatissime in un mare di dati, laddove il software di Rosenblatt poteva soltanto – a fatica – distinguere la destra dalla sinistra.
L’antenato di ChatGPT
La direzione era quella giusta, ma i tempi erano troppo precoci. Rosenblatt non visse però abbastanza per vedere premiati i suoi sforzi e dovette anche subire la rivalità con un altro padrino dell’intelligenza artificiale: Marvin Minsky, che nel 1969 pubblicò una stroncatura del lavoro di Rosenblatt che pose fine, di fatto, a ogni suo importante lavoro nel settore.
Nato nel 1928 a New Rochelle, un sobborgo di New York, e laureato in Psicologia Sociale, Rosenblatt aveva fin dall’inizio intravisto le potenzialità sociali delle nascenti macchine informatiche, al punto che la sua ricerca di dottorato mirava a sfruttare i computer per analizzare i tratti della personalità, mentre, in seguito, il suo obiettivo fu sempre quello di utilizzare le macchine per risolvere i misteri del cervello.
“Voleva capire quale fosse il numero minimo di funzionalità che un cervello deve possedere fisicamente per svolgere le incredibili attività che svolge”, ha spiegato il docente della Cornell University Richard O’Brien. Scomparso prematuramente a 43 anni durante un’escursione in barca, Frank Rosenblatt non è riuscito a vedere né quanto la sua invenzione abbia posto le basi per l’intelligenza artificiale di oggi, né i passi avanti che stiamo compiendo nella comprensione del cervello. Eppure, la sua bizzarra “macchina che insegna a se stessa” può essere tranquillamente considerata, oggi, il primo antenato di ChatGPT.
DI KEVIN CARBONI – fonte: https://www.wired.it/