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di Antonello Longo

direttore@quotidianocontribuenti.com

Mario Draghi ha già indicato con sufficiente chiarezza quali saranno le priorità del nuovo governo: riscrivere il Recovery Plan definendo le procedure per la gestione dei fondi, rimodulare il piano vaccinale di massa, avviare la transizione ecologica, aprire le scuole, instradare il Paese verso la ripresa.

Resto tuttavia curioso di ascoltare il “taglio”, la visione, la prospettiva che il Presidente del Consiglio darà oggi, in Senato, al suo discorso programmatico. Come interessante sarà il dibattito che, a Palazzo Madama, vede la sola opposizione della destra nazionalista della Meloni.

Al presidente Draghi, acclamato come salvatore della Patria, gli italiani chiedono la garanzia che il PNNR sia usato davvero per creare nuova occupazione, soprattutto per i nostri giovani, per le donne, per il Mezzogiorno. Mentirei se dicessi di non essere preoccupato per la svolta che la soluzione della crisi di governo può imprimere al Paese. Una crisi che non a caso ha visto come frontman Matteo Renzi, fin dall’inizio consapevole di dove si sarebbe andati a parare.

Mi preoccupa la prevalenza, nella composizione del governo, di tecnocrati provenienti dal mondo bancario e della grande industria assieme ad esponenti politici della destra sociale leghista e dell’entourage berlusconiano.

Né mi rassicura il sostegno di una maggioranza parlamentare troppo vasta per essere coesa e politicamente definibile. Tatticismo e e senso dell’opportunità mi sembrano prevalere sullo spirito di unità nazionale richiesto dal Presidente Mattarella. Ancor prima di entrare, con la fiducia delle Camere, nella pienezza dei suoi poteri, il governo è incappato nel cortocircuito sugli impianti di sci e già traspare più di un malessere nei confronti del metodo utilizzato dal premier, il quale chiede sobrietà e riserbo ma deve contestualmente registrare le richieste di essere a sua volta più aperto al dialogo ed alla comunicazione.

Mi preme capire se e come verrà trattato il tema delle  disuguaglianze territoriali, se arriveranno rassicurazioni convincenti sulla devastazione dello Stato unitario cui potrebbe portare la realizzazione del progetto delle autonomiedifferenziate. La presenza di Mariastella Gelmini agli affari regionali e MaraCarfagna al ministero per il Mezzogiorno non appaiono, a mio avviso, le più adatte a fronteggiare la tendenza, neanche tanto strisciante, ad un sostanziale separatismo delle regioni settentrionali, alla ricerca dell’accaparramento di ogni risorsa per trovare da sole una via europea di salvezza dalla crisi.

Vorrei che il Presidente Draghi desse assicurazioni credibili circal’orientamento che prenderà l’impiego delle risorse del Recovery Fund, che potrebbe essere declinato in positivo, nel senso della perequazione sociale e territoriale, ma anche in negativo, nel senso di ampliare le distanze e le disparità.

Ancora, io non dubito che Robero Cingolani sia uno scienziato ed un tecnico d’eccellenza. Tuttavia alcune posizioni da lui manifestate, come, per esempio, quelle sull’estrazione di gas (“male minore”) e sul nucleare (non pericoloso in sé ma per gli ostacoli, come il referendum, che gli sono stati frapposti) mi fanno temere che il costruendo ministero della transizione ecologica possa nascere come strumento troppo preoccupato di non danneggiare i grandi interessi nazionali e multinazionali che fanno perno sulle risorse energetiche e i combustibili fossili.

Il nuovo ministro dell’economia e delle finanze, il supertecnico dell’austerità Davide Franco, saprà mettere a punto una nuova concezione del fisco, ad un tempo più efficiente e più equa? Sarà sollecito nel predisporre un rinvio congruo delle notifiche delle cartelle esattoriali e degli atti di accertamento che continuano ad accumularsi presso l’Agenzia delle Entrare e riscossione? Tutelerà le imprese con un piano responsabile di rottamazione che apra la strada ad un dialogo più aperto e costruttivo tra fisco e contribuenti?

La crisi sociale del Paese è profonda e riguarda soprattutto il lavoro, sia dipendente che autonomo, il carico fiscale su famiglie e imprese, l’aumento esponenziale delle diseguaglianze.

Mentre in tutta Italia si è dimezzato il numero dei matrimoni, non nascono nuove famiglie e non solo perché non si può festeggiare nelle sale e nei ristoranti, le grandi periferie urbane sono totalmente sottratte al controllo dello Stato ed in mano alle forze che regolano le attività sommerse, dall’usura allo spaccio di stupefacenti, dalla microcriminalità alla criminalità economica.

Con un’intera generazione che non ha alcuna certezza per il futuro, la crisi non si può risolvere con un’affermazione feroce degli interessi del capitale.

In uno con la salute, è il lavoro la prima emergenza. La più gran parte dei contratti a tempo determinato, privi di certezze e di tutele, non è stata rinnovata alla scadenza, provocando la disoccupazione di centinaia di migliaia di persone, nella quasi totalità donne e giovani. Adesso è una priorità assoluta non solo prorogare il blocco dei licenziamenti e dare continuità alla cassa integrazione Covid, ma anche incentivare le alternative ai licenziamenti, come i contratti disolidarietà e di espansione, come hanno richiesto i sindacati nel loro primo incontro con il nuovo ministro del lavoro, Orlando.

Non sappiamo, anche se possiamo facilmente presumerlo, quali forme di pressione hanno portato alla crisi del passato governo, ma il decreto ristori cinque, e questa è una battaglia che Confedercontribuenti conduce con forza da tempo, deve coprire tutte le forme di lavoro tutelate dai decreti precedenti ed anzi essere ampliato a tutti coloro che ne sono rimasti esclusi.

Le indennità mensili di disoccupazione, Naspi e Dis-coll, vanno prorogate ed estese a tutti i settori che la crisi colpisce maggiormente: dai servizi al turismo, dalla cultura allo spettacolo.

L’obiettivo è arrivare in breve tempo ad una riforma organica del sistema degli ammortizzatori sociali, pubblico e universale, creando un regime assicurativo che garantisca tutele e diritti uguali per tutti.

Le reali capacità di questo nuovo governo, che vede tutti i settori chiave dell’economia in mano a tecnici provenienti dalle banche e dalla grande impresa (con l’unica eccezione dello Sviluppo economico, messo in mano alla Lega), saranno da misurare col metro delle politiche attive per il lavoro, del potenziamento della funzione pubblica, per la quale vanno fatte le necessarie assunzioni, e nel superamento di una realtà del lavoro oggi fondata sulprecariato.



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