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L’artista che dipingeva la sontuosa abbondanza

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Muore a 91 anni il pittore e scultore colombiano: con le sue opere ha incantato pubblico e intellettuali. Era innamorato del Rinascimento e della Toscana, ma non dimenticò il Paese natìo al quale ha donato molti pezzi della sua collezione

LUCA BEATRICE

Un velo di tristezza avvolge Pietrasanta da ieri. Artisti, galleristi, i negozianti che lo conoscevano, nei bar in cui si sedeva a prendere un caffè, ovunque si commenta la notizia della morte di Fernando Botero, ognuno ha un suo ricordo, un aneddoto sul pittore delle “donne grasse” che aveva scelto la Versilia come uno dei suoi luoghi del cuore, dividendo il suo tempo appunto tra Pietrasanta, Medellin in Colombia, New York e Montecarlo dove è scomparso ieri a 91 anni, primo pittore globale quando ancora la globalizzazione non esisteva. Dopo Igor Mitoraj, lo scultore a cui sarà dedicato un museo che dovrebbe aprire nel 2024, dopo Sophie Vari, scultrice e disegnatrice di gioielli, moglie di Botero, che ci ha dato l’addio lo scorso maggio, Pietrasanta perde un altro dei suoi pezzi pregiati, ed è senza dubbio significativo che questi tre grandi artisti abbiano raggiunto la notorietà italiana e internazionale grazie al lavoro del gallerista Stefano Contini che li ha proposti con pervicacia .
Fernando Botero era nato nel 1932. La sua pittura è stata completamente originale, non si inserisce in alcuna tendenza, Botero è, prima di tutto, artista che incanta e allora forse è questa la ragione per la quale il suo lavoro piace moltissimo agli scrittori e agli intellettuali, in grado di comprendere anche meglio dei critici d’arte l’importanza dell’idioma nella pittura. Su Botero ha scritto pagine intense Mario Vargas Llosa, il testo dal titolo La suntuosa abundancia pubblicato per la prima volta nel 1984. Il florilegio intellettuale che lo ha accompagnato nel corso degli anni vanta nomi come quelli di Alberto Moravia, Enzo Siciliano, Miriam Mafai, Leonardo Sciascia, Jorge Semprun, Giovanni Testori, Erica Jong, grandi personaggi della letteratura del ‘900. Si può infatti parlare di Botero come di un artista letterario, anche se non narrativo in senso stretto: la sua pittura si rivolge al pubblico, cattura lo sguardo, punta sulla familiarità tra pittore e osservatore. Non ti butta mai all’angolo, non è traumatica, ma ti accompagna come pagine di un lungo romanzo, di un’opera-mondo avvolgente e ricca di sorprese.
LINGUAGGIO CREATIVO
Anche i critici d’arte che si sono occupati di Botero appartengono più a quella (non) categoria che utilizza la scrittura come un linguaggio creativo estremamente libero, denso di riferimenti estranei e talora imprevedibili: Vittorio Sgarbi, Claudio Strinati e il sublime Giorgio Soavi. Di lui ha scritto anche il contemporaneista Tony Godfrey, soffermandosi sul suo essere sudamericano. «L’America Latina, il cosiddetto Nuovo Mondo, è simile al Vecchio… ma diverso. (…) In virtù delle sue origini, Botero si
colloca nella tradizione occidentale, ma in maniera problematica, come fosse l’unico a rendersi conto che una festa in maschera è in realtà una farsa. La sua opera ruota intorno al ricordo della provincia della sua infanzia. Non si tratta solo della nostalgia dell’esule (ha vissuto per lungo tempo a Parigi), quanto della creazione di un mondo parallelo al reale (…) La propensione al racconto, il senso tragicomico e l’interesse, seppur implicito, per la politica sono parte di una visione specifica di Botero, che non è tuttavia priva di paralleli in America Latina».
La pittura di Botero risulta così l’espressione di un carattere nomade che lo ha portato a frequentare e dividersi tra Parigi, New York, l’Italia e la Colombia. Nella “ville lumière”, prima capitale della modernità, Botero approda nel 1953 quando il linguaggio dominante nella pittura è ormai l’Informale ma dove ancora è forte la lezione picassiana che non per nulla Botero considera il suo punto di riferimento. In Italia giunge subito dopo, e qui studia tra la Toscana e Venezia, quello che continua a dichiarare come il suo grande amore, ovvero il Rinascimento. La “scoperta dell’America” di Botero data 1960. La figurazione fuori da ogni schema inizialmente stenta, poi l’episodio dell’acquisto di una sua opera da parte del MoMA nel ’61 gli apre nuove possibilità di carriera. Da quel momento Botero intrattiene con l’America un rapporto preferenziale, culminato nel rapporto con Marlborough Gallery a partire dal 1972.
E poi c’è il legame di radici, ancestrale, indissolubile, con la propria terra d’origine, la Colombia, filtrato peraltro da un lontano soggiorno in Messico alla ricerca forse di spunti dall’arte popolare del Muralismo, anche se confida di non aver mai amato troppo né Rivera, né Siqueiros, né Orozco. Un episodio in particolare ha rivelato il carattere generoso del pittore e il bisogno di restituire al paese natio un po’ di quell’immensa fortuna maturata nel corso di una lunga e fortunata carriera: la donazione, nel 2000, di oltre duecento opere oltre a un centinaio dalla propria collezione personale (Picasso a Monet, da Matisse a Chagall, da Klimt a Dalì, da Rauschenberg a Schnabel).

Fonte: Libero