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LA STRAORDINARIA CONTINUITÀ DI LEONE

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Il Foglio – di Matteo Matzuzzi

Chissà, forse il programma del pontificato è tutto in quelle righe che hanno chiuso l’omelia pronunciata da Leone XIV nella sua prima messa da Papa, nella Cappella Sistina con il Collegio cardinalizio: “Un impegno irrinunciabile per chiunque nella Chiesa eserciti un ministero di autorità: sparire perché rimanga Cristo, farsi piccolo perché Lui sia conosciuto e glorificato, spendersi fino in fondo perché a nessuno manchi l’opportunità di conoscerlo e amarlo. Dio mi dia questa grazia, oggi e sempre, con l’aiuto della tenerissima intercessione di Maria Madre della Chiesa”. Sparire perché rimanga Cristo. E’ un po’ l’identikit di quest’altro Papa preso dall’altra parte del mondo, il Papa delle Americhe (tutte e due), nato a Chicago ma col cuore in Perù, dov’è stato vicario parrocchiale e vescovo. Uomo di curia, capo della fabbrica dei vescovi. Silenzioso, mai sopra le righe, mai un accento fuori posto. La sua voce, ai più, era ignota fino al suo esordio papale sulla Loggia delle Benedizioni. E che esordio: “La pace sia con tutti voi! Fratelli e sorelle carissimi, questo è il primo saluto del Cristo Risorto”. E di Cristo, Leone ne parla in abbondanza. La sua prima omelia, breve ma densa, è cristologica. Si sofferma sul mondo “che considera Gesù una persona totalmente priva d’importanza, al massimo un personaggio curioso, che può suscitare meraviglia con il suo modo insolito di parlare e di agire. E così, quando la sua presenza diventerà fastidiosa per le istanze di onestà e le esigenze morali che richiama, questo ‘mondo’ non esiterà a respingerlo e a eliminarlo”. Dice che “anche oggi non mancano i contesti in cui Gesù, pur apprezzato come uomo, è ridotto solamente a una specie di leader carismatico o di superuomo, e ciò non solo tra i non credenti, ma anche tra molti battezzati, che finiscono così col vivere, a questo livello, in un ateismo di fatto”. Gesù Cristo al centro di tutto. Non c’è stato spazio per considerazioni sociologiche, niente riflessioni sull’economia che uccide o sul clima mortifero. Per ora. Perché sbaglierebbe chi vedesse nei simboli – pur importanti – la spia di una restaurazione, di un ritorno a un passato che, essendo appunto passato, non può più tornare. Leone XIV è apparso vestito da Papa, ieri aveva la ferula pastorale di Benedetto XVI. Ha celebrato cantando e in recto tono. Simboli, appunto. Forse, chi lo sa, aperture a quel mondo con cui Francesco non era riuscito a entrare in sintonia e che, via via, aveva determinato una frattura che ancora sanguina. Leone, che di certo è un Papa della continuità, potrebbe essere l’uomo giusto per ricucire con pazienza. E’ uomo d’ordine, la calma come criterio di fondo prima di compiere le scelte. Ieri il Vaticano ha fatto sapere che per ora conferma tutti i capi dicastero decaduti automaticamente il 21 aprile scorso alla morte di Francesco, perché desidera “riservarsi un certo tempo per la riflessione, la preghiera e il dialogo, prima di qualunque nomina o conferma definitiva”. Non è una novità, anche la frase pubblicata è la medesima di dodici anni fa.