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LA SFIDA MAI PARTITA

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Di Roberto Gressi

Èuna doccia gelata per Elly Schlein. La scorciatoia, almeno al momento, si è rivelata un’illusione. L’idea che bastasse, al Pd, il brusco strattone delle primarie, un taglio netto con l’area riformista e un qualche successo nel riaffacciarsi nelle piazze, è stata trovata insufficiente dagli elettori. Nel risultato di questa tornata amministrativa c’è anche un altro segnale: il ballottaggio non viene più in soccorso al centrosinistra per ricomporre nelle urne quelle alleanze che non hanno trovato ragione per saldarsi prima del voto. Né, del resto, hanno funzionato le aggregazioni tra Pd e Cinque stelle rabberciate all’ultimo minuto, come per esempio a Catania. E neanche il calo fisiologico dell’affluenza ha giovato: la coalizione di governo ha dimostrato di saper comunque portare alle urne i suoi sostenitori, invertendo il trend abituale che la vede sfavorita alla seconda chiama.
I Dem perdono Ancona, una delle ultime roccaforti storiche della sinistra. Falliscono la rimonta in città della Toscana che erano state tradizionalmente guidate dal centrosinistra, come Pisa, Siena e Massa, che confermano la fiducia data cinque anni fa al centrodestra. Perdono a Brindisi, non pervenuti a Terni, dove si afferma un candidato civico che batte anche la coalizione governativa.
Il centrosinistra strappa agli avversari Vicenza, sull’onda però di un candidato, Giacomo Possamai, che non ha voluto leader di partito a sostenerlo in campagna elettorale, come aveva già fatto Damiano Tommasi a Verona. Il risultato finale delle comunali è nove a tre, con l’anomalia di Terni,contro l’otto a cinque della volta precedente, e dopo il quattro a due del primo turno. E in Sicilia, dove basta un voto in più del quaranta per cento per eleggere subito il sindaco, non è andata meglio.
Si potrebbe dire, ricorrendo a un luogo comune, che dopo questo voto il governo si rafforza. È indubbiamente vero, come è vero però che la tenuta della maggioranza non era comunque in discussione in questa tornata di elezioni amministrative. Troppo netta la vittoria alle Politiche del 25 settembre, troppo divise, litigiose e in competizione tra loro le oppoSoprattutto sizioni, fin troppo univoci i sondaggi che dopo otto mesi danno il centrodestra, e soprattutto Fratelli d’Italia, ben al di sopra del risultato che ha portato Giorgia Meloni a Palazzo Chigi.
Risveglio brutale
Quello che era possibile aspettarsi, però, era che maturassero le condizioni per una sfida futura tra le due donne che hanno rotto gli schemi della politica italiana: una saldamente alla guida della coalizione che governa il Paese, l’altra che aspira a diventare la polena della nave della rivincita. Forse per Elly Schlein gli esami sono arrivati troppo presto, ma è un dato di fatto che la sfida questa volta non si è nemmeno giocata. Così come è una realtà che i due segretari precedenti, Nicola Zingaretti ed Enrico Letta, rapidamente costretti alle dimissioni, le loro tornate di elezioni amministrative le avevano comunque vinte. Senza contare che il voto, pur locale, incoraggia la premier a spingere sulla strada della riforma istituzionale che prevede l’elezione diretta del presidente del Consiglio.
Ora per il Pd è già tempo di riflessioni, e la segreteria convocata ieri sera in fretta e furia e durata ore ne è un segnale inequivocabile. Non è un mistero che nella cerchia ristretta di Elly Schlein si guardasse ai ballottaggi di ieri con grande ottimismo, convinti che potessero fare da trampolino per la maratona che porterà alle elezioni europee del prossimo anno.
Così non è stato e il risveglio è brutale. Toccherà ora alla leader decidere se il risultato sia figlio di una situazione fin troppo degradata, e di un vento che spinge la destra in tutta Europa. E quindi dovrà capire se si tratta solo di insistere, per risalire la china, o se è già tempo di apportare dei correttivi. in un partito che non perdona le sconfitte, che ha cambiato tanti segretari in pochi anni e con un’area riformista che si sente ingiustamente penalizzata, che la attende seduta sulla riva e che chiede di discutere. Il giudizio a caldo di Elly Schlein è che non si cambia il corso delle cose in pochi mesi, e che costruire l’alternativa non spetta al solo Pd. Una reazione tutta in difesa, diversa dai toni a cui la segretaria ci aveva abituati.
Alleanze in bilico
Ma proprio la ricerca dell’alternativa segnala che è tempo di crisi anche per i Cinque stelle, che si sono dimostrati di fatto ininfluenti. È più che probabile che il risultato non faciliti il dialogo con il Pd, sia perché i dem mirano a contendere il loro elettorato, sia perché le alleanze si sono mostrate perdenti. Tanto più con Giuseppe Conte che sente la sua leadership minacciata da sondaggi sfavorevoli, e con Chiara Appendino e Virginia Raggi alle quali una parte del Movimento guarda per una svolta che li riporti alle origini. Se i leader di Sinistra italiana, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni, invitano le opposizioni a costruire un percorso comune, è proprio nella periferia del loro partito che si fa strada anche l’idea che per conquistare il consenso di chi si sente più a sinistra sia necessario prendere le distanze proprio dal Pd. Ed è ancora Carlo Calenda a rivendicare che non si batte il sovranismo con il populismo. Tutte posizioni più che note, che rendono però evidente che quella di ieri per le opposizioni non è stata soltanto una sconfitta, ma anche un’ulteriore ferita che allontana la possibilità, e forse anche la volontà, di costruire un’alleanza in grado di competere con il centrodestra.

Fonte: Corriere