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La cancellazione dell’impresa blocca piano del consumatore e concordato

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L’imprenditore individuale cessato e cancellato dal Registro imprese, ove le obbligazioni da ristrutturare abbiano natura mista (sia civile che commerciale), non può avanzare la proposta di ristrutturazione dei debiti avvalendosi del piano del consumatore, né accedere al concordato minore, al concordato preventivo o a quello di omologazione degli accordi di ristrutturazione. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 13299 del 23 luglio scorso con la quale la Corte (adita con il nuovo istituto del rinvio pregiudiziale introdotto dall’articolo 363 – bis della legge 149/2022) è tornata sul tema della ammissibilità, e delle condizioni di ammissibilità, di una proposta di ristrutturazione dei debiti del consumatore e, in subordine, di una domanda di concordato minore (articolo 74 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza) .

Il caso

Il rinvio pregiudiziale nasceva dal reclamo di cui la Corte d’Appello di Firenze era stata investita in base agli articoli 50 e 70 del Codice della crisi contro il decreto di inammissibilità emesso dal Tribunale di Firenze e verteva su tre questioni:

la prima, di diritto processuale, relativa alla competenza per il reclamo, in particolare se lo sia il Tribunale in veste collegiale o la Corte di Appello;

la seconda, di diritto sostanziale, per chiarire se la qualificazione giuridica di consumatore ricomprenda anche l’imprenditore individuale cessato che formuli una proposta riferita a debiti misti, civili e commerciali;

la terza, sempre di diritto sostanziale, per determinare se la qualificazione di imprenditore, ai fini dell’accesso all’istituto del concordato minore, si attagli anche all’ex imprenditore una volta cessata l’impresa e cancellato dal Registro Imprese.

I giudici di legittimità negano però l’ammissibilità del rinvio: le questioni sostanziali per mancanza di novità poiché la Corte si era già espressa sul tema con pronunce ancora valide in quanto l’entrata in vigore del Codice della crisi non ha introdotto modifiche normative sostanziali. La questione processuale mancava invece di necessità poiché era funzionale ai questiti relativi alle questioni sostanziali.

Accesso al piano del consumatore

Pur affermando l’inammissibilità delle questioni sostanziali sollevate dalla Corte d’appello di Firenze per difetto della condizione di novità, la Cassazione entra comunque nel merito.

Sulla possibilità per l’imprenditore individuale cessato e cancellato dal Registro imprese di avanzare la proposta di ristrutturazione dei debiti avvalendosi del piano del consumatore, la Cassazione conferma la risposta negativa, richiamando la propria decisione 1869/2016.

Tale decisione, si legge nell’ordinanza del 23 luglio, «rimane ancora attuale» perché la definizione di “consumatore”, fornita oggi dal Codice della crisi (articolo 2, comma 1, lettera e), è solo «minimamente cambiata» rispetto a quella data dalla legge 3/2012 (articolo 6, comma 2, lettera b). Quindi, come già affermato nel 2016, l’imprenditore ed il professionista possono rientrare nella nozione di consumatore solo se i debiti oggetto del piano siano estranei alle obbligazioni commerciali; vale a dire nel senso che le obbligazioni devono essere state contratte per per far fronte ad esigenze personali, familiari e non ad attività d’impresa o professionale. La qualifica di consumatore o professionista si basa quindi sulla natura delle obbligazioni che devono essere ristrutturate: va perciò verificato se, al momento in cui sono state assunte, il debitore ha agito come consumatore o come professionista.

Accesso al concordato

La seconda questione riguardava invece la possibilità che l’ex imprenditore la cui impresa era cessata e cancellata dal Registro Imprese, potesse accedere al concordato minore.

Secondo la Cassazione, anche in questo caso la norma del Codice della crisi non è innovativa ma è in continuità con la giurisprudenza precedente. L’articolo 33, comma 4 del Codice della crisi prevede l’inammissibilità delle domande di accesso non solo al concordato minore, ma anche al concordato preventivo o di omologazione degli accordi di ristrutturazione presentati dall’imprenditore cancellato dal Registro imprese.

La questione era infatti stata affrontata dalla sentenza 4329/2020 secondo la quale il combinato disposto degli articoli 2495 del Codice civile e 10 della legge fallimentare impediva di richiedere il concordato preventivo al liquidatore della società cancellata dal registro delle imprese, di cu viene chiesto il fallimento entro l’anno dalla cancellazione: e ciò per la evidente ragione l’obiettivo del concordato è risolvere la crisi di impresa, mentre la cessazione dell’attività imprenditoriale fa venir meno il bene che dovrebbe essere risanato.

D’altro canto, sottolinea la Cassazione, l’impossibilità di ricorrere al concordato non preclude l’esdebitazione, «che anzi con il nuovo Codice diviene un vero e proprio diritto (articolo 282 del Codice della crisi), con il decorso di un triennio dall’apertura della liquidazione controllata, senza neppure dover attendere la chiusura della procedura liquidatoria.

Fonte: Il Sole 24 ore