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Il fronte della nuova Guerra Fredda si è spostato a Caracas

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La crisi venezuelana mette ai ferri corti Usa e Russia. Il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, e il suo omologo russo, Serghei Lavrov, si sono sentiti al telefono e il colloquio è stato infuocato. Intanto a Caracas non cala la tensione tra chavisti e oppositori. Migliaia di persone si sono riversate nelle strade, ci sono stati scontri, sassaiole e lanci di lacrimogeni.

Juan Guaidò non getta la spugna e cerca di aumentare la pressione su Nicolas Maduro per portare al collasso il regime chavista. E l’Onu, in contatto tanto con il governo venezuelano che con l’opposizione, fa appello alla calma e insiste sulla necessità di cercare una soluzione politica alla crisi nel Paese.

“Un intervento militare è possibile”

All’indomani di una giornata, quella di martedì, di violenti scontri, ma in cui non erano emersi segnali concreti sul fatto che Maduro avesse perso il sostegno dei militari, Pompeo ha evocato la possibilità dell’intervento militare statunitense, dicendo che il presidente, Donald Trump, si tiene pronto: “Un intervento militare è possibile. Se sarà necessario, sarà quello che gli Stati Uniti faranno”.

A quel punto, su richiesta americana, Pompeo ha voluto parlare con Lavrov. Ed è stata una telefonata di fuoco. Il capo della diplomazia russa ha messo in guardia da ulteriori passi “aggressivi” che potrebbero creare una situazione gravida di pericolose conseguenze. Lavrov ha anche denunciato che “l’interferenza di Washington negli affari interni di un Paese sovrano e le minacce ai suoi leader sono una grave violazione del diritto internazionale. Solo il popolo venezuelano ha il diritto di determinare il proprio destino – ha insistito – e per questo è necessario un dialogo tra tutte le forze politiche”. Pompeo gli ha risposto che la Russia deve smettere di sostenere Maduro e ha detto che “l’intervento di Russia e Cuba è stato destabilizzante per il Venezuela e anche per le relazioni bilaterali russo-statunitensi”.

Guaidò: “Andiamo avanti fino alla libertà”

Intanto Guaidò, ricomparso in pubblico, dopo la convulsa giornata di martedì, ha promesso che andrà avanti fino a che non avrà disarcionato il regime e ha chiesto uno sciopero progressivo nella pubblica amministrazione a partire da domani. “Se il regime pensava che avessimo raggiunto il massimo della pressione, si sbagliava. Andiamo avanti fino ad arrivare alla libertà del Venezuela”.

A Caracas, ci sono stati scontri in almeno due punti: da una parte le forze chaviste che hanno usato gas lacrimogeni e pallini di gomma; dall’altra i manifestanti, che hanno lanciato pietre e bottiglie molotov. Intorno alla base aerea di La Carlota, dove ieri Guaidò aveva lanciato quello che Maduro ha liquidato come “il golpe fallito”, manifestanti con il volto coperto si sono scontrati per più di tre ore con gli agenti chavisti. La Guardia nazionale bolivariana, la polizia militarizzata, ha dispiegato diversi blindati per aumentare la sua azione dissuasiva. In piazza anche gli chavisti, convocati dal governo per il Primo Maggio e a sostegno di Maduro. 

Vedi: Il fronte della nuova Guerra Fredda si è spostato a Caracas
Fonte: estero agi


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