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di Antonello Longo

direttore@quotidianocontribuenti.com

Il Consiglio europeo, composto dai capi di Stato o di governo dei 27 Stati membri dell’UE più il presidente della Commissione europea e quello del Consigli stesso, è un organo che non ha poteri legislativi ma stabilisce “l’agenda politica dell’Unione, generalmente adottando nelle sue riunioni ‘conclusioni’ che individuano le questioni problematiche e le azioni da intraprendere”.

Nei due giorni di riunione in videoconferenza tenuti fra giovedì scorso e ieri, il Consiglio europeo ha fatto il punto sulla lotta al Covid-19 dopo un anno dall’inizio della pandemia.

La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, aiutandosi con le slide, ha prospettato il quadro delle consegne di dosi previste per il secondo ed il terzo trimestre di quest’anno, che dovrebbero raggiungere qualcosa come un miliardo e mezzo di dosi, considerando sia le consegne già confermate che quelle ancora da confermare ed anche i vaccini che ancora non sono stati autorizzati.

La Von der Leyen continua a dirsi ottimista sulla possibilità di vaccinare il 70% della popolazione europea entro l’estate, cercando così di allontanare le critiche che la Commissione Ue ha ricevuto per la gestione dei contratti con le case farmaceutiche e per i ritardi nelle consegne. Basti pensare che nel primo trimestre dell’anno Astra-Zeneca ha ridotto del 60% le forniture agli Stati dell’Ue, privilegiando la Gran Bretagna.

Mario Draghi, che faceva il suo esordio nel Consiglio europea quale presidente del Consiglio italiano, non si è detto rassicurato dai numeri ipotizzati dalla von der Leyen, che tutto sono meno che certezze.

Ma la linea della durezza verso le case farmaceutiche, proposta da Draghi, non è passata, non saranno rafforzate le regole dell’export per fare rispettare gli impegni assunti dalle case produttrici dei vaccini. Ci si è limitati ad auspicare un “dialogo” costruttivo che porti al rispetto delle quantità e dei tempi di consegna, pur richiamando una generica “fermezza” nei confronti delle aziende che non onorano i contratti.

Una intesa di massima, invece, è stata trovata sul cosiddetto “certificato vaccinale” europeo, soprattutto per venire incontro alle esigenze del settore turistico che è fra i più danneggiati dalla pandemia e al quale si potrebbe dare un po’ di respiro consentendo gli spostamenti di coloro i quali avranno ottenuto questa sorta di “passaporto” dei vaccinati.

È questa una questione di estrema delicatezza, perché crea un discrimine fra le persone che non tocca solamente coloro i quali rifiutano il vaccino per libera scelta, sapendo a quali conseguenze possono andare incontro, ma anche il grosso della popolazione che per vaccinarsi aspetta il proprio turno, con tempi assolutamente incerti. Oggi, per esempio, un medico o un ultraottantenne potrebbero avere il “passaporto” per andare in vacanza, negato invece a un settantenne, un avvocato, un impiegato e così via.

Ora, si può comprendere la straordinarietà del momento, da affrontare con una buona dose di realismo e di pragmatismo, è però un fatto che le discriminazioni sono fuori dal quadro costituzionale, così come non è costituzionale permettere che le restrizioni alle libertà personali vengano decise dalle regioni o dagli enti locali o con mezzi, come i dpcm, diversi dalla legge. Queste violazioni sono diventate la regola sotto l’ombrello dello “stato d’emergenza”.

Ma, oggettivamente, non si può dare torto a chi osserva che una situazione critica che dura da più di un anno non si può considerare stato d’emergenza, dal momento che la nostra Costituzione prevede soltanto situazioni temporanee di emergenza legate alla sanità o all’ordine pubblico e prescrive che queste sianoregolate unicamente dalla legge, cioè coinvolgendo il Parlamento.

Il pericolo legato alle violazioni sistematiche della lettera della Costituzione è che le cittadine e i cittadini, come le forze politiche che li rappresentano, possono essere portati a perdere di vista lo spirito della Costituzione repubblicana. Ciò può fare in modo che l’emergenza del presente finisca col compromettere anche il futuro  democratico del Paese; e ce ne sono diversi segnali.

Detto questo, è chiaro a tutti che una campagna vaccinale di massa, se tutto andrà bene, richiederà molti mesi per essere completata, mentre all’emergenza sanitaria si accompagna un’emergenza economica senza precedenti, che richiede risposte immediate, in termini di giorni se non di ore.

Draghi ha imposto al suo governo la linea del riserbo e della sobrietà nella comunicazione istituzionale, però ai contribuenti ed alle imprese è dovuta una risposta alle molte domande rimaste in sospeso.

Si spendono molte parole sull’abbassamento delle tasse in un prossimo futuro, ma c’è silenzio assoluto su questioni come lo spostamento delle scadenze per la rottamazione e del saldo e stralcio delle cartelle esattoriali, come il rinvio del blocco della spedizione dei 50 milioni di nuove cartelle e altri atti delle Agenzia delle Entrate, che scade a fine febbraio, fra due giorni, ed il blocco dei licenziamenti che scade a fine marzo.

Lasciare nell’incertezza milioni di cittadini e di imprese, il popolo delle partite Iva, che tremano perché vedono messo in dubbio il futuro, lasciarli in sospeso rispetto a scadenze di pochi giorni, è una vera e propria inadempienza, una mancanza di rispetto per il popolo italiano.

Speriamo pertanto che il nuovo governo, nel giro di pochissimi giorni, sappia parlare con i fatti.


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