Type to search

Share

Fonte: Corriere – Massimo Gramellini

Mi chiamo Gisèle Pelicot, ho 72 anni, e quella che sto per raccontarvi è la storia di una donna che, solo da poco, ho scoperto essere io. Mi trovo qui davanti a voi, in questo tribunale di Avignone, perché quattro anni fa la polizia ha bussato alla mia porta. Cercavano il computer di mio marito, Dominique, l’uomo perfetto. Dopo averlo controllato, mi hanno chiesto di sedermi. «Le dobbiamo dire delle cose che non le piaceranno, signora Pelicot». Non capivo. Ho lasciato che mi spiegassero. Avevano fermato il mio Dominique a un supermercato. Stava filmando di nascosto tre donne sotto i vestiti. Ecco perché erano venuti a controllare il suo computer. Ed è proprio lì dentro che hanno scoperto il mio mistero.Succedeva la sera, quando Dominique mi portava a letto il gelato al lampone e io pensavo: «Un marito che mi vizia ancora, alla mia età. Sono proprio una donna fortunata!» Non sapevo che quel gelato era pieno di sedativi che mi facevano cadere in un sonno invincibile. Allora mio marito apriva la porta a certi uomini che aveva precedentemente agganciato su Internet. Li faceva spogliare in cucina, si assicurava che non si fossero profumati, così da non lasciarmi tracce addosso, e li portava nel mio letto per abusare di me, mentre lui riprendeva la scena che poi postava su una piattaforma. Il link si chiamava: «A son insu». A sua insaputa… A mia insaputa, già. A mia insaputa, per dieci anni sono stata violentata senza sosta da uomini giovani, anziani o di mezza età, quasi tutti vicini di casa. Gente stimata in città, con belle famiglie con cui passeggiare in piazza la domenica. Sto parlando di professori universitari, camionisti, giornalisti, operai, pompieri, infermieri, militari, impiegati. Decine e decine di uomini che in quest’aula di tribunale avete sentito definire dalle loro mogli e madri «grandi lavoratori» e «padri affettuosi». Sono degli stupratori, invece, e lo sanno bene. Proprio come il mio Dominique, il padre dei miei figli. I criminali non si incontrano soltanto nei parcheggi bui, la notte. Puoi incontrarli anche nei posti in cui ti senti più sicura. A casa tua, per esempio. E possono essere i tuoi amici, i tuoi parenti. Persino tuo marito. Vorrei rivolgermi proprio a lui, al signor Pelicot. Non riesco a guardarlo in faccia, scusate, ma non ce la faccio. Cinquant’anni abbiamo vissuto insieme, cinquant’anni! Abbiamo avuto tre figli e sette nipoti. Pensavo che avrei finito i miei giorni con questo signore… Dominique, come hai potuto far entrare quegli estranei nella nostra camera da letto? Come hai potuto accompagnarmi amorevolmente dal medico ogni volta che credevo di soffrire di emicrania, mentre tu sapevi benissimo quale fosse la causa dei miei mal di testa? La prima reazione, quando ho finalmente saputo cosa mi avevi fatto, è stata la vergogna. Ma poi ho capito che eri tu, che eravate voi, a dovervi vergognare, non io. Non so come riuscirò a ricostruire me stessa. Ho quasi 72 anni, e a questa età non credo mi resti abbastanza tempo per aggiustarmi. Ma me ne resta abbastanza per provare ad aggiustare il mondo. Per le nostre leggi la mancanza di consenso non è condizione sufficiente affinché si configuri lo stupro. Ecco, se ho deciso di parlare oggi davanti a voi è perché vorrei che quella legge cambiasse. Solo per questo ho consentito che il processo non si svolgesse a porte chiuse. Solo per questo ho rinunciato all’anonimato e alla riservatezza. Volevo che i nomi dei miei stupratori divenissero di dominio pubblico. E volevo che tutte le donne vittime di violenze dicessero: «Se ce l’ha fatta Gisèle Pelicot a parlare, allora possiamo farcela anche noi». Dopo la deposizione di Gisèle Pelicot davanti al tribunale di Avignone, il governo francese ha annunciato che rivedrà la legge sullo stupro. Da millenni, sono le vittime che si alzano in piedi quelle che cambiano la storia. Gisèle Pelicot è una di loro.