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Giovanni Maria Flick “Migranti, serve l’accordo tra le nazioni europee e i Paesi subsahariani”

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 di carlo bertini
«Cerchiamo un punto di incontro tra il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo richiesto dalla Costituzione, l’esigenza di manodopera delle imprese italiane e una cultura che consenta di assorbire lo straniero in tempi in cui il meticciato è sempre più dominante». Detto questo, il presidente emerito della Consulta, Giovanni Maria Flick, non boccia le misure sui migranti annunciate dalla premier. Anzi. Regala pure una bacchettata alla sinistra, «che mai si è preoccupata di garantire strutture decenti e rimpatri effettivi, sperando che i migranti poi superassero i nostri confini verso altri Paesi europei». Professore, la premier vuole estendere la detenzione dei migranti appena sbarcati da 12 a 18 mesi. Tutto ciò risponde ai dettami della Costituzione? «Forse, se le condizioni per trattenerli sono umane e rispettose della dignità: il tempo è troppo, ma già lo consentiamo fino a dodici mesi per chi rivendica il diritto di asilo. L’immigrazione richiede negoziati europei con i Paesi da provengono le persone, garantendo a coloro che arrivano un trattamento umano nel tempo necessario per verificare se meritino le condizioni di accoglienza in base alle nostre leggi». Quindi un anno e mezzo nei centri di detenzione è un trattamento umano? Non è piuttosto una carcerazione preventiva? «Certo, diciotto mesi sono troppi, ma non è una carcerazione preventiva. Bisogna attrezzarsi per attuare la verifica in tempi ragionevoli del loro diritto a restare in Italia e in caso negativo procedere al rimpatrio nei Paesi da dove provengono». Inoltre viene invocato una sorta di blocco navale europeo davanti alle coste tunisine, o no? «Mi pare di capire che la premier chieda un accordo tra i Paesi confinanti e l’Europa per lavorare congiuntamente ad impedire che i barchini partano. Non si parla di un blocco navale, che non avrebbe né capo né coda. Ricordo la vicenda della motovedetta albanese affondata nel 1998. Chiediamo iniziative da assumere con gli altri Paesi Ue. Di fronte a chi dice che a mettere in mare migliaia di migranti sono coloro che tramano contro la maggioranza di governo, mi pare che giustamente la premier solleciti un accordo con la Ue per cooperare con i Paesi africani per impedire le partenze a terra». Ma l’accordo con la Tunisia è già miseramente fallito… «Beh, c’è ancora un contenzioso se si debba o no pagare quel Paese per evitare le partenze. Insisto: l’unico modo per affrontare la questione è coinvolgere l’Europa, cambiando gli accordi di Dublino. Stilati in una fase storica di fenomeni migratori isolati e non di massa come adesso: bisogna che l’Europa apra un discorso con i Paesi subsahariani per fare in modo che le persone non partano. E il blocco navale sul mare è impensabile perché si fa solo in guerra». Quindi lei nel messaggio di Meloni cosa intravede? «Intravedo un discorso di serietà per concordare strategie comuni affinché la gente non parta, da percorrere per via diplomatica. Mi lascia perplesso semmai il tono militaresco sulle chiusure in luoghi isolati e sorvegliati e soprattutto il silenzio sulla risposta alla domanda di lavoro dell’Italia». E risponde al richiamo di Mattarella a non cavalcare le paure e a cercare soluzioni concrete? «Sì è in linea. Meloni parla di una strategia di lungo periodo e ha ragione a chiedere più tempo. E gli arrivi con le Ong sono una minoranza rispetto a un popolo disperato che arriva con i barchini. Ma non è uno stato di guerra che può giustificare misure di forza. Il problema va affrontato non allo sbarco, ma all’imbarco. È illogico affidarsi alla buona volontà degli altri Paesi e tutto lo scalpore che si fa non è un buon servizio per risolvere diplomaticamente la questione a livello europeo. Serve equilibrio e ragionevolezza. L’Italia non può venir meno agli obblighi costituzionali di garantire in certi casi accoglienza, si tratta ora di definirli meglio: non è solo la fuga dalla guerra, vanno perfezionate le leggi che disciplinano il riconoscimento all’accoglienza perché consentano l’afflusso di manodopera straniera e garantiscano una permanenza umana a chi attende la verifica del suo status».
Fonte: La Stampa