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di Antonino Gulisano

Nei giorni scorsi si è presentato il Secondo Forum in difesa del grano organizzato da Altragricoltura.

Il movimento ha come obiettivo il riscatto di una nuova Agricoltura, con il sostegno della Rete dei Municipi Rurali; per questo secondo Forum sul grano antico ripropone il tema della Sovranità Alimentare.

Nei documenti presentati vi è tutto il senso di un percorso durato tre anni di preparazione fra mobilitazioni contro la crisi e progetti e la ricerca di costruire un punto di vista da cui ripartire: quello del protagonismo dei nostri agricoltori e degli interessi dei cittadini.

Se il grano ci viene pagato sotto costo, se i cittadini pagano la crisi con la salute e i rischi ambientali, se i territori si spopolano, allora serve un progetto nuovo per uscire dalla crisi.

Tra i protagonisti è presente il Movimento degli agricoltori riuniti di Sicilia, il quale ha illustrato l’agenda del secondo Forum che si terrà in presenza entro l’autunno a Caltanissetta. Il Manifesto in Difesa del Grano, la Carta Etica di produzione del grano, come strumento per agire.

Il lavoro del Forum del Grano ha come obiettivo il costruire campagne di mobilitazione e pressione sociale per cambiare le regole in direzione della Riforma, modificare le normative sul Deossinivalenolo, bandire il glifosate, introdurre regole per l’importazione a tutela di agricoltori e cittadini, costruire progetti comuni di rete per orientare le pratiche di produzione, distribuzione, consumo del grano verso modelli agro ecologici, etici e condivisi, dotarsi di strumenti di sostegno e supporto (campagne di comunicazione, sensibilizzazione, formazione).

I cerealicoltori italiani hanno promosso una lettera aperta, che desideriamo pubblicare integralmente.

Care e cari,

Siamo agricoltori impegnati nel lavoro duro dei nostri campi, produciamo il grano come da millenni innumerevoli generazioni hanno fatto prima di noi.

È grazie a noi, al nostro lavoro, alla nostra dedizione alla terra, alla nostra capacità di interpretarne i cicli naturali, di conservare, selezionare, mettere a dimora, curare, raccogliere i semi che i mugnai, i trasformatori sono in grado di offrire il pane, la pasta, le farine, le pizze, il cibo che ci nutre.

Le nostre terre sono nel centro del Mediterraneo, di quel grande spazio in cui il lavoro nostro e quello di tante comunità di agricoltori nelle sue diverse sponde, al Nord, all’Est, al Sud ha dato un contributo decisivo a edificare la civiltà del grano che è parte fondamentale della straordinaria cultura del cibo che ha reso famoso nel mondo l’Italia.

Eppure, improvvisamente, da qualche decennio abbiamo scoperto che il grano che noi produciamo (dopo aver insegnato a tanti nel mondo come farlo) non sarebbe più “di qualità”, che noi non saremmo più competitivi, che il nostro grano non è più “all’altezza degli obiettivi dell’industria”.

Lo scrivono i Ministeri quando producono i piani e le leggi nazionali facendosi dettare le regole da un’industria della trasformazione che, pur vantandosi di essere “Made in Italy” ha sempre meno legami con i nostri territori e nella sua rincorsa all’internazionalizzazione perde la capacità di valorizzare le nostre grandi caratteristiche di diversità, contenuti organolettici, valori di sicurezza alimentare.

Come le generazioni che ci hanno preceduto, lavoriamo, non abbiamo orari, non abbiamo stagioni, i tempi della nostra vita sono dettati da quelli dei campi che curiamo con impegno nella prospettiva che, alla fine della stagione agraria, il raccolto gratifichi tutto il nostro impegno. Ma non è cosi: il nostro grano, la cui quotazione è fissata dalla speculazione nelle borse merci, è pagato sempre meno

Ci dicono che “non sarebbe di qualità” come quello che invece arriva dalle grandi pianure di altri continenti dove nei latifondi industriali lo hanno prodotto spesso avvelenandolo ma con caratteristiche che rendono più facile la vita agli industriali … e non ce lo pagano costringendoci a “reggere” le nostre imprese con gli aiuti e i sostegni della PAC che ci rendono sempre più dipendenti dai soldi pubblici.

E mentre noi siamo diventati sempre più marginali, i cittadini pagano tre volte il prezzo della trasformazione che abbiamo subito: insicurezza alimentare e problemi di salute, prezzi al consumo che limitano il diritto al cibo, impatto ambientale in territori che si svuotano.

Per noi è chiaro: l’intreccio della crisi economica dei cerealicoltori, quella sociale e ambientale dei territori e delle comunità cerealicole e quella di sicurezza alimentare per tutti i cittadini è il prodotto di un modello di produzione, trasformazione, distribuzione e consumo del grano che sta fallendo ogni giorno di più.

Diverse sono le responsabilità per questa crisi del grano come di tutta la nostra agricoltura. Fra queste certamente quelle della politica che ha spinto la trasformazione con regole e leggi che rafforzano la speculazione e l’abbandono della terra, quelle delle istituzioni incapaci di attuare processi positivi e garantire controlli che pure le norme ancora in parte consentono, quelle dei diversi soggetti della filiera (sementieri, trasformatori, commercianti) troppo spesso attenti alle dinamiche speculative e finanziarie piuttosto che alla qualità ed alla sicurezza dei processi, quelle di una ricerca sempre meno indipendente e sensibile ai finanziamenti interessati dell’industria.

A questo quadro di responsabilità non sfuggono quelle degli agricoltori (le nostre) e dei consumatori che devono tornare ad assumere piena consapevolezza di quanto sia importante la qualità delle nostre produzioni, la grande responsabilità del modo in cui produciamo e la necessità di essere pienamente informati per scegliere cosa e come consumare”.

Abbiamo lottato ed abbiamo resistito in questi anni ma ora siamo consapevoli che non bastano più semplicemente la denuncia e la protesta contro questo o quello e non basta indicare e denunciare semplicisticamente il nemico in uno scaricabarile continuo di responsabilità.

Serve indicare le alternative e le soluzioni. In una fase in cui (ormai) è sufficientemente chiaro ai cittadini quali sono i rischi per la sicurezza alimentare e per l’abbandono della terra, il movimento degli agricoltori che resiste alla crisi ha per primo la responsabilità grande di passare dalla denuncia alla proposta.

Abbiamo iniziato il cammino per dare vita ad un progetto condiviso con il Primo Forum del Grano che tenemmo nel 2017 come Movimento Riscatto con il sostegno della rete dei Municipi Rurali al termine di diversi anni di iniziativa, oggi siamo chiamati e chiamiamo tutti e tutte coloro che hanno a cuore la nostra cerealicoltura e il ciclo del cibo che si produce dal grano a fare un salto di qualità e organizzativo.

Una Riforma che riscriva le regole, i comportamenti e le condizioni per cui abbia ancora un senso lavorare la terra, produrre, distribuire e consumare il cibo mettendo al centro gli interessi dei cittadini e delle comunità.

Noi ci siamo e invitiamo tutti e tutte a partecipare, a portare proposte in forza delle nostre diversità per fare più forti e insieme il progetto che ci porti fuori dalla crisi del modello neoliberista del cibo.

Noi ci siamo per decidere insieme su quello che ci serve: le campagne di mobilitazione per cambiare le regole, i progetti per fare rete producendo economia dalle buone pratiche per la Sovranità Alimentare, gli strumenti di cui ci dovremo dotare per rafforzare la nostra autonomia.

Ci saremo perché se il prezzo del grano non remunera il nostro lavoro, se la sicurezza alimentare e il diritto al cibo sono compromessi, se le comunità pagano i costi ambientali, allora è il tempo di raccogliere dopo la semina e di offrire il raccolto per il pane del progetto nuovo”.

Pur condivisibile, la lettera aperta dei cerealicoli italiani, che propone un percorso di riforma della cerealicoltura incentrato principalmente su alcuni capi saldi, comporta un ripensamento complessivo della riforma della PAC (politica agricola comunitaria) specie nel comparto del Grano.

A) Riforma della PAC (politica agricola comune) con un preciso obiettivo la costituzione del tavolo permanente interprofessionale tra produttori, trasformatori, commercianti, GDO e consumatori come unica filiera del Grano antico italiano;
B) Riconoscimento degli IGP (indicazione geografica protetta) dei vari territori tipici italiani, come la Sicilia e la Puglia;
C) Riconoscimento della DOP (denominazione d’origine protetta);
D) No sovranità alimentare, ma auto sufficienza alimentare a livello europeo;
E) Indicare la produzione del grano antico come strategico, come avviene negli USA e protetto dai sostegni Federali.
F) Rivedere tutti i trattati di importazione europei con il Canada e il famoso TTIP (accordo di libero scambio che coinvolge UE e Stati Uniti dai potenziali effetti catastrofici sulla salute, e sulla sicurezza delle nostre produzioni agroalimentari, sugli standard ambientali e sociali).