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È tempo di bilanci per la scuola italiana

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Un altro anno scolastico si è concluso. L’agenzia Ansa ha pubblicato, lo scorso maggio, la notizia secondo la quale il 51% dei quindicenni non comprende ciò che legge

di Anna La Mattina

“La dispersione scolastica implicita, cioè l’incapacità di un ragazzo/a di 15 anni di comprendere il significato di un testo scritto, è al 51%” questo l’esordio dell’Agenzia Ansa.it, del 22 maggio scorso. Dopo due anni di pandemia e di DAD, tutti siamo d’accordo nel ritenere che questo sia stato un problema serio, che si è sommato a ciò che preesisteva nella scuola italiana: la dismissione della “vecchia” scuola dei “programmi”, che ha formato una classe dirigente, che ormai sta andando in pensione, senza che sia stato assicurato un ricambio adeguato: in nessun settore, tranne che nell’informatica e nell’alta tecnologia, settori nuovi, garanti del nuovo mercato neoliberista e dei relativi tecnocrati, detentori, insieme all’alta finanza, del potere politico mondiale.
Detto questo, se la situazione è quella rappresentata dall’indagine statistica, qui riportata, è d’obbligo chiedersi perché. Ad un certo punto della storia, si cambia rotta nella storia della scuola italiana: grazie all’ “autonomia scolastica”, la scuola diventa come un’azienda, con dirigenti al posto dei presidi, con la preoccupazione di incamerare iscritti, perché altrimenti, le strutture “improduttive” (cioè i plessi scolastici) rischiano di chiudere, con la conseguente perdita di posti di lavoro e non solo quelli dei docenti o degli applicati di segreteria, ma anche quelle dei dirigenti che si vedrebbero dislocati altrove.
I plessi improduttivi rischiano di essere accorpati ad altri, per “risparmiare sulla spesa”. Da qui la caccia ai clienti, il rapporto di forza si inverte: le famiglie divengono talvolta i detentori del potere, in merito alla promozione dei figli… anche quando questi non sono pronti per passare alla classe successiva. Ma, con tutta onesta, il problema della disfunzionalità della scuola odierna non è solo questo: a monte vi è stato uno smantellamento progressivo dei cardini che hanno formato tante generazioni, fino agli anni Sessanta e Settanta.
Dagli anni Ottanta in poi si cambia registro, sin dalla scuola elementare, a cominciare dall’insegnamento della lingua italiana, per la quale non viene più applicato il cosiddetto “metodo alfabetico”, ma il “metodo globale”, cioè il riconoscimento dei grafemi nel loro insieme di lettere, senza necessariamente associare contestualmente il significato. Ciò ha entusiasmato gli animi di tutti, poiché i bambini di prima elementare, entrati a scuola a metà settembre, a dicembre erano già in grado di leggere, grazie all’approccio “visivo” globale alle parole, cioè, ne riconoscevano i segni, ma non ne comprendevano il significato… ma erano bravi a leggere però…!
Questa eredità gli insegnanti dei successivi gradi scolastici, se la ritrovano fino alle scuole superiori, dove, grazie all’obbligo scolastico, fino ai 16 anni d’età e all’obbligo formativo, fino ai 18 anni compiuti, vi arrivano generazioni di giovani, con lacune enormi, non solo in ambito linguistico, ma naturalmente anche sul piano delle cognizioni da acquisire in ciascuna materia.
A chi giova un simile andazzo nella scuola italiana, frutto di una società che ha tolto sempre più valore all’educazione e all’istruzione, che ha impoverito le famiglie?
Sempre più famiglie oggi non sono in grado di sostenere le spese per mandare i figli a scuola (gli studenti mancano spessissimo di libri, quaderni e quant’altro serva per studiare) e le singole scuole cercano di fare del loro meglio, con sussidi in base agli ISEE delle famiglie meno abbienti, tuttavia ciascun studente è ben fornito di cellulare, che in generale non usa per scopi didattici, ma per collegarsi ad internet e rimanere connessi su Whatsapp con il mondo esterno… famiglia compresa, alimentando scontri continui con gli insegnanti, che si vedono costretti ad interrompere la lezione, per intervenire sul piano educativo (inaudito!).
Tutto ciò, di fatto, è permesso dalla società in cui viviamo: se prima della pandemia, la lotta tra docenti e discenti, per il sequestro dei cellulari era continua, adesso dopo la pandemia, non si tenta neanche di ingaggiare la disputa, poiché il cellulare è di tacito accordo consentito, dato che i gruppi-classe su whatsapp sono rimasti come regola, anche per pubblicare le fotografie dei compiti assegnati, le pagine dei libri, le schede dei verbi, ecc… perché, tranne qualche alunno, in una classe la maggioranza non ha comprato o non porta i libri con sé e gli insegnati, arresi di fronte all’evidenza, cercano di fare del loro meglio come possono.
Senza contare che, nei decenni trascorsi, la circolazione delle droghe, da parte della malavita organizzata, ha sempre più coinvolto i minorenni, con gravi danni per le menti dei giovani, le cui facoltà cognitive, a cominciare dai disturbi dell’attenzione e del comportamento, sono stati in continuo aumento. Adesso la droga “classica” è stata praticamente sostituita (si fa per dire, perché continua a circolare!) da una “droga” ben più diffusa e pervasiva: l’uso smodato e incontrollato della tecnologia e di internet, dai social network, molto usati sempre più da utenti minorenni. Ciò ha contribuito allo scadimento della lingua italiana, all’aumento del deficit di attenzione, all’aumento dell’aggressività e alla diffusione del fenomeno del cyberbullismo, con pesanti ricadute sulla stessa vita degli adolescenti e, senza tema di esagerazione, anche sul futuro della civiltà, così come noi l’abbiamo conosciuta.
In questo contesto, vorrebbe porre rimedio “la scuola dei “progetti”, che ha sostituito la scuola dei programmi ministeriali (cioè, lo Stato rinuncia a stabilire ciò che deve essere tramandato alle nuove generazioni), affidando la programmazione alla attuazione di “linee guida” ministeriali, molto generiche e indefinite; i progetti si possono sovrapporre al normale lavoro nelle ore curriculari mattutine, per cui si assiste sempre più alla frammentazione dei contenuti, generando molta confusione nei destinatari di tali attività. Tali progetti, che dovrebbero “limitare” la dispersione scolastica, perché più appetibili agli studenti “difficili”, tenuti a scuola in forza dell’obbligo scolastico… perché non dimentichiamo che la nostra moderna è e deve essere inclusiva!
Questo linguaggio altamente pedagogico e condivisibile, finisce per essere altamente demagogico, nella misura in cui le scuole, non sembrano affatto coerentemente pensate e conseguentemente attrezzate, per intraprendere percorsi così elaborati e sofisticati, nonché giusti, come questi. Sicché la scuola dei progetti finisce miseramente per scadere nel prosaico interesse personale di qualche dirigente (per cifre ragguardevoli) e di alcuni docenti (per molto meno.. (ma data la misera paga, “zucchero non guasta bevanda”), senza ricadute significative per la maggior parte degli studenti, difficili e non, per i quali sicuramente ci vorrebbe uno Stato, che si senta nazione e che metta davvero al primo posto il ben delle giovani generazioni… ma questo potrà essere oggetto di una prossima riflessione sull’argomento. Oggi, invece, il diktat di ogni formazione obbligatoria per i docenti, recita il mantra “Competenze, abilità e conoscenze”.
Io vorrei che il Ministro attuale e quelli che si sono avvicendati nel tempo, dall’Autonomia e dalla “buona scuola” di Renzi in poi, mi spiegassero: come si possono acquisire delle competenze e delle abilità, prima di acquisire le conoscenze? Piuttosto la sequenza dovrebbe essere completamente sovvertita: prima il passaggio delle conoscenze, poi l’acquisizione delle competenze e come conseguenza avviene lo sviluppo delle abilità, magari con la pratica di laboratorio… o in sala operatoria, per gli specializzandi in chirurgia, per citarne solo un paio!
Un dramma! Non solo per il sistema di istruzione in Italia e per lo sviluppo economico, ma soprattutto per la conseguente tenuta democratica del nostro Paese.
Spero che qualche politico, presente o futuro, si ravveda, in merito alla Scuola italiana… e come recitava il titolo del programma televisivo di istruzione popolare, prodotto dalla RAI in collaborazione con Il Ministero della PUBBLICA Istruzione, tra il 1960 e il 1968, curato e condotto magistralmente dal Maestro Alberto Manzi: “Non è mai troppo tardi”! Noi lo vogliamo sperare.