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Beni culturali ed ecostostenibilità, risorsa dell’Italia. Ce ne parla Ledo Prato, Segretario Generale dell’Associazione  Mecenate 90

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di Rosanna La Malfa

Ledo Prato è esperto nelle politiche per i beni culturali. In qualità di Segretario Generale dell’Associazione  Mecenate 90 ha svolto e svolge attività di consulenza in ambito giuridico-amministrativo per alcune delle più importanti città italiane (Roma, Torino, Firenze, Venezia, Milano ecc). Esperto di politiche di tutela e valorizzazione di Beni Culturali, ha svolto attività di analisi, applicazione e sviluppo di strumenti di programmazione per conto del Ministero per i Beni culturali, Città e Regioni. 


È esperto nelle politiche per i beni culturali. E non solo. Ci parli di lei.

Se devo dare una definizione del lavoro che svolgo ormai da tempo, devo necessariamente segnalare che negli ultimi anni cultura e beni culturali hanno assunto significati che hanno aggiunto senso, allargato orizzonti. Qualche volta persino esagerando. Per questo è forse opportuno dire che ai beni e alle attività culturali si sono aggiunte le imprese culturali e creative. Si è quindi costituito un macro settore che impropriamente si definisce “culturale”, omologando ambiti diversi, seppure ispirati dai processi creativi che sono stati alla base della formazione dei beni culturali. Questo forse spiega quanto sia difficile oggi individuare con chiarezza il ruolo di chi come me, partendo dall’interesse e dalla passione per la valorizzazione del nostro patrimonio culturale, ha finito con interagire con altri settori con esso connessi. Negli anni è rimasta una convinzione radicata nella esperienza: i beni culturali possono generare conoscenze, senso di cittadinanza, economia ma anche identità comunitaria, innovazione sociale, produzione di nuove forme di arte,  valori condivisi. Naturalmente non ci sono automatismi e per questo servono politiche di medio lungo periodo ispirate da un pensiero solido e condiviso.

Problematiche relative alla programmazione territoriale, ai modelli di sviluppo sostenibile per la valorizzazione dei sistemi culturali. Progetti in essere e futuri?

Per molto tempo si è ritenuto che i beni culturali, in nome di una distorta concezione della tutela, dovessero essere separati dai propri contesti. Solo in questo modo se ne poteva preservare l’integrità. In realtà è successo il contrario. La diffusione del patrimonio culturale è diventato un ostacolo piuttosto che una opportunità per lo sviluppo dei nostri territori. Oggi molte cose sono cambiate ma non ancora quanto necessario. Prendiamo a riferimento le città, soprattutto quelle medie e piccole che rappresentano la spina dorsale, l’identità dell’Italia. Sono al centro di profondi cambiamenti sociali, demografici, economici. Il patrimonio culturale può essere una leva importante per generare un futuro per queste comunità, contribuire a progettare un nuovo processo di sviluppo che,  valorizzando le risorse territoriali, produca quella economia civile che ci permetta di uscire dalle sacche del  declino. Per questo stiamo realizzando il primo Rapporto sulle Città medie. Per fare emergere la vivacità,  la ricerca, la ricchezza di sistemi territoriali che cercano risposte alle sfide del tempo presente. Allo stesso tempo stiamo cercando capire cosa succede nelle periferie delle città metropolitane per intercettare le esperienze di rigenerazione urbana che fanno leva sull’arte pubblica. Qui è ancora più evidente come gli artisti possono contribuire a diffondere bellezza,  dare nuova identità a luoghi marginali, in un intreccio virtuoso con associazioni, comitati, cittadini. Esperienze che hanno saputo coniugare l’innovazione culturale con quella sociale. Il 26 e 27 a Napoli alla Fondazione FOQUS nei Quartieri Spagnoli discuteremo di questo con le principali realtà italiane ed europee.

Quali sono le città d’Arte in Italia? Esiste una lista stilata dal Ministero?

Non esiste una lista. E meno male. Sarebbe complicatissimo e fonte di infinite polemiche. In un Paese come il nostro si può solo dire che ci sono città che hanno un più forte e diffuso insediamento di patrimonio culturale. Penso a Roma, Firenze, Venezia, Napoli, Palermo, solo per citare quelle più note. Ma poi c’è un reticolo di luoghi di straodinaria bellezza in ogni angolo del Paese. Non dobbiamo mai dimenticare che sono le comunità depositarie di questo patrimonio e che ad esso fanno riferimento per alimentare ogni giorno la propria identità. Per questo dobbiamo lavorare perché questo senso di appartenenza si traduca in una cura convinta del proprio patrimonio.

Campagne di found-raising per il restauro e la valorizzazione del patrimonio culturale. Ma non dovrebbe pensarci lo Stato?

Se il patrimonio “appartiene” innanzitutto alle comunità di riferimento, non possiamo pensare che possa essere solo lo Stato a prendersene cura. Lo constatiamo ogni giorno. C’è un ruolo importante delle istituzioni, compresi i Comuni e le Regioni, ma non basta. Le campagne di found raising che con la nostra Fondazione CittàItalia abbiamo promosso in questi anni grazie alla generosità di tanti cittadini, non hanno salvato solo circa 50 opere a rischio, sono state occasioni per una presa di coscienza collettiva circa l’importanza della cura del proprio patrimonio culturale. L’arte è di tutti ed è per tutti. Si costruisce una nuova coscienza civile se i cittadini diventano protagonisti e non solo contribuenti.

Vivaio Sud. Ci racconta?

In questi ultimi anni il Mezzogiorno, nonostante le molteplici contraddizioni e i ritardi che ha accumulato sul piano nazionale ed europeo, è paradossalmente l’area in cui si sono registrate le più interessanti e importanti innovazioni nell’ambito culturale. Teatri autogestiti, gestione innovativa di spazi culturali, esempi virtuosi di rigenerazione urbana che hanno recuperato e valorizzato spazi dismessi e abbandonati, nuove imprese culturali e creative. Una nuova generazione ha deciso di investire nel proprio futuro decidendo di restare nelle proprie comunità. Vivaio Sud è una rete fra esperienze innovative che ha consentito in questi anni di mettere in piedi nuovi progetti creando relazioni fra persone, competenze, territori, spesso con il coinvolgimento di tanti amici del nord del Paese. In questo ambito hanno svolto un ruolo di primo piano le esperienze di terzo settore, sostenute e incoraggiate dalle molteplici iniziative della Fondazione con il Sud.

In un mondo globalizzato come si possono sostenere le unicità  individuali?

Fino a qualche tempo fa si faceva spesso ricorso al termine glocal  per indicare una specifica modalità nell’agire sociale. Oggi ci siamo accorti che non è proprio così. Lo spaesamento che è seguito alla globalizzazione ci ha indotti ad assumere atteggiamenti difensivi, di rinserramento, come se questo potesse metterci al riparo dalle contraddizioni aperte dalla globalizzazione. In realtà nessuno è un’isola. La dimensione locale, qualsiasi sia il suo livello, è fondamentale ma non esaurisce l’ambito dell’agire umano. Il tempo che stiamo vivendo è interrogativo. Pone nuove domande a cui non sappiamo ancora dare risposte certe e condivise. Per questo non bisogna avere fretta. Piuttosto dobbiamo vivere le nostre unicità senza pensarle come esclusive, elusive di un sistema di rapporti e relazioni con chi ci sta accanto.

Di cultura non si mangia. Sfatiamo questo mito?

Abbiamo usato questa espressione, per altro smentita dall’autore, per troppo tempo. Bisogna lasciarsela alle spalle. La cultura può generare buona economia, lavoro qualificato, sviluppo sostenibile. Ma non possiamo considerarla solo come un valore dell’economia del Paese.  Il diritto alla cultura, alla formazione è iscritto nei Diritti Universali dell’Uomo. Ed è questa la cornice di riferimento a cui tutti dovremmo richiamarci. Ciascuno per il ruolo che svolge. C’è ancora il 59% degli italiani che non ha mai visitato un museo o un luogo della cultura. Meno del 50% legge un libro all’anno. Ecco perché la posta in gioco è alta e siamo ancora lontani dalla meta.

 


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