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America 2020: Trump, Kushner e lo swap Parscale-Stepien

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“Nuovo cavallo, stesso fantino”. Così alcuni osservatori descrivono lo swap tra Brad Parscale e Bill Stepien nel ruolo di manager della campagna per la rielezione di Donald Trump.

Come se il presidente puntasse solo a placare i livori di alcuni repubblicani contro quello che è considerato il vero deus ex machina: Jared Kushner, suo genero e consigliere, sempre nell’ombra ma con in mano tutti i principali dossier della Casa Bianca. Con il tycoon in calo nei sondaggi sull’onda del coronavirus, che negli Usa ha contagiato 3,6 milioni di persone e ne ha uccise quasi 140.000, diversi Gop biasimano il marito di Ivanka per la volata dello sfidante democratico Joe Biden che avrebbe invece dovuto ‘demonizzare’ come il cavallo di Troia della sinistra radicale.

A quattro mesi dalle elezioni presidenziali, la narrativa prevalente resta quella di un referendum sulla risposta di Trump al Covid-19. Biden è in vantaggio di almeno 9 punti a livello nazionale e appare favorito in Stati dove i democratici non vincono da generazioni come il Montana, l’Alaska e il Texas.

Parscale, ‘retrocesso’ alla guida dell’attività digitale, è un uomo di Kushner, esattamente come Stepien. Ma il nuovo manager della campagna di Trump vanta legami più forti con l’establishment del Grand Old Party e, a differenza di Parscale, non è un personaggio pubblico. Stepien si è fatto le ossa lavorando per alcuni comitati elettorali locali. E poi approdato alla Republican National Committee (Rnc) dopo essere stato membro della squadra per la rielezione di George W. Bush nel 2004 e consigliere del controverso governatore del New Jersey Chris Christie.

Nel 2008 è stato ingaggiato da Rudy Giuliani insieme a Jason Miller (appena tornato sul carro elettorale di Trump) e assoldato dal senatore John McCain quando ha vinto la nomination repubblicana per la corsa alla Casa Bianca contro Barack Obama. Pare che Trump lo presenti sempre come l’unico ad aver previsto la sua vittoria il giorno dell’Election Day nel 2016.

Mentre a Parscale il presidente non ha perdonato gli spalti vuoti al comizio di Tulsa, in Oklahoma. Un evento dato per sold out con un milione di prenotazioni on line, di cui centinaia di migliaia fasulle per uno sgambetto organizzato sui social da motivati teenager. “Jared Kushner ha ora il pieno controllo della campagna 2020 per la rielezione di Trump-Pence. Punto. Fatevene una ragione”, ha dichiarato John Fredericks, conduttore radiofonico e membro del comitato elettorale del tycoon. Kushner non è ben visto dall’ala Gop più conservatrice, i ‘bannoniani’, gli oltranzisti della prima ora dell’America First.

Ritengono che l’ascoltato genero abbia trascinato il presidente verso posizioni più liberali. Per questo motivo i Gop anti-trumpiani del Lincoln Project stanno facendo proseliti. A loro si è unito anche Anthony Scaramucci, ex portavoce di Trump licenziato dopo 10 giorni in carica.

In vista del rush finale verso il 3 novembre, prima della convention repubblicana di agosto, la campagna di Trump potrebbe nominare anche un presidente. Tra i nomi che girano anche quello di Steve Bannon, l’ex capo stratega silurato da Trump nell’estate del 2017 e gola profonda del libro al vetriolo di Michael Wolf “Fire and Fury”.

“Quando la gente vedrà la differenza tra l’ordine di Trump e il caos di Biden, la scelta diventerà molto facile e per Biden sarà molto difficile convincere gli elettori”, ha sentenziato Bannon in una recente intervista, suggerendo al comandante in capo di correre più da presidente e meno da candidato. “Se ti comporti da presidente degli Stati Uniti, se agisci da presidente degli Stati Uniti e governi come un presidente degli Stati Uniti allora viene rieletto”, è stato il consiglio non richiesto dell’ex capo stratega mentre appare sempre più evidente che la vera sfida per Trump non è battere Joe Biden ma la pandemia e il suo impatto sull’economia.

Vedi: America 2020: Trump, Kushner e lo swap Parscale-Stepien
Fonte: estero agi


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