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21 luglio 1972. A Belfast le bombe dell’IRA, è il Bloody Friday

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di redazione

Il 21 luglio del 1972, nel centro di Belfast, capitale e principale città dell’Irlanda del Nord, regione del Regno Unito, gli indipendentisti dell’IRA (Irish Republican Army), organizzazione militare clandestina formatasi nei primi anni del Novecento per liberare l’Irlanda dal dominio inglese, fecero esplodere ventidue bombe in ottanta minuti, provocando nove morti e centotrenta feriti.

In quegli anni, a cavallo tra i 70 e gli 80 del Novecento, l’Irlanda del Nord era teatro di un terribile conflitto tra confessioni religiose, si fronteggiavano la maggioranza protestante della popolazione da una parte e la minoranza cattolica dall’altra, la quale denunciava una pesante situazione di discriminazione sociale e politica.

Fu un’escalation di disordini sanguinosi, passati alla storia come The Troubles, una guerra a bassa intensità all’interno dello stesso movimento indipendentista e repubblicano, che fece registrare, nel complesso, la morte di oltre 3000 persone. Una spirale di violenza del tutto fuori controllo da parte delle autorità statali. Molte case abitate da cattolici furono messe a ferro e a fuoco dagli estremisti protestanti, intere famiglie furono costrette a fuggire da Belfast.

Gli assalti ai quartieri cattolici finirono per provocare una scissione tra Provisional IRA e Official IRA, tra loro fieramente contrapposte.

Il conflitto civile si sovrappose così alla lotta per l’indipendenza dal Regno Unito, nelle città di Derry e di Belfast si arrivò a temere lo scoppio di una vera e propria guerra civile e ciò fu causa della decisione del governo britannico che entrò in azione con l’esercito e, il 24 marzo 1972, impose all’Irlanda del Nord un governo diretto da Londra.

A Belfast e Derry si registrarono scontri quasi ogni giorno tra i combattenti dell’IRA e l’esercito britannico. L’IRA agiva con azioni di sabotaggio, piazzando bombe sui cosiddetti “obiettivi economici”, ma questi attentati finivano quasi sempre per fare stragi di civili.

Per fronteggiare la situazione, il governo di Londra si decise ad avviare una serie di colloqui con l’IRA che portarono, all’inizio, al risultato di fare cessare il fuoco all’IRA alla fine di giugno del 1972. Ma il fuoco fu riaperto dall’IRA già a luglio, quando i colloqui presero una piega non gradita agli indipendentisti, poiché gli inglesi non accolsero la richiesta di abbandonare entro tre anni l’Irlanda del Nord.

Questi, per sommi capi, gli antefatti che portarono agli attentati del 21 luglio a Belfast, giornata ricordata come il Bloody Friday. Quel giorno gli artificieri dell’esercito ricevettero il primo allarme per disinnescare una bomba intorno alle 13. Era il primo dei 23 ordigni piazzati in città dal Provisional IRA. Poi, alle 14,40 un’altra bomba scoppiò nei pressi di una banca. E quindi, via via, tutte le altre esplosero nell’arco di meno di un’ora, sprofondando Belfast nella disperazione e nel caos. Dei nove morti, due soldati e quattro civili rimasero uccisi dallo scoppio di un’autobomba in Oxford Street; due donne morirono a Cavehill Street; un ragazzo protestante di 14 anni fu ucciso dalla bomba della cui presenza stava avvisando le persone che si trovavano attorno. Dei 130 feriti, 77 erano donne e bambini.

L’IRA rivendicò l’attacco, affermando di aver avvisato con mezz’ora di anticipo i giornali, le radio e le televisioni locali della presenza delle bombe. Si è dovuto aspettare trent’anni perché l’IRA, nel 2002, rilasciasse una dichiarazione di scuse per l’eccidio del Bloody Friday.