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Un "occhio" guardava i detenuti. I Borbone e la riforma penitenziaria

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AGI – La prima volta che i detenuti varcarono la soglia dell’ex carcere borbonico di Siracusa fu nel 1856, in pieno Regno delle Due Sicilie, cinque anni prima dell’unificazione italiana. A sorvegliare il loro incedere era un occhio scolpito nell’arco che sovrasta la porta d’ingresso. Le porte del penitenziario, situato nel cuore di Ortigia, il centro storico di Siracusa, si chiusero definitivamente nel 1991, pochi mesi dopo il terremoto del 1990 di Santa Lucia, dopo alcuni sopralluoghi che avevano svelato delle lesioni strutturali che andavano ricomposte.

Ma interventi di recupero non ne sono stati mai realizzati e quella che era una delle opere architettoniche piu’ importanti dell’epoca, voluta da Ferdinando I di Borbone nel 1817 si e’ trasformata, negli anni, in un ricettacolo di rifiuti, invaso dai topi. I carabinieri della sezione per la Tutela del patrimonio culturale hanno posto sotto sequestro la struttura, eseguendo una misura emessa dal gip del Tribunale di Siracusa su richiesta della Procura di Siracusa.

Sito lungo l’antica Mastrarua di Ortigia, ora via Vittorio Veneto, conosciuto dai siracusani come “a casa cu n’occhiu” (la casa con un occhio), secondo gli inquirenti l’edificio rischia il crollo ma dall’indagine emerge pure “lo stato di abbandono dell’immobile e il grave deterioramento determinato dalla persistente omissione dei lavori necessari alla sua messa in sicurezza e dell’adozione di qualsivoglia provvedimento volto a evitarne il degrado”.

Il proprietario dell’ex carcere borbonico e’ il Libero consorzio di Siracusa, un ente in dissesto finanziario, che, senza un soldo in cassa, nei mesi scorsi ha messo all’asta questo bene insieme ad altri, tra cui l’autodromo di Siracusa e l’ex cinema Verga, anch’essi in condizioni pessime. L’asta dell’ottobre scorso e’ andata deserta, per cui l’ente, al cui vertice c’e’ un commissario, l’ex questore di Siracusa Domenico Percolla, ha decurtato l’offerta del 15 per cento allo scopo di attrarre gli investitori.

Il carcere borbonico fu anche al centro di un caso internazionale, culminato con lo scontro tra gli Stati Uniti e l’Italia a seguito del sequestro dell’Achille Lauro tra il 7 ed il 9 ottobre del 1986. I quattro terroristi, responsabili della morte di un cittadino americano, Leon Klinghoffer, vi furono detenuti. L’edificio fu concepito come struttura penitenziaria a cui applicare i dettami del paradigma carcerario ideato dal filosofo e giurista inglese Jeremy Bentham, cioe’ il modello Panottico, che permetteva, attraverso particolari accorgimenti architettonici e tecnologici, l’osservazione di tutti i prigionieri da qualunque punto del cortile, di forma ottagonale.

 

L’ex carcere borbonico di Siracusa e’ un esempio del lampo riformista nell’epoca di Ferdinando I, che diede vita anche al progetto dell’Ucciardone di Palermo. La fabbrica di Siracusa, espressione architettonica derivata dall’attuazione del decreto sulle carceri emesso da Ferdinando I di Borbone nel 1817, era assolutamente all’avanguardia per i tempi, frutto delle concezioni filosofiche e giuridiche di  Bentham.

Il modello Panottico, da quest’ultimo messo a punto, si presentava come una sorta di Grande Fratello (composto dal greco ‘pan’ e ‘optikos’, ‘tutto vede’), che, ben prima della elaborazione letteraria di George Orwell, permetteva, attraverso particolari accorgimenti architettonici e tecnologici, l’osservazione di tutti i prigionieri da qualunque punto del cortile, di forma ottagonale.

Bentham, spiega all’AGI Giovanni Tessitore – gia’ docente di Sociologia del diritto all’Universita’ di Palermo e autore di importanti testi sulle carceri in eta’ borbonica e nel fascismo – ipotizzo’ che “con un pianta circolare o ottagonale e una torre di controllo centrale si potesse tenere sotto controllo tutta la popolazione carceraria, riducendo anche il personale di sorveglianza”.

La struttura carceraria, prima incentrata sulla marginalizzazione del detenuto “veniva trasformata in una struttura produttiva, socialmente utile”, spiega Tessitore. “Questa trasformazione del carcere, questo passaggio che avviene tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento – sottolinea – io lo definisco come ‘il tramonto delle pene corporali e l’inizio della pena detentiva’ (e’ anche il titolo di un volume di Tessitore per Franco Angeli, ndr). Oggi, cioe’, noi abbiamo un concezione della pena detentiva rapportata alla privazione della liberta’ personale: cio’ che comprimiamo e’ la liberta’ personale, e non la fisicita’ del soggetto con afflizioni materiali o torture”.

Questo passaggio culturale “fu sposato da alcuni pensatori napoletani della prima meta’ dell’Ottocento che si innamorano dell’utopia inglese, e fanno di Napoli non quel centro reazionario che si e’ voluto far credere ma un motore riformista e progressista, naturalmente contestualizzando in quel periodo il termine ‘riformismo’”.

Questi pensatori “convincono Ferdinando I a realizzare una riforma penitenziaria che faccia proprie queste idee inglesi”. “Quando viene costruito, l’Ucciardone avrebbe dovuto essere uno dei piu’ prestigiosi del mondo”, nel nome di quella utopia. Ma “il terreno melmoso in cui sorse, e il sovraffollamento determinato dalla repressione dei moti del colera fecero saltare il piano riformista immaginato, e quel carcere divenne il simbolo di tutto l’opposto di cio’ che voleva essere”. 

Vedi: Un "occhio" guardava i detenuti. I Borbone e la riforma penitenziaria
Fonte: cultura agi


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