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TIM e il fondo KKR

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Nel mondo odierno abbiamo riscontrato la debolezza dell’Europa che, ad un semplice cenno di Putin, è stata messa in crisi dalle forniture di gas. La struttura della rete TIM, malauguratamente privatizzata in una sbornia liberista, costituisce una forza per l’Europa che non può essere lasciata in mani, pur amiche, ma non nostre

di Renato Costanzo Gatti

Scrive Luigi Einaudi nelle sue “Lezioni di politica sociale”:

In altri casi il monopolio è dovuto a cause indipendenti dalla legge, a cause quasi tecniche. Ad es., la concorrenza in una stessa città e negli stessi rioni di molte tranvie, di molte imprese di acqua potabile o di gas o di luce elettrica, ed, entro certi limiti, la concorrenza di parecchie ferrovie tra le stesse città, non è possibile e, se tentata, non dura. Siccome qui il monopolio si può dire quasi naturale, non lo si può più abolire, e bisogna regolarlo. Lo stato interviene per fissare le tariffe massime, il genere dei servizi, ovvero può decidersi ad esercitare lui stesso l’industria monopolistica, facendosi rimborsare il puro costo.”

Anche la più alta figura del liberalismo italiano considera la positività della presenza pubblica in caso di monopoli naturali e ritiene corretto che la mano pubblica eserciti in proprio il monopolio naturale ma lo eserciti con una logica da servizio pubblico ovvero non punti al profitto ma “facendosi rimborsare il puro costo”.

Il campione del liberismo odierno, l’Istituto Bruno Leoni, nel caso del fondo KKR che vuol rilevare la totalità o almeno la maggioranza assoluta in TIM così scrive:

KKR non è un veicolo opaco di investitori sconosciuti: è uno dei maggiori fondi di private equity al mondo. Non è una società schermo appena creata: esiste dal 1976. Non ha la sede in qualche sperduto paradiso fiscale (…). Insomma: KKR è uno dei protagonisti del mercato globale dei capitali. È un soggetto da cui non abbiamo proprio nulla da temere: anche perché la rete, sempre invocata come pretesto per intervenire a gamba tesa su Tim, è un asset disciplinato da norme nazionali ed europee. L’idea che un azionista straniero possa abusarne e che invece un azionista nazionale non lo farebbe non è solo smentita dall’esperienza recente (Tim ha influenti azionisti esteri dal 2007) ma è, semplicemente, ridicola. Peraltro, è ancora più insostenibile la tesi che gli investimenti esteri siano una specie di notte dove tutte le vacche sono nere: nell’esercizio del golden power dovremmo non solo distinguere tra soggetti europei ed extraeuropei, ma anche – tra questi ultimi – tra investitori che provengono da paesi trasparenti e tradizionalmente attenti alla rule of law (come gli Stati Uniti) e quelli che invece arrivano da paesi dove la commistione coi governi è molto più profonda e opaca (come la Cina).

La richiesta di far scattare il semaforo rosso, allora, non può essere mossa da chissà quale sospetto. Essa si spiega solo in due modi, non mutuamente esclusivi: l’onnipresente tic nazionalista e la pretesa, o la speranza, che un investitore nazionale sia più mansueto di fronte alle richieste della politica.”

Insomma secondo l’IBL non dovremmo preoccuparci perché gli USA non sono come la Cina e la scelta è tra nazionalismo e il privato che sia più “mansueto di fronte alle richieste della politica”.

Del fatto che TIM abbia una figura concorrenziale nella produzione di prodotti telefonici, ma abbia anche una figura strategica possedendo più di 20 milioni di km di fibra in Italia e tramite Sparkle disponga di una rete di cavi sottomarini di 600.000 km dove viaggia l’80% del traffico internet, all’IBL non interessa.

Einaudi, almeno, si rendeva conto che un servizio pubblico a struttura monopolistica segue una logica di servizio e non di profitto, una logica dove conta di più portare un cavo telefonico ad un paesino in montagna che la valorizzazione del capitale.

E poi, perché dovremmo fidarci di un fondo statunitense? Che vocazione e che progetti ha il fondo KKR in fatto di telecomunicazioni? Ritengo che abbia zero competenza tecnica e conosca solo la legge del D-M-D’ o meglio in questo caso del D-D’, guardando non certamente solo alla sezione concorrenziale di TIM ma mirando decisamente alla sua rete infrastrutturale.

Quanto poi a fidarci degli USA piuttosto che della Cina, sarebbe bello avere il commento di Macron che, fatto un contratto da 50 miliardi di $ per una commessa per sommergibili, si è visto cancellare la commessa dall’amico statunitense quando a questi è convenuto.

Nel mondo odierno abbiamo riscontrato la debolezza dell’Europa che, ad un semplice cenno di Putin, è stata messa in crisi dalle forniture di gas, ebbene la struttura della rete TIM malauguratamente privatizzata in una sbornia liberista, costituisce una forza per l’Europa che non può essere lasciata in mani, pur amiche, ma non nostre.

Il governo Draghi, incapace di una efficace legge contro le delocalizzazioni, dopo l’estasi liberista del ddl concorrenza, è ora chiamato a scegliere se esercitare o meno il suo golden power: le premesse non sono buone. Il governo infatti dopo aver detto che l’offerta KKR è motivo di vanto per la nostra economia ha aggiunto che il fondo potrebbe essere finalmente in grado, grazie ai fondi del PNRR, di realizzare la transizione digitale. Ma sbaglio o i fondi del PNRR in modalità diverse li dovranno ripagare i nostri figli e non KKR?