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Spazio: Milano, ricerca sui buchi neri più grandi dell’Universo

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Potrebbe essere il segnale più vicino al Big Bang, l’origine di tutto, mai rintracciato sinora. Ma più probabilmente è un segnale gravitazionale la cui osservazione, grazie a radiotelescopi grandi come cinque campi da calcio, permetterà di conoscere qualcosa di ignoto su come evolvono le galassie e i buchi neri. In ogni caso una scoperta scientifica che per la prima volta “colmerebbe un vuoto di comprensione del nostro universo”, spiega all’AGI il professore di Astrofisica del dipartimento di Fisica dell’Università di Milano-Bicocca Alberto Sesana. Il tutto nell’ambito di un progetto di ricerca condotto dall’università Bicocca in un contesto di collaborazioni internazionali, dalla Cina all’Australia al Sudafrica. Si tratta del progetto Pingu (Pulsar timing array Inference of the Nanohertz Gravitational wave Universe) di Alberto Sesana, professore di Astrofisica del dipartimento di Fisica dell’Università di Milano-Bicocca, che è appena stato premiato dall’Unione Europea con un ERC Advanced Grant, bando per la ricerca scientifica, da 2,3 milioni di euro. L’obiettivo, per i prossimi cinque anni, è sfruttare al massimo il potenziale scientifico della tecnica di natura astronomica nota come “Pulsar Timing Array (PTA)” – basata sull’osservazione degli impulsi estremamente regolari (timing) provenienti da un gruppo (array) di stelle “morte” chiamate “pulsar” – per comprendere l’evoluzione dell’universo e dei buchi neri supermassicci, i più grandi buchi neri dell’universo. La questione è assai tecnica ma proviamo a spiegarla. Le pulsar ruotano a velocità elevatissime – tra 100 e 1.000 rotazioni al secondo – emettendo due fasci di radiazione in direzioni antipodali. Se uno dei fasci che emettono intercetta la Terra, viene osservato sotto forma di impulsi molto regolari dai radiotelescopi. “Questi corpi celesti sono eccellenti ‘orologi galattici’ – spiega Alberto Sesana – che consentono di misurare onde gravitazionali a bassissima frequenza. Confrontando i ticchettii di questi orologi, ovvero i tempi di arrivo dei fasci di radiazioni, siamo in grado di stabilire se lo spazio tra noi e le stelle osservate si sta dilatando o contraendo. Possiamo quindi usare l’incredibile regolarità dei segnali delle pulsar per cercare minuscoli cambiamenti causati dal passaggio di onde gravitazionali provenienti dall’Universo lontano”.
Recentemente, diverse collaborazioni scientifiche internazionali, tra le quali l’European PTA (EPTA) – alla quale partecipa anche l’equipe di ricercatori guidata da Alberto Sesana –, NANOGrav, Parkes PTA (PPTA) e la Chinese PTA (CPTA), hanno riportato nelle loro osservazioni evidenza di un segnale compatibile con un’origine di onda gravitazionale. “Questa osservazione apre una finestra completamente nuova sull’universo – continua il professore del dipartimento di Fisica di Milano-Bicocca –. Le PTA sono sensibili a onde di alcuni nanohertz (miliardesimo di hertz), cioè a frequenze di più di 10 ordini di grandezza più basse rispetto a quelle rivelate dagli interferometri di terra LIGO e Virgo. A frequenze così basse, ci si aspetta di osservare onde provenienti da una popolazione cosmologica di buchi neri supermassicci, oppure un “fondo gravitazionale” proveniente dall’universo primordiale, in pratica l’analogo gravitazionale della radiazione cosmica di fondo. Sebbene il segnale osservato sia compatibile con quello prodotto da una popolazione cosmica di buchi neri supermassicci, al momento non è possibile determinarne con certezza l’origine”. Ma entro la fine del decennio, ed è a questo che punta la ricerca, nuove osservazioni delle PTA svolte dalle collaborazioni scientifiche internazionali, insieme a quelle eseguite dal radiotelescopio MeerKAT, in Sudafrica, combinate insieme sotto il coordinamento dell’International PTA (IPTA), consentiranno non solo di confermare il segnale, ma anche di mapparne la provenienza nel cielo. “Pingu si propone di cross-correlare questa “mappa gravitazionale” – afferma Sesana – con una “mappa sintetica” di binarie di buchi neri supermassicci nell’universo, costruita combinando modelli teorici per l’evoluzione delle galassie e dei buchi neri che esse ospitano con dettagliate mappe di galassie e ammassi di galassie provenienti dalle più avanzate campagne di osservazioni. Cross-correlando queste mappe, Pingu consentirà di stabilire l’origine di questo segnale, e se l’origine è astrofisica, consentirà anche di individuare le binarie di buchi neri supermassicci più brillanti (in senso gravitazionale) e le galassie che le ospitano, consentendo così di mappare l’universo gravitazionale nel nanohertz, dandoci indicazioni uniche sull’evoluzione dei buchi neri supermassicci e sul loro ruolo nell’evoluzione galattica, aggiungendo quindi un importante tassello mancante alla nostra comprensione della formazione ed evoluzione delle strutture cosmiche”. Se il segnale rivelato provenisse invece dall’universo primordiale sarebbe di gran lunga il segnale più vicino al Big Bang mai osservato, consentendoci di avvicinarci come mai prima alle origini dell’universo”, conclude il responsabile del progetto. (AGI)
MIK/RED