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Sicilia. Dalla Rasiom alla Sonatrach, le contraddizioni dello sviluppo e un disastro ambientale annunciato

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Nella vasta area costiera che attornia la baia di Augusta e che si protende sino al territorio di Priolo e Siracusa sorse, all’inizio degli anni ‘50, quasi dal nulla, un potente volano destinato a divenire la forza attrattiva per quella che oggi è la zona del Sud Italia a più forte concentrazione di industrie petrolchimiche. Un catalizzatore industriale che, però, tenne conto dell’impatto ambientale, dell’alto rischio ecologico apportato ad un territorio a vocazione agricola e turistica.

Sulla sponda occidentale della baia di Augusta, all’inizio degli anni ’50, nasce una fra le più importanti industrie di raffinazione di prodotti petroliferi d’Europa: la S.p.a. RASIOM, sigla che sta per “Raffinerie Siciliane Oli Minerali”, acquistata nel 1961 dalla “Esso Standard Italia” e poi divenuta, dopo la fusione del 1972, “ESSO Italiana Raffineria di Augusta”.

Fu nel lontano 1949 che la rocambolesca intraprendenza di un uomo sicuramente lungimirante, il futuro Cavaliere del Lavoro Angelo Moratti, (il Presidente delle 3 “A”, in cui la prima “A” sta per “Albino” (padre), la seconda per “Angelo” e la terza per “Augusta”) portò alla realizzazione del primo nucleo dei vasti e tentacolari impianti della RASIOM.

Sulla scia del poco accorto assenso delle Autorità locali e regionali competenti, la RASIOM fu realizzata, purtroppo, nelle aree limitrofe alla pregiata e rinomata zona archeologica di Megara Iblea, risalente al 728 a.C.

Per motivi non tanto reconditi, legati al profitto dell’oggi e ad una politica affatto responsabile verso il futuro dell’ambiente, non si ebbe alcun rispetto per le origini storiche del territorio e per la affermata salubrità della zona, a vocazione agricola e turistica.

Nessuno degli amministratori pubblici del periodo pose attenzione al fatto che, già negli anni che vanno dal 1867 al 1891, erano venuti alla luce i resti urbanistici e la necropoli della antichissima colonia greca, la cui civiltà rifulse sino al 212 a. C. anno in cui le legioni romane di Claudio Marcello, in lotta contro Siracusa, la distrussero annientandone ogni emblema e ogni vitalità.

Per facilitare la costruzione dello stabilimento industriale della RASIOM, alcuna seria e responsabile obiezione, addirittura,  ostacolò la decisione di ricoprire una parte degli scavi portati avanti in quegli anni da due valenti archeologi dell’Ecole Francaise.

Furono i lavori per la costruzione del tratto ferroviario Catania Siracusa (1867) a profanare per la prima volta il sito archeologico, addirittura attraversandolo nella parte riguardante le mura  di fortificazione e le strutture murarie. Gli scavi ebbero a svilupparsi dal 1891 in poi e riportarono alla luce la parte nord-occidentale della antichissima colonia greca (728 a.C.) anche per merito (verso la fine degli anni ’40) delle varie fasi d’intervento degli archeologi francesi Georges Vallet e Francois Villard dell’Ecole Francaise. Nella adiacente necropoli furono scoperte un migliaio di tombe. Nel 1949, la parte nord di quest’ultima fu in parte coperta per fornire spazio agli impianti tecnici di alcune strutture operative della RASIOM.  Si deve all’intervento della Soprintendenza di Siracusa, allora diretta da Bernabò Brea, se fu possibile salvare alcuni preziosi reperti tra cui la famosa statua della Kourotrophos addirittura rinvenuta in pezzi (nell’ottobre del 1952) e poi difficoltosamente restaurata. Oggi è esposta nel museo archeologico di Siracusa.

A fronte della affaristica prospettiva di riuscire a realizzare una iniziativa imprenditoriale altamente concorrenziale – pur se di natura squisitamente privatistica – e avvalendosi del forte appoggio di parecchi altolocati esponenti del mondo politico, finanziario e bancario, vide la luce, seppure avventurosamente, una sorta di “industria pilota” finalizzata alla lavorazione e raffinazione di idrocarburi. Industria che, ben presto, raggiunse una potenzialità produttiva di tutto rispetto, specie se raffrontata ai colossi esteri del settore.

È da segnalare che in quel periodo il territorio di Augusta – in special modo il centro abitato – testimoniava ancora la brutalità delle drammatiche vicende belliche dell’ultimo conflitto mondiale e ricordava, in particolare, gli avvenimenti legati alla sbarco alleato in Sicilia (luglio 1943), ampiamente correlati con la poco edificante e per molti versi inspiegabile mancata difesa della munitissima base navale ivi esistente.

Mediante l’ottenuto beneplacito del mondo istituzionale e politico e la parziale concessione (si può ben dire a costo zero) degli ancora validi impianti della Marina Militare (serbatoi, pontili, condutture e camminamenti), a suo tempo realizzati nella zona di Punta Cugno per le esigenze dell’importante Base Navale, fu possibile avviare la rapida realizzazione del controverso progetto industriale.

Nella vasta area costiera che attornia la baia di Augusta e che si protende sino al territorio di Priolo e Siracusa, sorse così, quasi dal nulla, un potente volano destinato a divenire la forza attrattiva per la coeva e successiva formazione e per l’ampliamento di quella che, con tutte le ben prevedibili pur se sottostimate conseguenze eco-ambientali, è oggi la zona del Sud Italia a più forte concentrazione di industrie petrolchimiche.

Utilizzando alcune mal ridotte attrezzature residuate dalla dismissione di un analogo complesso industriale ubicato in Texas (acquistate al prezzo di “scarto” e  di “rottami”), nell’arco di circa un anno e mezzo, in linea con l’iniziale piano progettuale e attuativo, fu avviato il primo nucleo dell’insediamento industriale di raffinazione petrolifera.

È noto che la nascente Società poté facilmente avvalersi di pilotate concessioni e agevolazioni politico-amministrative sia della Regione Siciliana che dei Comuni di Augusta e Melilli, nei cui territori ricadeva la vasta area dell’impianto.

Non si tenne conto, però, più o meno deliberatamente, dell’impatto ambientale che tale impianto ad alto rischio ecologico avrebbe sicuramente apportato ad un territorio a vocazione agricola e marinara che, peraltro, difettava di valide infrastrutture cautelative oltre che di una idonea viabilità, a quel tempo parecchio inadeguata, vetusta e fatiscente.

Il miraggio delle parecchie migliaia di posti di lavoro, dello sviluppo della economia locale e dell’indotto, dei prevedibili sostanziosi proventi fiscali, in uno alla spietata corsa all’affermazione elettorale, portarono coloro che gestivano la cosa pubblica in sede locale e in sede regionale non solo a chiudere un occhio, bensì a chiuderli tutti e due. In tal maniera, di fatto, divennero corresponsabili della nascita di un “mostro” ecologico, cui ben presto si sarebbe aggiunta, nella zona di Augusta – Melilli – Priolo – Siracusa, tutta una serie di altri stabilimenti altamente inquinanti, chiaramente parecchio pericolosi per la salute pubblica.

La RASIOM rappresentò una sorta di catalizzatore industriale non senza, però, che si verificasse l’olocausto di parecchie vite umane e si determinassero le condizioni, per molti versi irreversibili, del nocivo inquinamento terracqueo della zona, con la crescita esponenziale di parecchie patologie di natura oncologica e respiratoria.

La speculativa quanto spericolata iniziativa del Cav. Moratti, riuscì anche a dribblare le perplessità non tanto infondate e pessimistiche, se non addirittura interessate, avanzate nel 1949 a Parigi – in sede di lavori del Comitato della OECE – da un “esperto britannico” che ebbe a giudicare il progetto presentato dalla costituenda RASIOM come “un impianto tecnicamente ed economicamente ingiustificato”. Il citato “esperto”, evidentemente, non s’era minimamente soffermato sulle ben poco trasparenti “agevolazioni”  godute  dal  gruppo “Moratti & c.” in materia di utilizzazione di vaste aree agricole e archeologiche, dalla sera alla mattina divenuti “zona industriale”, sui finanziamenti pubblici e bancari, sulla incidenza dei costi iniziali d’impianto, nonché sull’onere salariale contributivo per la mano d’opera impiegata, per le maestranze di base e per gli “organici” amministrativi e funzionali.

A prescindere dal grande vantaggio logistico connesso con la strategica posizione mediterranea e con le caratteristiche geofisiche della baia di Augusta in cui avrebbero potuto operare navi petroliere di qualsivoglia tonnellaggio. Fattori di rilevante importanza che abbassarono i valori di incidenza dell’iniziale investimento finanziario e dei costi d’avviamento. A distanza di appena un decennio, pertanto, la RASIOM ebbe modo di smentire la negativa profezia dell’esperto britannico e si piazzò fra le più importanti raffinerie del settore petrolifero mediterraneo.

L’entrata in funzione della RASIOM ebbe ad apportare, ovviamente, notevoli mutamenti ambientali. Il paesaggio della baia di Augusta, ad esempio, fu radicalmente stravolto dal possente impatto delle mastodontiche strutture di raffinazione e di stoccaggio, oltre a quelle degli insediamenti collaterali. Anche visivamente, gran parte delle preesistenti caratteristiche paesaggistiche scomparvero o furono radicalmente sconvolte.

Al posto delle diversificate colture intensive (agrumi, ulivo, mandorlo, in particolare) che per secoli avevano splendidamente contrassegnato il territorio, svettano oggi le affusolate ciminiere sovrastanti gli impianti ”topping”,  “craKing” e “reforming”, ai piedi dei quali fa da sfondo una vasta serie di imponenti cisterne e serbatoi d’ogni stazza.

A sera il quadro si fa ancora più vivo e palpitante quando la miriadi di luci dello stabilimento si riflettono nelle placide acque della baia, creando vivaci contrasti con le ombre della notte e con il rosso cupo del fuoco che ininterrottamente sgorga delle torri di scarico, quasi a simboleggiare, in uno scenario che sa molto di prepotenza, l’impatto invasivo della tecnica quando è esclusivamente posta al servizio delle attività essenzialmente mirate al profitto.

Senza dire dell’abuso perpetrato in danno delle naturali risorse della zona, fra cui le ricche falde acquifere, in buona misura asservite alle pressanti e crescenti esigenze dello stabilimento, a fronte di ovvie conseguenze negative e di diffusi inquinamenti.

Immediatamente dopo la fase d’avvio, il gruppo azionario di controllo della nuova industria, constatata la felice ubicazione dello stabilimento rispetto alle rotte mediterranee del petrolio e all’incremento della motorizzazione nazionale, si orientò ad incrementare l’attività di produzione e  di raffinazione dei vari tipi di carburanti. Già nel 1953 la produzione raggiunse e superò i 2 milioni di tonnellate. Negli anni successivi il campo di attività fu esteso dalle benzine normali e super anche ai carburanti per aviazione, agli oli combustibili, ai gas propano e butano liquidi.

Una tappa significativa dello sviluppo della raffineria fu segnata dalla costruzione di un terzo impianto “topping” per la lavorazione del petrolio grezzo che, frattanto, s’era iniziato ad estrarre dai pozzi della “Gulf” di Ragusa.  La preziosa materia prima, in un primo momento, affluiva alla RASIOM mediante il massiccio impiego di un numerosissimo parco di autocisterne, in gran parte approntate da autotrasportatori locali che, per la bisogna, avevano sostenuto un notevole quanto rischioso sforzo finanziario. Costi iniziali, oneri di gestione e imprevisti per usura meccanica o per altre varie causalità, si rivelarono successivamente del tutto insostenibili e fallimentari.

Di concerto con le autorità competenti, si pensò allora alla costruzione di un oleodotto che, oltre ad un notevole impegno finanziario e tecnico, richiese il superamento di enormi difficoltà dovute alla conformazione geologica dei terreni da attraversare. Anche la realizzazione di quest’opera ebbe a comportare un negativo impatto ambientale. Non risulta che fossero state preventivamente adottate le cautele del caso e che le autorità preposte abbiano esercitato taluni indispensabili controlli. Quest’ultima realizzazione, in uno all’incremento nazionale dei consumi dei prodotti petroliferi, spinse la RASIOM ad accrescere ulteriormente la sua capacità produttiva, particolarmente nel settore dei “super” carburanti, con la messa in opera di altri due impianti “reforming”, avvenuta nel 1954, in aggiunta al “ topping” n°3 già avviato nel 1953.

Il petrolio lavorato dalla RASIOM era importato (e lo è tuttora) per oltre il 50% dal Medio Oriente e per il resto dall’Egitto e dalla Russia.

Il petrolio ragusano è ben poca cosa, pur se in passato ha coperto il 10% dell’intera lavorazione. È da tenere presente, a tal proposito, che la “Gulf”, concessionaria dei pozzi, aveva previsto di esportare buona parte della produzione a mezzo di propri impianti il cui punto terminale era stato approntato presso l’isola di Magnisi, periferia di Siracusa, nelle vicinanze di Scala Greca.

È diffusa opinione che, anche in questo caso, vi sia stato ben poco rispetto per la tutela dell’ambiente, vieppiù per il fatto che non si tenne conto delle caratteristiche squisitamente storiche, archeologiche e paesaggistiche della zona. Il degrado ambientale della zona è sotto gli occhi di tutti, vieppiù per lo spettacolo ben poco allettante offerto alle correnti del turismo internazionale che ritiene Siracusa gelosa custode dei luoghi e delle vestigia della sua antichissima civiltà corinzio-ellenica, risalente all’ VIII secolo a.C. (733 -734 a. C.) quando Roma, fra storia e leggenda, si presume fosse ancora in fasce.

Il graduale ma costante sviluppo della produzione pose ben presto in evidenza il problema del movimento del greggio in arrivo e dei prodotti lavorati da esportare. Si diede avvio, pertanto, alla costruzione di altri due pontili (in aggiunta a quello di Punta Cugno, ex Marina Militare) in grado di consentire l’attracco di navi cisterna di elevato tonnellaggio. Un terzo pontile – lungo ben 1250 mt. – consente il carico e scarico di petroliere di stazza anche superiore a 100/mila tonnellate. Gli impianti di pompaggio sono stati progettati e costruiti per permettere il contemporaneo approdo di più petroliere, evitando al massimo i tempi morti nell’utilizzazione delle attrezzature e un sensibile risparmio di ore lavorative. Circa 180 serbatoi consentono di stivare una capacità di riserva di oltre 600.000 m/c.

È evidente l’alta rischiosità dell’impianto ed è augurabile che siano sufficientemente adeguate le misure di sicurezza e antincendio. S’è già verificato, in passato, qualche incidente e si sa che qualsivoglia pur casuale sinistro sarebbe disastroso.

Lo stabilimento avvia i suoi prodotti di raffinazione, oltre che verso parecchi Paesi dell’area mediterranea, anche verso la lontana Indocina, la Norvegia e la Svezia. Le complesse operazioni doganali sono svolte da un Ufficio distaccato della Dogana di Augusta che opera all’interno degli stabilimenti, in uno alla Guardia di Finanza.

Lo sviluppo della RASIOM ebbe a dare avvio alla costituzione di numerose Aziende collaterali, direttamente o indirettamente controllate dalla stessa.

Fra le più importanti sono da citare:

*  la “Prora s.p.a.” avente per oggetto sociale i trasporti marittimi e che arma diverse navi- cisterna, fra cui due modernissime turbocisterne;

*  la “Marittima Mediterranea s.p.a.”, per assistenza e rifornimento delle navi in transito;

*  la “Cosedin s.p.a,” , per la costruzione e la messa in opera degli impianti;

*  la  “Liquigas”,  per l’imbottigliamento e la distribuzione del gas in bombole;

* la “Espesi”, per la produzione del bromo, materia prima indispensabile per talune lavorazioni.

E, per chiudere, la ciliegina sulla torta fu posta dalla lodevole iniziativa della RASIOM quando decise di realizzare in Augusta (zona Borgata-Saline) un autonomo “villaggio” comprendente 12 palazzine, per un totale di 98 appartamenti concessi in affitto al personale a fronte di canoni di gran lunga inferiori a quelli correnti sulla piazza. Furono anche approntati un funzionale centro ricreativo (CRAL) ed una foresteria per il personale dipendente di passaggio.

Nell’orbita della RASIOM operano, inoltre, la società “SIBI” per la costruzione di fusti metallici, la ILGAS” (del gruppo Pibigas), l’ AUGUSTA UNKERING” per il rifornimento delle navi, la “CELENE” per la produzione di materiali in plastica derivati dal petrolio.

Una nota particolare merita ancora la società “AUGUSTA PETROLCHIMICA”, a suo tempo costituita da RASIOM e MONTECATINI per la produzione di ammoniaca, il cui pacchetto azionario è stato successivamente rilevato per intero della Montecatini.

Nel 1956, per inciso, ebbe ad entrare in campo anche la EDISON e inizia così l’avventura della “SINCAT” (Società Industriale Catanese) specializzata nella produzione industriale di fertilizzanti chimici e acido nitrico.

Questo il quadro riassuntivo dell’ormai radicato “POLO PETROLCHIMICO SIRACUSANO” che, per i suoi intrecci azionari e finanziari d’alto bordo, per i risvolti in campo politico nazionale, regionale e locale, per i mutamenti territoriali apportati, meriterebbe di essere ulteriormente attenzionato e analizzato. È d’uopo, tuttavia, segnalare alcune cifre palesemente indicative ed esplicative. Il sistema creditizio siciliano (particolarmente il Banco di Sicilia e l’IRFIS (Istituto Regionale Finanziamento Imprese Industriali), dal 1956 al 1959, ebbero complessivamente ad erogare, in favore delle Aziende del citato Polo, la bella cifretta di 130/miliardi di lire.

Un importante rapporto di reciproca integrazione industriale, infine, ebbe a concretizzarsi  attraverso scambi complementari fra “RASIOM” e “TIFEO” – società della SGES-ENEL la cui imponente centrale termoelettrica – inaugurata il 17 gennaio 1959 –  produce circa 10/ milioni di KW ore annue. Per alimentare le caldaie dei tre gruppi di produzione, la TIFEO s’avvale dell’olio combustibile prodotto dalla RASIOM mentre, a sua volta, fornisce alla stessa l’energia elettrica necessaria per il funzionamento dei propri impianti. L’olio combustibile viene avviato alla TIFEO a mezzo di un oleodotto diretto. Lo stabilimento dispone, in aggiunta, di un autonomo impianto termoelettrico.

Quanto sin qui detto basterebbe già a dimostrare la notevole importanza strategica  e sostanziale cui, in campo globale, è pervenuta l’attività produttiva e commerciale del gruppo RASIOM, che dopo il periodo di gestione della ESSO Italia fa parte, dal 2018, del gruppo SANATRACH algerino.

Furono radicalmente mutate, parallelamente, le sorti della economia di Augusta, nella misura in cui avvenne l’incentivazione – pur se a fronte dei citati rischi ecologici e ambientali – dei parametri di sviluppo produttivo della storica e rinomata città. Ciò, sicuramente, sarebbe potuto tornare a vanto delle aziende industriali private, prima segnalate, ove, a fronte dei superlativi profitti realizzati, si fossero fatte carico della responsabilità e dell’onere di tutelare i territori e il mare in cui sono insediate e operano. Purtroppo non è andata così e l’ineluttabile sfascio ambientale della vastissima zona interessata ne è la piena dimostrazione.

Le prospettive future sono legate, ovviamente, alla curva ascendente dei consumi di carburanti e dei prodotti petroliferi. Ciò si deve anche all’impulso a suo tempo apportato dalla “ESSO STANDARD”, dopo avere assunto il controllo della maggioranza del pacchetto azionario della Società madre. La SONATRACH, in atto, gestisce in piena autonomia l’impianto e non ha ufficialmente dichiarato alcuna prospettiva di incremento produttivo o di inserimento di altre linee operative.